Torino, Regio Opera Festival 2021: “Madama Butterfly”

Torino,  Cortile di Palazzo Arsenale, Regio Opera Festival 2021
“MADAMA BUTTERFLY”

Tragedia giapponese in due atti. Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dal racconto di John Luther Long e dal dramma di David Belasco. Adattamento di Vittorio Sabadin.
Musica di Giacomo Puccini
Madama Butterfly (Cio-cio-san) REBEKA LOKAR
F.B. Pinkerton, tenente della marina U.S.A. ANTONIO POLI
Sharpless, console degli U.S.A. a Nagasaki ALESSIO VERNA
Suzuki, servente di Cio-cio-san SOFIA KOBERIDZE
Goro, nakodo DIDIER PIERI
Il commissario imperiale FRANCO RIZZO
Kate Pinkerton ROBERTA GARELLI
Il figlio di Butterfly(mimo) SOFIA LA CARA
Nel ruolo di Giacomo Puccini (attore) YURI D’AGOSTINO
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Pier Giorgio Morandi
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia Vittorio Borrelli
Scene Claudio Boasso
Costumi Laura Viglione
Luci Andrea Anfossi
Allestimento del Teatro Regio di Torino
Torino,  3 Luglio 2021 (prima rappresentazione)
Madama Butterfly è la seconda proposta operisticha che il Teatro Regio di Torino fa in questa estate per il “REGIO OPERA FESTIVAL A difesa della Cultura” nel settecentesco barocco oceanico cortile del Palazzo dell’Arsenale, quindi all’aperto. E da qui cominciano i guai, solo attenuati, la sera della recita, dalle correnti d’aria fresca provenienti dalla Val Susa per spazzare l’ossessivo caldo umido che la pavimentazione a sampietrini del cortile avrebbe trasformato in sauna finlandese. Le grida dei gabbiani, i nugoli di zanzare sanguinarie, la precarietà dell’ascolto ci sono a condizionare pesantemente una fruizione soddisfacente dello spettacolo. Butterfly ha un secondo atto tutto giocato sulla finezza e l’intimismo dei sentimenti che poco si attagliano agli inevitabili disturbi di un cielo aperto.
L’allestimento adottato è quello originariamente concepito per un’esecuzione gratuita, aperta a tutti i passanti, in Piazza San Carlo, centro della città, in cui, per renderla più comprensibile e forse coinvolgente per un pubblico, per lo più ignaro, che stazionava o passeggiava, si era inframmezzato alla musica l’intervento di un attore, che nei panni di Puccini, riassumesse, illustrasse la trama e caratterizzasse le intenzioni del compositore. Idea eccellente nelle intenzioni che però causa gravi interruzioni del discorso musicale e dolorosi  e sacrileghi tagli di intere scene. “Saltano”, tra gli altri, il banchetto di nozze e le ire dello zio bonzo, gran parte delle ciarle di Goro, Yamadori e i suoi languori e, imperdonabile, l’acme emotivo dell’opera, la scena del cannocchiale e della lettura del nome della nave, l’Abramo Lincoln che è negli orecchi e nei cuori di tutti gli amanti d’opera. Soprano e Direttore si sarebbero dovuti ribellare a questo taglio, così come a quello, altrettanto demenziale, del duetto dei fiori. Apprezzabile e funzionale l’essenziale allestimento di Claudia Boasso: due divanetti, un tavolino, qualche seta dipinta a penzoloni. Non proprio eccitanti le luci di Andrea Anfossi, e i costumi di Laura Viglione che forse avrebbe dovuto inventarsi qualche diavoleria ulteriore per ovviare alla non proprio farfallesca figurina da paravento della protagonista. La regia fatta in casa di Vittorio Borrelli è, come il luogo prescrive, militarmente ordinata al conseguimento del fine: arrivare alla fine senza disastri. L’esclusione delle scene di massa del primo atto gli ha dato una mano ovviando al sempre grave scoglio di gestire in modo accettabile i movimenti del coro. È comunque degno di lode, viste le situazioni al contorno, l’affidarsi ad allestimenti “poveri” più incentrati sui personaggi e sulle loro psicologie che su faraonici allestimenti che forse stupiscono per qualche istante parte del pubblico ma, parallelamente, non arricchiscono la scena culturale e svuotano le casse di tutti i teatri.
La direzione d’orchestra di Pier Giorgio Morandi, non so di quanto penalizzata dalle tavole di missaggio delle amplificazioni, ha mantenuto un clima calmo e non invasivo. I cantanti hanno avuto tempi lenti e scarso sostegno cosicché le loro voci spesso suonavano troppo “nude” in un ambiente negato alla valorizzazione degli armonici. Rebeka Lokar porta nella sua faretra tutte le frecce del personaggio. Cio-cio-san con Turandot sono stati e lo sono ancora, a dispetto di un “dimagrimento” del timbro e di un accentuato increspamento nelle note forzate, e in Butterfly ce ne sono tante. Meritato il successo e l’applauso commosso dopo l’appassionato “Un bel dì vedremo”. Si sarebbe ancora voluto ascoltare da lei la passione in “Reggimi la mano ond’io ne discerna il nome … Abramo Lincoln” ma gli avversi numi e l’insipienza degli uomini ce l’hanno impedito. Alessio Verna se la sbroglia bene, cogliendo punto su punto la parte di quell’anima nerissima del Console. Con voce che testimonia la maggior affinità del personaggio con i traffici commerciali che con la cura delle fragilità, ma quest’ultima non è appunto la sua missione statutaria, persegue il suo scopo di ampliare la collezione di “farfalle” da mostrare a colleghi e amici, certamente puritani e timorati di dio come lui, al ritorno negli USA. Povera Sofia Koberidze cui hanno tarpato le ali decimandole la parte. Si è ascoltata una voce di contralto calda e di bel timbro. Ma, mancando il duetto dei fiori, per troppo poco. La si rivuole in scena con l’opportunità di dimostrare, viste le premesse, quanto vale. Ugual sorte è toccata al valente Goro di Didier Pieri, mentre all’esiguità degli interventi avevano già provveduto Puccini e i librettisti per i pur validi  commissario imperiale di Franco Rizzo, Kate Pinkerton di Roberta Garelli. Muto, come sempre, il figlio di Butterfly di Sofia La Cara (mai che i teatri italiani riescano a trovar un maschietto per queste parti! Qui c’è pure un’alternativa, sempre al femminile, per le altre due recite Francesca Urso ). F.B. Pinkerton ovvero Antonio Poli. Bella voce! bello squillo! Bella tecnica! Ottime le intenzioni, apprezzabili i risultati. Il personaggio non sempre gli calza perfettamente, ha reazioni umorali eccessive, quando Cio-cio-san gli mostra l’involucro col pugnale, il suo “Ma non si può vedere?” è, più della bisogna, brusco e cattivo Mentre al console non si deve perdonare nulla, al bel marinaio si può perdonare molto. È il trentenne “bisteccone made in USA”, in mare da diverso tempo, con umori e ormoni in subbuglio. Lasciatelo divertire e se qualcuna ci casca, forse sognando la bella vita della casalinga dell’Ohio, si allerti lei, non lui, come invece immancabilmente fa il console. Antonio Poli che, alcuni anni fa, fu un apprezzatissimo Tamino qui a Torino e ultimamente ha avuto un bel successo come Rodolfo all’opera di Roma, in una non memorabile Luisa Miller, ha riscosso un bel successo e il lungo applauso del migliaio, come legge impone, di presenti. Il Coro del Regio di Torino, magistralmente diretto da Andrea Secchi, ha commosso il pubblico nel coro a bocca chiusa del secondo atto. In un’opera che impone il fazzoletto agli occhi, è stato quanto di più ad hoc ci si potesse augurare. Yuri d’Agostino formidabile attore, di bravura veramente non comune, manda a memoria il bel testo di Vittorio Sabadin che non gli credo consueto, e si fa apprezzare ed applaudire da un pubblico che viceversa si sarebbe dovuto sentire defraudato dai suoi insistiti interventi, demolitori della struttura dell’opera e della continuità musicale. Buono, generoso e tollerante il variegato pubblico torinese, forse non totalmente addentro al mondo operistico ma con l’impegno di provarci rimunerando artisti e tecnici con intensi e ripetuti applausi e chiamate alla ribalta.