Parma, Chiesa di San Giovanni Evangelista: “Il trionfo del Tempo e del Disinganno”

Parma, Chiesa di San Giovanni Evangelista
“IL TRIONFO DEL TEMPO E DEL DISINGANNO”
Oratorio in due parti del Cardinale Benedetto Pamphilj
Musica di Georg Friedrich Händel
Bellezza FRANCESCA LOMBARDI MAZZULLI

Piacere ARIANNA RINALDI
Tempo FRANCESCO MARSIGLIA
Disinganno VIVICA GENAUX
Orchestra Europa Galante
Direzione musicale Fabio Biondi
Direzione teatrale Walter Le Moli
Allestimento Tiziano Santi
Costumi Gabriele Mayer
Luci Claudio Coloretti
Produzione Fondazione Teatro Due
Parma, 28 giugno 2021
Le Moli, Biondi e subito viene in mente il mitico Marat-Sade del 1985, ormai considerato una pietra miliare del teatro italiano contemporaneo. Se però in quella produzione era la prosa di Weiss a farla da padrona – pur con un uno straordinario mélange con le celeberrime Quattro Stagioni vivaldiane – questa  nuova collaborazione tra Teatro Due ed Europa Galante si orienta al teatro musicale, e la regia si esprime soprattutto attraverso un ardito gioco di luci (ben disegnate da Claudio Coloretti). La scelta del luogo è pure singolarmente significativo: la Chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma, che ospita, oltre a una serie di straordinarie opere cinquecentesche, la celebre cupola del Correggio, sotto la quale lo spettacolo si svolge e l’orchestra suona. In questo contesto d’eccezione, con queste energie artistiche tanto specifiche, la scelta non poteva che ricadere sul primo oratorio di Georg Friedrich Händel, quel “Trionfo del Tempo e del Disinganno” che pochi anni fa è stato persino protagonista di stagione alla Scala. Quest’opera non è scelta solo per l’attenzione riservatala di recente, né per la presenza della celebre “Lascia la spina” (che qualche anno dopo Händel trasformerà in “Lascia ch’io pianga” per Almirena nel suo Rinaldo), ma perché all’interno del percorso del Caro Sassone rappresenta uno snodo fondamentale, quell’apertura alla muscalità italiana che farà celebre e praticamente inimitabile il grande compositore tedesco. In nessun’altra opera händeliana troviamo tanta Italia, a partire dal libretto appositamente approntato dal Cardinal Pamphilj, bibliotecario pontificio, intriso di quell’alta moralità che la prima scrittura arcadica – quella di Gravina, in rivolta contro il relativismo barocco – si proponeva: l’allegoria di Bellezza e Piacere, la cui apparentemente indissolubile endiadi viene spezzata da Disinganno e da Tempo, ha, infatti, in primo luogo un valore storico-culturale, è la reazione all’edonismo roccocò, figlio di un barocco epicureo e sibaritico. La scrittura oratoriale, ovviamente, non riesce o non vuole vedere nell’eccesso secentista la cupa reazione antinichilista, l’horror vacui di una società che sta tragicamente volgendosi al suo ultimo atto: e così la povera Bellezza sul finale si deve arrendere alla sconfitta, mentre Piacere si rifugia nella sua stessa bugia. Sulla base di questa lettura non è difficile comprendere, dunque, il favore che un regista “politico” come Walter Le Moli ha accordato a quest’opera: portarla poi in un luogo di lussureggiante opulenza artistica come il presbiterio in San Giovanni – incorniciato da due organi dalle modanature dorate, oltre agli affreschi manieristi di cui già è stata fatta menzione – e nascondendo l’altare e i suoi simboli proprio con un enorme specchio, ci porta ben oltre l’allegoria, al centro di una chiara proposta registica. I costumi di Gabriele Mayer certo contribuiscono ad amplificare quest’atmosfera lussuosa, proponendo effetti metallici, paillette, velluti, ricami preziosi, anche su Tempo e Disinganno, che si distinguono solo per i colori cupi, in opposizione all’oro e al verde scintillante degli altri due personaggi.
Dal punto di vista musicale siamo di fronte a un parterre di alto lignaggio: seguire la concertazione di  Fabio Biondi è un’esperienza magnifica, ancor più fruendone la direzione calibratissima, in totale controllo dei suoi musicisti e della scena, in piena armonia e senza mai una discrepanza; Biondi conosce non solo i tempi e le dinamiche, ma anche ogni singola espressione del dramma, e non manca di accompagnare i performer nelle direzioni più consone; un plauso particolare, inoltre, va alla cembalista e organista Paola Poncet, vera seconda anima dell’ensemble, in special modo per la grande intelligenza musicale con cui gestisce i registri organistici e la fusione dei suoni. Fra i cantanti, che danno tutti ottime prove, spicca senz’altro Vivica Genaux, vera diva internazionale del barocco, e non solo per la straordinaria bellezza e il carisma scenico: la voce di mezzosoprano della Genaux nel tempo non ha mancato di adattarsi e forgiarsi, senza perdere nulla del rigore tecnico, ma ampliando i centri in direzione contraltile; oggi l’interprete americana può quindi sfoggiare un sicuro registro grave, caratterizzato da dizione chiarissima ed emissione sicura – cosa che non si può dire di tante altre sue colleghe che si professano “veri contralti”. Questa spinta verso il basso viene ancor più evidenziata dal confronto con Arianna Rinaldi, accanto a lei nella parte di Piacere: il mezzosoprano bolognese sfoggia infatti un registro luminoso, a tratti forse un po’ evanescente, ma che non teme la tessitura né le agilità. “Lascia la spina” è senz’altro un momento di grande trasporto, ma anche il contributo che dà in duetti e negli assieme mostrano la consapevolezza vocale che la Rinaldi ha ormai raggiunto. A Francesca Lombardi Mazzulli tocca, invece, la parte più onerosa, quella di Bellezza, presente in scena per quasi tutto l’arco dell’oratorio; la prova del soprano varesino è di notevole livello, sia da un punto di vista puramente tecnico – grande cura nelle agilità e nelle cadenze – che espressivo: l’interpretazione della Mazzulli sfata decisamente il mito del barocco come genere “freddo”, e si preoccupa in primis della comunicazione del sentimento, componendo un fraseggio variegato,  impreziosito da belle messe di voce, forse lievemente meno controllato negli acuti. Il coinvolgimento scenico del soprano è evidente, e qui saggiamente ha anche giocato la regia nel costruirne l’immagine, nel lasciarne fluire la cascata delle chiome biondo fragola, nel proporne le spalle e il décolleté eburnei: vederla accanto alla brunissima Genaux, dai tratti esotici e l’eleganza altera, già di per sé è teatro, cattura lo sguardo come in un tableau vivant; anche il confronto vocale con la Rinaldi funziona, e il duetto del primo atto, “Il voler nel fior degli anni”, è probabilmente il momento più alto per entrambe le interpreti. Infine, l’apporto di Francesco Marsiglia (Tempo) è più che mai adeguato. Il cantante sfodera un bel timbro tondo, non così usuale nel repertorio barocco; di lui certamente si apprezzano anche la cura per l’intonazione e il fraseggio scolpito. Le due serate che hanno visto in scena questa produzione sono state un grande successo, di critica e pubblico, e non ci si può che augurare che si possa vedere ancora presto questo “Trionfo”, e più in generale che il pubblico italiano continui ad assicurare un tale calore al repertorio sei e settecentesco. Foto Marco Caselli Nirmal