Grand’opéra in 5 atti su libretto di Michel Carré e Jules Barbier da “Hamlet” di Alexandre Dumas e Paul Merice dall’omonima tragedia di W. Shakespeare. Stéphane Degout (Hamlet), Sabine Devieilhe (Ophélie), Laurent Alvaro (Claudius), Sylvie Brunet-Grupposo (Gertrude), Julien Behr (Laërte), Jérôme Varnier (lo spettro), Kevin Amiel (Marcellus / Primo becchino), Yoann Dubruque (Horatio /Secondo becchino), Nicholas Legoux (Polonius). Orchestre des Champs-Élysées, Louis Langrée (direttore), Les éléments, Joël Suhubiette (maestro del coro), Cyril Teste (regia), Ramy Fischler (scene), Isabelle Deffin (costumi), Julien Boizard (luci). Parigi, Opéra cominque – Salle Favart, 19-21 dicembre 2019. 1 DVD NAXOS 2.110640
Nel 2018 in occasione del 150° anniversario della prima rappresentazione l’Opéra Comique di Parigi ha deciso di rendere omaggio ad “Hamlet”, l’opera che insieme a “Mignon” rappresenta il maggior successo di Ambroise Thomas il compositore lorenese che nella seconda metà dell’Ottocento aveva saputo ricavarsi un proprio spazio sulla scena parigina.
Composta su libretto degli immancabili Michel Carré e Jules Barbie l’opera è tratta dall’adattamento della tragedia di Shakespeare realizzato nel 1847 da Alexandre Dumas ulteriormente semplificato e banalizzato dal lavoro dei librettisti. Infedeltà riaspetto all’archetipo shakespeariano e scarsa efficacia teatrale hanno sempre pesato nella valutazione di un’opera che di suo non manca di notevoli invenzioni musicali e di una facilità melodica accattivante.
Ottimo conoscitore di questa musica Louis Langrée ne da una lettura convincente e personale. Per prima cosa riapre quasi tutti i tagli della tradizione riproponendo il lieto fino con l’apparizione dello spettro che spinge Claudio ad abdicare in favore di Amleto che viene incoronato. Finale che per quanto possa apparire posticcio alla sensibilità moderna fu pensato per la prima rappresentazione e specificamente voluto dall’autore. Non vengono eseguiti solo il balletto e il coro che precede la scena della follia di Ophélie per ragioni, pensiamo, registiche. Quello che colpisce nella lettura di Langrée è un taglio fortemente lirico che esalta la qualità delle melodie e la cura dei dettagli della scrittura di Thomas evitando di cadere nella trappola della magniloquenza puramente spettacolare che il gran-opéra aveva acquisto dopo la morte di Meyerbeer. Buone le prove di orchestra e coro nonostante quest’ultimo fosse alquanto ridotto rispetto alle richieste della partitura.
Perfettamente in linea con la direzione è l’Hamlet di Stéphane Degout baritono dalla voce chiara ma sonora e timbrata e dalla linea di canto musicale e raffinata. Degout affronta con sicurezza la tessitura del ruolo – al limite si nota qualche sentore di fatica nel brindisi – e sceglie una espressività contenuta ed essenziale. Sia il canto che il gesto si caratterizzano per una forte introversione che rende benissimo l’incertezza e la fragilità del giovane principe offrendo un ritratto di notevole forza emotiva.
Notevolissima l’Ophélie di Sabine Devieilhe. La registrazione e le ridotte dimensioni della Salle Favart nascondono quello che è l’unico limite della cantante – il limitato volume della voce – evidenziandone le infinite qualità. La Devieilhe canta in modo squisito. Il timbro di cristallina luminosità si avviluppa in un virtuosismo impeccabile dove la maestria tecnica si unisce a una capacità rara di sfruttare anche il più estremo canto di bravura a scopi espressivi. Un fraseggio mutevole e cangiante, capace di arricchire di significato ogni frase e ogni nota e si resta indecisi se farsi travolgere dalla qualità del canto o commuovere dalla verità espressiva dell’infelice eroina.
Terzo elemento di forza del cast il Laërte di Julien Behr squillante e sicurissimo sul piano vocale e con la raffinatezza stilistica che ormai abbiamo imparato a riconoscergli. Jérôme Varnier ha tutta l’autorevolezza richiesta dallo Spettro paterno con la sua voce di autentico basso ampia e ricca di armonici. Laurent Alvaro è un Claudio decisamente molto più modesto sul piano vocale ma interessante nelle notazioni espressive. Corretta la Gertrude di Silvie Brunet-Grupposo e molto bravi i due becchini all’apertura del IV atto.
La regia di Cyril Teste è il solito concentrato di luoghi comuni alla moda. Vicenda spostata nel solito presente contemporaneo senza radici e senza futuro. Abiti quotidiani – più eleganti per i sovrani e i cortigiani, di gusto quasi esistenzialista per Amleto e lo Spettro – scene ridotte all’osso. La regia fa ampio uso di proiezioni giocando sul classico tema del teatro nel teatro mischiando sistematicamente rappresentazione e dietro le quinte con i piani che spesso si confondono – Claudio che finisce di venir truccato mentre entra in scena, Ofelia si ubriaca al bar del teatro per scordare il rifiuto di Amleto. La regia di Teste ha però anche non pochi meriti tolte le considerazioni fatte. In primo luogo si nota una grande attenzione per la recitazione, curata con estremo dettaglio e con caratteri quasi cinematografici. La possibilità di sfruttare ottimi cantanti-attori – specie Degout e la Devieilhe – ottiene ottimi risultati con momenti di grande forza espressiva (la scena della follia è di una intensità teatrale rimarchevole).
L’altro merito è quello di seguire in modo preciso la vicenda con fluidità e chiarezza senza caricarla di inutili sovrastrutture o forzature interpretative. Il risultato e nell’insieme efficace pur senza particolari colpi d’ala. Trattandosi di una delle poche edizioni disponibili di un’opera comunque interessante e per di più in una versione particolarmente completa l’interesse per il prodotto non è nel complesso trascurabile.