98° Arena di Verona Opera , Festival 2021
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Speranza Scappucci
Maestro del coro Vito Lombardi
Soprano Hibla Gerzmava
Mezzosoprano Clémentine Margaine
Tenore Piero Pretti
Basso Michele Pertusi
Giuseppe Verdi: “Messa da Requiem” per soli, coro e orchestra
Verona, 18 luglio 2021
Nonostante Giuseppe Verdi sia il nume tutelare del festival areniano, la sua Messa da Requiem non è un titolo molto eseguito nell’anfiteatro veronese. Restano tuttavia alcune esecuzioni memorabili come quelle del 1966 (Gencer, Reynolds, Bergonzi, Giaiotti, Votto), 1973 e 1974 (Scotto, Cossotto, Cossutta, Giaiotti, Gavazzeni), la storica edizione diretta da Muti nel 1980 (Caballè, Fassbänder, Luchetti, Raimondi) e quella faraonica di dieci anni dopo diretta da Maazel alla testa di una compagine corale di 3000 elementi. Nella memoria collettiva restano anche le esecuzioni del 2001 e del 2013 rispettivamente dirette da Prêtre e Myung Wung Chung.
L’edizione 2021 vedeva il debutto di Speranza Scappucci sul podio del teatro all’aperto più grande del mondo; iniziamo dunque da lei a raccontare questo Requiem verdiano la cui esecuzione è stata dedicata alla memoria del regista Graham Vick, prematuramente scomparso qualche ora prima. Nelle note sul programma di sala, da lei stessa redatte, si evince un chiaro invito alla riflessione, al raccoglimento e alla preghiera in tempi di estrema sofferenza in chiave mondiale. Fulcro della sua lettura è la ricerca spasmodica di una verità impossibile da cogliere ma soprattutto un avvicinamento alla partitura e ai suoi silenzi carichi di musica, una partitura che per volontà dell’autore pone l’Uomo al centro dell’universo eppure soggiogato dalla presenza di Dio dal quale si aspetta risposte concrete ai suoi dubbi esistenziali.
La partitura verdiana è notoriamente istradata sui binari della teatralità e dunque lontana dagli stilemi di altri lavori omonimi come quelli di Mozart, Salieri e Cherubini, solo per citarne alcuni, molto più aderenti alle esigenze della liturgia coeva. In essa si possono ravvisare echi di Aida, Don Carlos e Forza del destino: nonostante questo, Verdi cerca l’aggancio al modello classico inserendo il doppio contrappunto del Sanctus ed affrontando lo stile severo della fuga nel Libera me, Domine.
La Scappucci ha ostentato una grande sicurezza, dimostrando di saper tenere in pugno i complessi della Fondazione Arena con un piglio vigoroso ma anche con dolcezza nei passaggi più delicati, eccedendo forse un tantino negli allargati. Pur tuttavia non è trapelato dall’esecuzione tutto quel lavoro di ricerca interiore da lei teorizzato ed annunciato; il terrificante (in termini emotivi) Dies irae, spesso paragonato al mirabile affresco del Michelangelo nella Cappella Sistina si è fermato ad una visione generale ma senza entrare nella sottile trama dei dettagli che si possono trovare nelle note di Verdi. Una valida attenuante, però, viene dalla collocazione dell’orchestra in buca che ha condizionato certamente un accurato lavoro di concertazione; aggiungiamo inoltre la cronica carenza di prove, il che è un vero peccato perché per ironia della sorte quest’anno, a fronte di allestimenti scenici e registici che destano qualche perplessità, in Arena abbiamo genericamente un ottimo livello musicale.
Il quartetto dei solisti non garantiva una perfetta omogeneità negli assiemi, talvolta l’impressione era che ognuno cantasse per conto suo; al netto di questo occorre dare tuttavia merito alle voci del soprano Hibla Gerzmava, al mezzosoprano Clémentine Margaine capace di accorate perorazioni (specie nel Liber scriptus), alla generosa vocalità di Piero Pretti (atteso nei due assoli di Ingemisco e Hostias) e alla navigata esperienza di Michele Pertusi, apprezzato in alcuni chiaroscuri del Mors stupebit.
Il coro, preparato da Vito Lombardi e collocato finalmente sul palcoscenico, ha dato un’ottima prova pur con qualche sbandamento, peraltro comprensibile vista la distanza dall’orchestra. Il Requiem con tutte le sue dinamiche, la ricca polifonia e gli intrecci contrappuntistici non è un’opera e dunque coro e orchestra devono poter stare vicini, pena pericolose scollature; purtroppo, e questo va detto, la collocazione delle masse artistiche è ancora condizionata dalle misure di sicurezza anticovid. Al termine applausi sentiti da parte di un pubblico non numeroso ma molto attento e disciplinato; in particolare i consensi sono andati alla vera primadonna sul podio areniano. Nomen est omen, dicevano i latini. E Speranza non può essere che beneaugurante. Foto Ennevi per Fondazione Arena