Venezia, Teatro La Fenice, Stagione 2020-2021
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Daniele Callegari
Soprano Anna Pirozzi
Tenore Piero Pretti
Baritono Davide Luciano
Giacomo Puccini: Preludio sinfonico in la maggiore; Edgar: “Questo amor, vergogna mia”; Tosca: “Recondita armonia” – Alfredo Catalani: La Wally: “Ebben? Ne andrò lontana” – Giacomo Puccini: Manon Lescaut: Intermezzo – Amilcare Ponchielli: La Gioconda: “Cielo e mar”; “Suicidio!”- Giacomo Puccini: La bohème: “Oh Mimì, tu più non torni” – Pietro Mascagni: Cavalleria rusticana: Intermezzo – Giacomo Puccini: Madama Butterfly: “Bimba, bimba non piangere”
Venezia, 30 maggio 2021
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si afferma in Italia un gruppo di compositori – la cosiddetta Giovane o Giovine scuola, di ispirazione verista – che si prefigge di rinnovare il teatro musicale italiano, riallacciandosi all’esempio dell’ultimo Verdi e dei musicisti scapigliati della generazione precedente, quali Alfredo Catalani, Arrigo Boito e Amilcare Ponchielli, ma anche allargando lo sguardo alla cultura musicale europea di quegli anni. Si tratta, per la maggior parte di compositori, il cui nome resta legato ad una sola opera o poco più: tra essi, Pietro Mascagni, Ruggero Leoncavallo, Umberto Giordano, Francesco Cilea, Franco Alfano. A parte, va annoverato Giacomo Puccini, che si staglia su tutti per la qualità della sua produzione come per il numero di titoli a tutt’oggi in repertorio presso i teatri di tutto il mondo. E il grande lucchese domina anche nel programma del concerto lirico, di cui ci occupiamo. A condurci in questo excursus attraverso le pagine operistiche più amate del catalogo pucciniano – tra cui si inserivano pagine altrettanto popolari di Alfredo Catalani, Amilcare Ponchielli e Pietro Mascagni, nonché qualche pezzo puramente strumentale –, erano il maestro Daniele Callegari – milanese, ospite assiduo e apprezzato del Teatro La Fenice e tre cantanti d’eccezione, tutti ormai affermati a livello internazionale: il tenore nuorese Piero Pretti, il soprano napoletano Anna Pirozzi e il baritono beneventano Davide Luciano.
Questo omaggio all’arte di Puccini – musicista a tutto tondo, nelle cui partiture operistiche si coglie un respiro sinfonico, oltre a una cultura musicale sensibile alle suggestioni provenienti d’oltralpe – non poteva non cominciare da un suo lavoro solo orchestrale: quel Preludio sinfonico in la maggiore che, ancora studente presso il Conservatorio di Milano, compose come saggio d’esame a conclusione dell’anno scolastico 1881-1882. Con gesto sicuro, che univa chiarezza e sensibilità nel sottolineare ogni sfumatura della partitura – dove si avvicendano passaggi intensamente espressivi e momenti in cui il pathos cede il posto al languore –, Callegari ha guidato l’irreprensibile orchestra in questa fantasia sinfonica, mettendo in valore – oltre alle spiccate doti melodiche del giovane allievo – quel suo notevole talento nel genere sinfonico che – seppure sempre considerato criticamente da Puccini stesso – lo distinse nel panorama operistico italiano fin-de-siècle, e qui attestato dal modo in cui l’unico tema è sviluppato e variato, alternando passaggi diatonici e cromatici su un tessuto armonico non esente dall’influsso di Massenet e Wagner.
Puccini utilizzò alcuni elementi del Preludio sinfonico nelle sue prime due opere: alcune battute – presenti nel manoscritto autografo del Preludio, e in seguito tagliate – passarono nel coro di introduzione delle Villi (prima rappresentazione:1884), mentre più abbondante è il materiale trasferito nella versione originale di Edgar (1889). Il contrasto tra virtù e peccato, tra l’amore puro e amore sensuale – uno dei temi portanti di quest’opera – è presente anche nell’aria di Frank, “Questo amor, vergogna mia”, in cui il Davide Luciano ha trovato il giusto accento nel rendere il conflitto interiore del personaggio, con voce ben timbrata ed omogenea, complice – qui come in altri analoghi momenti della serata – anche il raffinato sostegno orchestrale, che ha dimostrato ancora una volta l’abilità di Callegari nell’accompagnare le voci. La passione amorosa – in questo caso senza alcun senso di colpa – domina nell’aria di Cavaradossi, “Recondita armonia”, dal primo atto di Tosca (1900), offerta dalla voce estesa e potente di Piero Pretti, che ad un fraseggio scolpito ha aggiunto una ragguardevole finezza interpretativa, ad esprimere questo momento di espansione lirica, ispirato dalla bellezza della cantatrice.
Un’altra pagina strumentale pucciniana proposta era l’Intermezzo di Manon Lescaut (1893), l’opera con cui Puccini ottenne il primo vero successo. L’intermezzo traduce in musica emozioni, sentimenti, speranze, che attraversano l’animo di De Grieux, mentre si propone di seguire Manon, prigioniera, fino all’imbarco a Le Havre – da dove la sventurata dovrebbe imbarcarsi per le Americhe –, nel disperato desiderio di ricongiungersi a lei. Anche in questo brano il direttore milanese ha saputo condurre l’orchestra con chiarezza d’intenti e sensibilità, sottolineando i pregi della raffinata orchestrazione, che a momenti cameristici alterna passionali accensioni dell’insieme e il cui avvio soprattutto rivela il debito stilistico con Wagner.
Interessante è risultato il raffronto, nella medesima serata, del Preludio pucciniano con uno dei capolavori in questo genere musicale: l’Intermezzo di Cavalleria rusticana (1890) di Pietro Mascagni, che prepara al cruento epilogo della vicenda. Nel eseguire questa sorta di solenne preghiera, hanno brillato gli archi, che qui hanno un ruolo fondamentale, accompagnati dall’arpa e dall’organo. Equilibrata ancora una volta è stata l’interpretazione di Callegari, che ha saputo giustamente evitare slanci troppo passionali, che sarebbero inopportuni, data la natura del brano.
Tra agli autori, che possono essere associati alla Giovane scuola verista, Alfredo Catalani, secondo alcuni, ne sarebbe addirittura il capostipite: la composizione di Wally (prima rappresentazione: 1892) ebbe inizio nel 1888, un anno prima che Mascagni cominciasse a lavorare alla sua Cavalleria. Ma Catalani – allievo prediletto di Antonio Bazzini, uno dei maestri anche di Puccini e Mascagni, e apprezzato dal giovane Toscanini – non conobbe il successo di altri compositori della sua epoca. In Wally la protagonista – una fanciulla bella quanto altera, che nessun uomo ancora ha osato baciare –, quando apprende che il padre l’ha concessa in sposa a Gellner, decide di lasciare la casa natìa, per rifugiarsi lontano, nella solitudine dei monti: è il momento dell’aria più celebre dell’opera, “Ebben? Ne andrò lontana”, in cui Anna Pirozzi, grazie al suo spessore vocale, cui si univa una significativa duttilità espressiva, ha saputo toccare il cuore del pubblico, nel dare sfogo alla profonda tristezza, di cui è intrisa la romanza.
Un precursore della scuola verista è in qualche modo rappresentato da Amilcare Ponchielli – altro maestro comune a Puccini e Mascagni –, autore della Gioconda (1876), un’opera che si svolge a Venezia nel diciassettesimo secolo, durante il Carnevale. Le pagine più applaudite sono da sempre le due romanze dei protagonisti “Cielo e mar!” e “Suicidio!”. Nella prima – in cui Enzo Grimaldo, a bordo della sua nave, esprime l’ansia per l’attesa della sua amata, Laura, nell’incanto della laguna notturna – Pretti ha confermato pienamente le sue doti interpretative quanto a fraseggio, intensità espressiva, controllo della voce. Analogamente la Pirozzi in “Suicidio”– uno struggente monologo, dal potente pathos, in cui Gioconda si abbandona a cupi pensieri di morte – si è dimostrata di nuovo pienamente all’altezza, sapendo piegare la sua voce alle esigenze della musica e del testo, in cui il rimpianto si unisce al “cupio dissolvi”.
Il Puccini più acclamato era rappresentato – oltre che da “Recondita armonia”, di cui sopra – da due brani rispettivamente da La Bohème e Madama Butterfly. Dopo l’affermazione ottenuta con Manon Lescaut, il trentacinquenne Puccini si mise a lavorare alla Bohème (apparsa sulla scena nel 1896), una delle opere più popolari di tutti i tempi, in cui episodi scanzonati si alternano a momenti di intenso lirismo. Uno di questi è il duetto: “Oh Mimì, tu più non torni” tra Rodolfo e Marcello, in apertura del quarto atto: nella disadorna soffitta i due amici tentano l’uno di scrivere, l’altro di dipingere, ma entrambi sono distratti dal nostalgico ricordo della rispettiva amante, purtroppo perduta insieme alla giovinezza. Affiatatissimi e veramente ispirati si sono dimostrati Piero Pretti e Davide Luciano nel rendere la dimensione psicologica di questo momento teneramente nostalgico. Quanto a Madama Butterfly, è certo che il suo debutto alla Scala (1904) fu un fiasco clamoroso, organizzato dall’editore Sonzogno, rivale di Ricordi; nondimeno l’opera, di lì a poco, avrebbe conosciuto una serie interminabile di successi. Motivi ed effetti timbrici dal sapore orientale accompagnano il percorso psicologico della protagonista dall’iniziale ingenuità fino alla disperata presa di coscienza del suo tragico destino. “Bimba, bimba non piangere” è il duetto che chiude il primo atto. Dopo l’improbabile cerimonia nuziale e la tremenda sfuriata dello zio bonzo che giunge a rinnegare la nipote, Pinkerton e Butterfly possono finalmente rimanere soli. Straordinaria è risultata la prestazione degli interpreti, Anna Pirozzi e Piero Pretti, nel creare, insieme alla musica sublime di Puccini, l’incanto della notte stellata, nella quale la timida, infantile, inconsapevole giapponesina infiamma la disinvolta sensualità dell’ufficiale americano. Di tutto questo, nume tutelare è stato ancora una volta il maestro milanese, che ha dimostrato un’eleganza stilistica – accompagnata, dove occorre, da una scelta di tempi adeguatamente dilatati –, doverosa di fronte alla magia di questa pagina indimenticabile. Fragorosi applausi si sono sentiti nel corso di tutta la serata e ovviamente alla fine.