Toti Dal Monte, pseudonimo di Antonietta Meneghel (Mogliano Veneto, 27 giugno 1893 – Pieve di Soligo, 26 gennaio 1975)
(…) La signora Toti: quanto inchiostro ha fatto scorrere questo nome, quanti aggettivi, quante iperboli di sapore dannunziano ha ispirato questo personaggio che del 1917 al 1949 si è mantenuto alla ribalta, restando sempre alla moda, forse perché riassumeva i gusti di un’epoca. (…)
Al di fuori della sua leggenda, una Toti del Monte viva e arguta, grande il cantante indiscussa per la purezza della voce, la preparazione tecnica e l’abilità scenica: è stata forse l’ultimo autentico prodigio del canto femminile. Non per niente era “l’usignolo d’Italia”, la “Divina”, o più semplicemente la “Toti nazionale”. Oltretutto, questa piccola donna, che impersona la storia di un quarto di secolo del melodramma (il più denso di nomi celebri, da Arturo Toscanini, Tito Schipa a Beniamino Gigli…) ha saputo uscire coraggiosamente dalla scena lirica al momento giusto. (…)
Nel salotto
(…) Oggi non vela gli specchi per ignorare l’opera crudele del tempo, nei si nutre di memorie del passato. Anzi: “Perché parlare del mio passato?”, dice. “Se se n’è già parlato tanto”. Questa “Divina”, inoltre, è proprio quale immaginavamo che fosse: gentile, morbida quasi timida, ma anche scherzosa è pronta la risata come sanno esserlo le venete. La sua voce tranquilla che ogni poco sale di tono nel guizzo di una battuta esce dall’ombra fresca di un salotto primo Novecento, coi vetri tondi a piombo e le persiane accostate (“La luce viva mi dà noia” dice). Da una parte il classico pianoforte a coda su cui troneggia e, a mezzo busto l’ immagine dell’adorata maestra di canto, Elisabetta Marchisio. Sulla parete un profilo in ceramica bianca di Toscanini . Tutto intorno, fra rasi rossi, cancelletti in ferro battuto e colonne di tipo corinzio, spiccano i ritratti marmorei della cantante ripresa in vari momenti della sua carriera. (…)
Sino a poco tempo fa, nella villa, era attiva una scuola di alto perfezionamento per cantanti . Ora la scuola è chiusa: “Le dirò, mi sono scoraggiata quando ho capito che molte delle mie allieve venivano da me soltanto per ammazzare il tempo. I giovani oggi sono così strani: sembrano a prendere tutto estremamente alla leggera”.
L’attrice
“Mentre io, la mia carriera me la sono sudata tutta e anche ora che sto affrontando un campo diverso” . Il campo diverso è la prosa. La Toti ha vari precedenti come attrice: fu Renato Simoni a scoprirla nel 1936 al Massimo di Palermo, mentre interpretava la Rosina del Barbiere di Siviglia. Le offerse la parte di Luzieta nelle Baruffe chiozzotte accanto ad attori celebri quali Gianfranco Giachetti, Cesco Baseggio, Carlo Micheluzzi e Gino Cavalieri. la Toti accettò e la critica accettò lei con estremo favore: e fu così che la cantante scoprì di poter “sfondare” anche nella prosa e, il suo secondo “autout”, diciamo (ne ha anche un terzo la pittura: “I colori” ci dice, “hanno la stessa musicalità delle note, l’armonia dei colori vale quella di una sinfonia per me”). Nel 1949 decise di abbandonare la lirica, benché la voce fosse ancora molto bella, come dimostra un episodio di alcuni anni fa. Durante uno dei suoi viaggi in Russia, la Toti dovette consultare un medico per una laringite e si sentì dire attraverso l’interprete: “Due settimane di cura e poi potrà riprendere a cantare“. “Ma sono almeno quindici anni che non canto più!” rispose la Toti a il medico: “Peccato perché le sue corde vocali sono ancora perfettamente unite”.
Ma, ci dice la Toti, a un certo punto non è più questione di corde vocali, bensì di fiato. E quando il fiato è corto, addio. Il fiato le bastava, a ogni modo, per restare sul palcoscenico. Al fianco di Baseggio prese parte a una serie di recite goldoniane che affrontò con l’ardore e l’impegno che mise in tutte le cose, ma specialmente con la naturalezza di chi non ha corsi di arte drammatica alle spalle. E un giorno che qualcuno le osservava con occhio critico, durante le prove, Baseggio disse: “Lo so, lo so che non la recita secondo la tradission, ma la me piaxe così e la lasso far”.Toti dice, e con ragione, che una brava cantante lirica deve essere anche un’attrice. Per questo i personaggi da lei preferiti erano quelli più “umani”: Mimì, Rosina, Norina. “Cantare, in fondo è assai più faticoso che fare soltanto l’attrice: questo, anche se si è molto dotati e si ha la voce facile. Sono rari i momenti in cui una cantante può liberarsi dalla schiavitù del pentagramma e della bacchetta del maestro, per entrare nel vivo del personaggio “. (Estratto da “Toti Dal Monte, l’ultima “Divina” della lirica italiana di Donata Gianeri, 1967)
(…) La signora Toti: quanto inchiostro ha fatto scorrere questo nome, quanti aggettivi, quante iperboli di sapore dannunziano ha ispirato questo personaggio che del 1917 al 1949 si è mantenuto alla ribalta, restando sempre alla moda, forse perché riassumeva i gusti di un’epoca. (…)
Al di fuori della sua leggenda, una Toti del Monte viva e arguta, grande il cantante indiscussa per la purezza della voce, la preparazione tecnica e l’abilità scenica: è stata forse l’ultimo autentico prodigio del canto femminile. Non per niente era “l’usignolo d’Italia”, la “Divina”, o più semplicemente la “Toti nazionale”. Oltretutto, questa piccola donna, che impersona la storia di un quarto di secolo del melodramma (il più denso di nomi celebri, da Arturo Toscanini, Tito Schipa a Beniamino Gigli…) ha saputo uscire coraggiosamente dalla scena lirica al momento giusto. (…)
Nel salotto
(…) Oggi non vela gli specchi per ignorare l’opera crudele del tempo, nei si nutre di memorie del passato. Anzi: “Perché parlare del mio passato?”, dice. “Se se n’è già parlato tanto”. Questa “Divina”, inoltre, è proprio quale immaginavamo che fosse: gentile, morbida quasi timida, ma anche scherzosa è pronta la risata come sanno esserlo le venete. La sua voce tranquilla che ogni poco sale di tono nel guizzo di una battuta esce dall’ombra fresca di un salotto primo Novecento, coi vetri tondi a piombo e le persiane accostate (“La luce viva mi dà noia” dice). Da una parte il classico pianoforte a coda su cui troneggia e, a mezzo busto l’ immagine dell’adorata maestra di canto, Elisabetta Marchisio. Sulla parete un profilo in ceramica bianca di Toscanini . Tutto intorno, fra rasi rossi, cancelletti in ferro battuto e colonne di tipo corinzio, spiccano i ritratti marmorei della cantante ripresa in vari momenti della sua carriera. (…)
Sino a poco tempo fa, nella villa, era attiva una scuola di alto perfezionamento per cantanti . Ora la scuola è chiusa: “Le dirò, mi sono scoraggiata quando ho capito che molte delle mie allieve venivano da me soltanto per ammazzare il tempo. I giovani oggi sono così strani: sembrano a prendere tutto estremamente alla leggera”.
L’attrice
“Mentre io, la mia carriera me la sono sudata tutta e anche ora che sto affrontando un campo diverso” . Il campo diverso è la prosa. La Toti ha vari precedenti come attrice: fu Renato Simoni a scoprirla nel 1936 al Massimo di Palermo, mentre interpretava la Rosina del Barbiere di Siviglia. Le offerse la parte di Luzieta nelle Baruffe chiozzotte accanto ad attori celebri quali Gianfranco Giachetti, Cesco Baseggio, Carlo Micheluzzi e Gino Cavalieri. la Toti accettò e la critica accettò lei con estremo favore: e fu così che la cantante scoprì di poter “sfondare” anche nella prosa e, il suo secondo “autout”, diciamo (ne ha anche un terzo la pittura: “I colori” ci dice, “hanno la stessa musicalità delle note, l’armonia dei colori vale quella di una sinfonia per me”). Nel 1949 decise di abbandonare la lirica, benché la voce fosse ancora molto bella, come dimostra un episodio di alcuni anni fa. Durante uno dei suoi viaggi in Russia, la Toti dovette consultare un medico per una laringite e si sentì dire attraverso l’interprete: “Due settimane di cura e poi potrà riprendere a cantare“. “Ma sono almeno quindici anni che non canto più!” rispose la Toti a il medico: “Peccato perché le sue corde vocali sono ancora perfettamente unite”.
Ma, ci dice la Toti, a un certo punto non è più questione di corde vocali, bensì di fiato. E quando il fiato è corto, addio. Il fiato le bastava, a ogni modo, per restare sul palcoscenico. Al fianco di Baseggio prese parte a una serie di recite goldoniane che affrontò con l’ardore e l’impegno che mise in tutte le cose, ma specialmente con la naturalezza di chi non ha corsi di arte drammatica alle spalle. E un giorno che qualcuno le osservava con occhio critico, durante le prove, Baseggio disse: “Lo so, lo so che non la recita secondo la tradission, ma la me piaxe così e la lasso far”.Toti dice, e con ragione, che una brava cantante lirica deve essere anche un’attrice. Per questo i personaggi da lei preferiti erano quelli più “umani”: Mimì, Rosina, Norina. “Cantare, in fondo è assai più faticoso che fare soltanto l’attrice: questo, anche se si è molto dotati e si ha la voce facile. Sono rari i momenti in cui una cantante può liberarsi dalla schiavitù del pentagramma e della bacchetta del maestro, per entrare nel vivo del personaggio “. (Estratto da “Toti Dal Monte, l’ultima “Divina” della lirica italiana di Donata Gianeri, 1967)