Comédie lyrique in tre atti su libretto di Louis Gallet dall’omonimo romanzo di Anatole France. Joshua Hopkins (Athanaël), Andrew Staples (Nicias), Nathan Berg (Palémon), Neil Aronoff (un servo), Erin Wall (Thaïs), Liv Redpath (Crobyle), Andrea Ludwig (Myrtale), Emilia Boteva (Albine), Stacey Tappan (La Charmeuse). Toronto Mendelssohn Choir, David Fallis (maestro del coro), Toronto Symphony Orchestra, Sir Andrew Davis (direttore).Registrazione: Roy Thomson Hall, Toronto, Ontario, Canada; 4–9 Novembre 2019 2 CD Chandos CHSA 5258(2)
Jules Massenet è un compositore dalle alterne fortune, amatissimo in vita è poi progressivamente scomparso dalle scene con l’eccezione di alcuni titoli sempre rappresentati e amati – “Manon” e “Werther” -che s’inseriscono in un genere realistico sentimentale che pur non essendo verista – anche se in passato sono stati letti in quel senso – s’inserisce in quella “poetica delle piccole cose” di sapore gozzaniano e proustiano che tanto affascinava la borghesia del tempo e a cui sono sostanzialmente ricondotte le vicende di queste opere pur in origine connotate da tutt’altri valori. Questa è però solo una parte dell’ecclettica produzione del musicista di Saint-Étienne che si è cimentato in tutti i generi in voga al tempo. Una parte non secondaria delle sue opere rientra nel genere dell’orientalismo nella forma arricchita di suggestioni storiche e archeologiche di fatto iniziata da Flaubert nel 1862 con “Salambò” ed esploso nei decenni seguenti come genere diffuso tra tutte le arti, capace di collegare come un filo rosso Moreau e Wilde passando appunto per Massenet.
“Thaïs” tratta da un romanzo di Anatole France unisce queste tematiche a un taglio “anti-cristiano” che però nell’opera si stempera in una contrapposizione tra sensi e misticismo, tra ebbrezze della carne e macerazioni dello spirito in cui la fascinazione atmosferica prevale sulla riflessione ideologica del romanzo.
Massenet realizza con quest’opera la miglior evocazione musicale di un’epoca affascinante e sfuggente, quel passaggio tra la fine dell’antichità e l’inizio del medioevo, alla fine dell’Impero romano e Bisanzio non era ancora, in cui la civiltà classica viveva i suoi ultimi bagliori e quella cristiana viveva il dramma del confronto con un passato ingombrante, ma necessario. Thaïs e Athanaël, simboli di due mondi incompatibili ma destinati inevitabilmente a incontrarsi, di un mondo decadente ma ancora capace di produrre seducente bellezza e di una forza selvaggia e inarrestabile combattuta tra il furore di distruggere tutto e il bisogno di far proprio quanto salvabile di quel mondo a costo di “bere dalla coppa dei demoni” per citare le parole di San Gerolamo. La seduzione subita dal monaco va oltre le pulsioni dei sensi, è l’inebriante profumo della bellezza antica. Athanaël, Il rozzo monaco, l’essere animalesco che nasconde le sue pulsioni bestiali sono l’ostentato abito della santità che tanto disgustava Libanio, il feroce parabalono distruttore – come non pensare al momento del rogo della statuetta di Eros ai tanti capolavori distrutti in quegli anni dalla ferocia monastica, viene sedotto irrimediabilmente da quel mondo che tanto odia come il tema di Thaïs che ritorna così seducente nel finale testimonia in modo incontrovertibile.
Limitata nei numeri ma qualitativamente molto elevata è la discografia di “Thaïs” fin dalle edizioni storiche con Renèe Doria ed Andrée Esposito fino agli anni recenti da Beverly Sills a Renée Fleming che ha fatto della cortigiana alessandrina uno dei suoi ruoli simbolo. Ancora dal nuovo mondo – ma “Thaïs” è legata all’America fin dalla sua prima interprete Sibil Sanderson – ma questa volta dal versante canadese arriva questa nuova registrazione per l’etichezza Chandos che dell’opera fornisce una versione quasi integrale (manca il balletto aggiunto nel 1898 con l’esclusione della scena della Charmeuse che viene recuperata).
Il Canada è noto soprattutto per gli strepitosi complessi di Montreal, quelli di Toronto non sono allo stesso livello ma si dimostrano una compagine valida in tutte le sue componenti e che nulla ha da invidiare a più blasonate compagini europee o statunitensi, ottima anche la prova del Toronto Mendelsshon Choir dotato della giusta energia richiesta dalla partitura. Il direttore britannico Andrew Davis non teme gli eccessi della scrittura musicale anzi tende ad esaltarli al massimo delle loro possibilità, siano l’esotismo sensuale e cangiante alla Moreau o l’infuocato abbandono dei duetti tra i protagonisti. Sonorità ricche, sgargianti, marcati contrasti cromatici, forte teatralità dei momenti più drammatici. Una direzione sicuramente d’impatto anche se non sfugge una certa superficialità, la mancanza di un tratto più sfumato e sofferto.
La lettura di Davis si ripercuote anche sulle scelte interpretative dei cantanti. Erin Wall viene da una militanza mozartiana, i più la ricorderanno come Fiordiligi nel “Così fan tutte” diretto da Daniel Harding con la regia di Patrick Chereau. Militanza mozartiana che ha lasciato positive tracce nella morbidezza dell’emissione – notevole il controllo sul fiato che porta a mezzevoci di notevole morbidezza. Il timbro caldo e seducente è perfetto per il personaggio. Di contro l’emissione di petto e nelle zone più estreme della tessitura (anche se le puntature “non scritte” sono omesse) è decisamente tesa, così come l’accento è troppo “sano”, troppo passionale, poco decadente rispetto a quanto ci si aspetterebbe dal simbolo stesso dell’ultimo ellenismo morente.
Pienamente centrata nella sua feroce robustezza è l’Athanaël di Joshua Hopkins (baritono attivo soprattutto in ruoli brillanti – al Met si è affermato come Mercutio, Papageno e Figaro), dotato di un colore scuro e di una notevole robustezza che qui viene piegata con efficacia alla maggior drammaticità del monaco che emerge in tutte le sue sfaccettature. La tessitura è retta con sicurezza e sul piano vocale non si notano difficoltà di sorta.
Debole il Nicias di Andrew Staples, tenore dall’emissione poco gradevole e dall’accento fin troppo “borghese” che rende poco la figura di questo raffinato esteta, elegantemente immorale, perfetto contraltare, nel suo scetticismo temprato dal culto della bellezza, alle granitiche certezze di Athanaël.
Nathan Berg ha dalla sua una lunga frequentazione con l’opera francese che si riconosce nel senso della parola e nel controllo stilistico. È un Palémon di bonaria intensità in contrasto con l’irruente Athanaël di Hopkins. Positiva la prova del resto del cast: vanno ricordate almeno la calda voce di Emilia Boteva come Albine e l’apprezzabile sicurezza di Stacey Tappan negli arabeschi vocali della Charmeuse. Registrazione nel complesso di buona qualità.