Cremona, Monteverdi Festival 2021: “L’Orfeo”

Cremona, Teatro Amilcare Ponchielli, Monteverdi Festival 2021         L’ORFEO
Favola pastorale di Alessandro Striggio
Musica di Claudio Monteverdi
Orfeo MAURO BORGIONI

La Musica/ Proserpina ROBERTA MAMELI
La Messaggera/ La Speranza GIUSEPPINA BRIDELLI
Caronte ALESSANDRO RAVASIO
Plutone DAVIDE GIANGREGORIO
Euridice CRISTINA FANELLI
Apollo LUCA CERVONI
Pastore I RAFFAELE GIORDANI
Pastore II ROBERTO RILIEVI
Pastore III DANILO PASTORE
Pastore IV GUGLIELMO BUONSANTI
Ninfa I PAOLA CIALDELLA
Ninfa II ISABELLA DI PIETRO
Spiriti infernali ROBERTO RILIEVI, RENATO CADEL
Orchestra e coro Monteverdi Festival Cremona Antiqua
Direttore e cembalo Antonio Greco
Maestro del Coro Dario Maccagnola
Regia Andrea Cigni
Scene e Costumi Lorenzo Cutùli
Luci Fiammetta Baldiserri
Coreografie Isa Traversi
Allestimento e produzione Fondazione Teatro “A. Ponchielli” Cremona
Cremona, 18 giugno 2021
Del ricco programma che il Festival Monteverdi di Cremona quest’anno offre – una settimana di concerti, opere, letture, eventi – le due proposte operistiche hanno un’importanza particolare: la prima è la più classica e sicura – sia per la popolarità dell’opera che per la produzione già portata in scena con successo, “L’Orfeo”; la seconda è un dittico composto da “Il ballo delle ingrate” e “Il combattimento di Clorinda e Tancredi”, una scelta di nicchia e intellettuale, resa ancora più coraggiosa da una nuova produzione che mira a un crossover d’opera e cinema. È chiaro, insomma che col primo si cerchi di riagganciarsi al pre-pandemia, mentre col secondo si tenti di riportare lo sguardo al futuro, com’è doveroso fare.
“L’Orfeo” per la regia di Andrea Cigni ha già raccolto molti consensi nel 2007, e ancora non mostra evidenti segni del passare del tempo; sontuosi e curatissimi i costumi e magnifiche ed efficaci le scene di Lorenzo Cutùli, maliose e calligrafiche al punto giusto le luci di Fiammetta Baldiserri. La regia in senso stretto sembra talvolta strizzare l’occhio a Bob Wilson – posizioni plastiche e movimenti geometrici si sprecano – ma quando c’è da cantare col cuore le maschere si sciolgono per lasciare il posto a un onesto mix di formalismo ed emozione, capaci di calibrare gesti e mimiche. Dal punto di vista estetico ci troviamo in uno scintillante barocco, che tuttavia non rinuncia a diverse suggestioni post-moderne – come la Speranza in abito dai richiami giapponesi, lo spirito infernale in tenuta leather e un mare di glitter che si riversa sulla scena: questi elementi, però, trovano il giusto punto di armonia, compenetrandosi senza sovrapporsi, dando una riuscita resa d’insieme sia tradizionale che originale. Sul piano musicale, invece, la resa è stata  discontinua: eccellente prova per Mauro Borgioni nel ruolo principale, partecipe emotivamente e dalla solidissima tecnica, che si esprime in pieno  nella dizione pulita e nella cura del canto d’agilità (esemplare in tal senso l’inizio del Quinto Atto); convince meno  il Caronte di Alessandro Ravasio, caratterizzato da un canto un po’ opaco; pregevole vocalità ci rivela Roberta Mameli, nel doppio ruolo della Musica e di Proserpina: purtroppo, il fraseggio a causa di  un eccessivo immascheramento del canto,  risulta  privo di scioltezza e chiarezza; apprezzabile, invece, il mezzosoprano Giuseppina Bridelli, accorata Messaggera e ancora più intensa Speranza, ricca di colori e padrona della linea di canto; precisione nell’emissione e nel fraseggio anche da Cristina Fanelli, un’Euridice forse solo un po’ rigida scenicamente; buone prove, pur nelle diverse tonalità e personalità vocali, anche da Davide Giangregorio e Luca Cervoni (Plutone e Apollo), e belle rese canore hanno dato negli insiemi i quattro pastori (Raffaele Giordani, Roberto Rilievi, Danilo Pastore, Guglielmo Buonsanti), che hanno incantato la platea soprattutto nel finale dell’Atto Secondo. Ottimo il lavoro sul coro del maestro Diego Maccagnola, mentre alcune riserve sorgono sulla concertazione del maestro Antonio Greco, che non è parso sempre pienamente padrone della scena e della cavea: alcuni suoni, in particolare, risultavano poco eufonici e poco precisi (ad esempio un organo dai registri da rivedere su “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”). Peccato, perché nel complesso la serata ha saputo restituire con smalto e fascino il classico monteverdiano per eccellenza. Foto Marco Ayala