Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2020-2021
Orchestra del teatro La Fenice
Direttore Henrik Nánási
Giuseppe Verdi: “La forza del destino”, Sinfonia
Pëtr Il’ič Čajkovskij : Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64
Venezia, 8 maggio 2021
Il tema del destino accomuna le due composizioni in programma per questo concerto, che segna la ripresa della Stagione Sinfonica del Teatro La Fenice in presenza del pubblico, forzatamente assente per lungo tempo dalla Sala del Selva, potendo comunque assistere in diretta streaming agli spettacoli, realizzati pur tra le difficoltà del momento; un tema, che assume un significato particolare in questo tribolato periodo, che stiamo attraversando, nel quale il mito delle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità è messo in crisi da un nemico invisibile quanto spietato, che emotivamente può apparire come un segno del fato avverso, anche se ad una più attenta riflessione le responsabilità di questa terribile pandemia ricadono sull’Uomo e la sua incapacità di promuovere uno sviluppo sostenibile. Ma il discorso ci porterebbe lontano …
Sul podio dell’orchestra del teatro – che per assicurare un adeguato distanziamento tra i musicisti occupava l’intero spazio della platea – era l’ungherese Henrik Nánási, già noto al pubblico veneziano per essere stato uno dei protagonisti della Stagione Sinfonica 2016-2017. Tutt’intorno gli spettatori, in numero assai ridotto, sparpagliati nei palchi e nelle gallerie. Va da sé che per tutto il mese di maggio questo e gli altri concerti previsti saranno diffusi anche online, consentendo a coloro che il teatro non può ancora accogliere di seguirli sul sito della Fenice o su quello di You Tube.
Quanto al primo titolo in programma, è noto che Verdi scrisse la sinfonia de La forza del destino per la seconda versione dell’opera. Sebbene la versione originale, rappresentata al Teatro Imperiale di Pietroburgo il 10 novembre 1862, avesse riscosso notevole successo sia da parte del pubblico che della critica, l’autore negli anni successivi riprese in mano la partitura per sottoporla a un’accurata revisione: riscrisse parte del libretto con l’aiuto di Antonio Ghislanzoni; mutò l’ordine delle scene, sopprimendone alcune; rese meno truce il finale; sostituì il preludio appunto con la celebre sinfonia. La nuova versione andò in scena al Teatro alla Scala di Milano il 27 Febbraio del 1869. L’esecuzione di questa splendida pagina verdiana ha subito testimoniato dell’eccellente stato di salute dell’orchestra, sapientemente guidata dal gesto discreto ma nel contempo generoso di suggerimenti espressivi del direttore magiaro, che indicava anche ogni attacco. La sua lettura suggestiva ed equilibrata si sposava mirabilmente a un edonismo del suono, che risultava davvero seducente anche grazie a un’orchestra, perfettamente coesa e scattante, che ha intonato, tra slanci e rapimenti, i vari temi desunti dall’opera, di cui la sinfonia si compone, così ben caratterizzati nel ritmo, nel timbro, nella melodia: dopo il motto di apertura, il ricorrente, incisivo tema del destino generalmente associato a Leonora; il tema corrispondente a “Le minacce, i fieri accenti” contenuto nell’ultimo duetto fra don Alvaro e don Carlo; quello relativo all’ultima parte dell’implorazione di Leonora “Madre, pietosa Vergine”; e poi altri elementi tematici, che in buona parte rimandano al Padre Guardiano e, in particolare, al duetto tra quest’ultimo e Leonora (“Eterno Iddio, tua grazia” e “A Te sia gloria, o Dio clemente”), fino alla poderosa coda.
Il tema del destino domina, come si è accennato, anche nella Quinta sinfonia di Čajkovskij, composta tra il maggio e l’ottobre 1888 ed eseguita per la prima volta a Pietroburgo il 5 novembre dello stesso anno, sotto la direzione dell’autore stesso, meritandosi solo una tiepida accoglienza da parte del pubblico; il che indusse il musicista russo, dall’indole tutt’altro che ottimistica, a giudicare – almeno per qualche tempo – negativamente questo suo lavoro per poi riabilitarlo solo in parte, non ritenendosi mai del tutto soddisfatto del finale. Come una sorta di Leitmotiv, il tema del destino lega ciclicamente i quattro movimenti della composizione. Un profondo pessimismo si è colto nella prima parte movimento iniziale, Andante, in cui il clarinetto, nel registro basso, ha trovato il giusto accento nell’intonare questo tema ricorrente dai ritmi puntati, che si presenta in una veste assai cupa, ad esprimere secondo le intenzioni dell’autore “una completa rassegnazione di fronte al destino”; temi danzanti e patetici si sono susseguiti poi conducendo allo sconsolato finale. Un carattere più drammatico dominava nel successivo Allegro con anima, che sviluppa elementi già presentati: il malinconico tema iniziale e il secondo tema dall’andamento di danza. Ragguardevole, per pulizia dell’esecuzione e sensibilità interpretativa, è apparso l’impegnativo intervento del corno, che apre, con un canto accorato, il secondo movimento, Andante cantabile, in forma tripartita; estremamente espressivi gli archi nella sezione centrale, una struggente melodia loro affidata, ricca di slancio, come spesso accade in Čajkovskij; poi, prima della ripetizione della sezione iniziale, gli ottoni hanno fatto risuonare, con la loro potenza dirompente, il tema del destino, successivamente ripreso nella parte conclusiva dell’Andante, che si spegne sommessamente in pianissimo. Un tono appena venato di tristezza, ha percorso il terzo movimento, Allegro moderato, un tipico valzer alla maniera di Čajkovskij. Più sereno è risultato il clima nella prima parte del quarto movimento, Andante maestoso, aperto dallo stesso tema del destino, che si presenta, però, in modo maggiore, assumendo un carattere di pacata rassegnazione. Seguiva, con deciso cambiamento di tono, il luminoso, monumentale Allegro vivace, in cui gli ottoni a perdifiato, hanno intonato, con incedere militaresco, ancora in modo maggiore, il tema del destino, conducendo al finale, dove molti ravvisano un eccessivo, quasi sforzato trionfalismo, considerando le tinte fosche dell’inizio, cosicché questo finale è stato accostato a quello della Quinta di Šostakovič, anch’esso esageratamente grandioso ed ottimistico …