Shirley Verrett (31 maggio 1931, New Orleans, Louisiana – 5 novembre 2010, Ann Arbor, Michigan)
Ad un certo momento, si poteva menzionare il nome di Shirley Verrett e sapere esattamente cos’era: un mezzosoprano americano dalla voce ricca che aveva iniziato la sua carriera con una forte enfasi nel recital e nel concerti, ma che alla fine si era spostata sempre più frequentemente, con impatto sempre più dinamico nell’arena dell’opera, ricoprendo tutti i ruoli più classici della sua vocalità (Amneris, Carmen, Orfeo, Eboli…). Ma col passare degli anni il cambiamento era nell’aria. Una cantante la cui voce aveva sempre avuto una forte estensione acuta per un mezzosoprano cominciava ora ad esplorare il repertorio da soprano, iniziando con quelle parti considerate come punti di raccordo: Lady Macbeth, la regina Elisabetta (Maria Stuarda), Adalgisa… Poco dopo tenta l’impossibile: fu Norma (la prima artista della storia dell’opera del Metropolitan ad avere mai cantato entrambe le parti nel teatro). Cantò quindi la parte di protagonista nell’ Aida, Amelia nel ballo in maschera, Tusca Leonora/ Fidelio di Beethoven.
In un epoca che gode della specializzazione canora, Shirley Verrett divenne un enigma. Cosa è esattamente? Soprano o mezzo? Alla fine i critici e il pubblico giunsero a capire che questa è una voce unica, che si adatta dove si adatta, non importa come il compositore abbia etichettato la parte, riandando all’apogeo del XIX° secolo quando gli artisti cantavano quanto si adattava loro o li solleticava. Lei ha guardato il repertorio e ha trovato parti che si adattano alla sua voce: le richieste della tessitura in tutte le zone della voce, ed il suo temperamento che fiammeggia. Si capisce che – come per molti altri cantanti contemporanee – la sua ispirazione, il suo modello è Maria Callas per il meglio o per il peggio.
Cresciuta a New Orleans e poi nella California del Sud, in una famiglia di bravi cantanti dilettanti: sua madre soprano e suo padre direttore di coro. L’opera era fuori programma perché erano Avventisti del Settimo Giorno che guardavano in cagnesco il teatro. Ma cantare in concerti andava bene e la giovane Verrett considerava Marian Anderson, la pioniera americana delle “black voices”. Il fascino sempre più forte del teatro così come la sua personalità sembrò maturare per le scene perché porta con sé un’intensità statuaria che inchioda l’attenzione. È bella e magnetica, fiera ed elegante.
Mentre studiava e vinceva premi come mezzosoprano, nascosto dentro la sua mente c’era il pensiero che, in realtà, la sua voce avesse possibilità da soprano. Lentamente, da sola, cominciò a lavorare sul centro del suo strumento per dominare la parte di soprano e raggiungere la resistenza che richiedono. Il suo sistema di vocalizzi le estese in alto la voce al Re o perfino al Mi bemolle, sopra il Do maggiore, dandole solidità sul Do e Re bemolle. Riuscì ad infrangere molte regole, ad essere anti-ortodossa, iconoclastica.
Shirley Verrett comincio la sua vita da cantante con una stupefacente sincerità emotiva, un’onesta un desiderio di comunicare che trascinò i suoi ascoltatori nella sua sfera infuocata. Il suo lavoro veniva dalla profondità dell’anima. L’aura del successo portò una certa grandiosità alla sua persona, un senso di divismo. Pure non si è mai sistemata in alcun “cliché”, in un nessuna prevedibile routine. Riassumendo la sua personalità artistica, lei ha detto: “Ciò che deve fare ogni artista è mettere insieme conoscenza ed applicarla a qualsiasi parte lui o lei stia cantando. La propria esperienza di vita devo entrare in ogni parte e le risorse vocali devono essere usate il più intelligentemente possibile. Dopo tutto, ciò è quello che significa, in fondo dovrebbe essere una cantante d’opera”. Shirley Verrett è un po’ misteriosa, decisa, seria. Fa le sue regole lei stessa. Shirley Verrett è una serie di “variazioni su un enigma”. (Da “Gente dell’Opera” di Robert M.Jacobson, NY,1982)
Ad un certo momento, si poteva menzionare il nome di Shirley Verrett e sapere esattamente cos’era: un mezzosoprano americano dalla voce ricca che aveva iniziato la sua carriera con una forte enfasi nel recital e nel concerti, ma che alla fine si era spostata sempre più frequentemente, con impatto sempre più dinamico nell’arena dell’opera, ricoprendo tutti i ruoli più classici della sua vocalità (Amneris, Carmen, Orfeo, Eboli…). Ma col passare degli anni il cambiamento era nell’aria. Una cantante la cui voce aveva sempre avuto una forte estensione acuta per un mezzosoprano cominciava ora ad esplorare il repertorio da soprano, iniziando con quelle parti considerate come punti di raccordo: Lady Macbeth, la regina Elisabetta (Maria Stuarda), Adalgisa… Poco dopo tenta l’impossibile: fu Norma (la prima artista della storia dell’opera del Metropolitan ad avere mai cantato entrambe le parti nel teatro). Cantò quindi la parte di protagonista nell’ Aida, Amelia nel ballo in maschera, Tusca Leonora/ Fidelio di Beethoven.
In un epoca che gode della specializzazione canora, Shirley Verrett divenne un enigma. Cosa è esattamente? Soprano o mezzo? Alla fine i critici e il pubblico giunsero a capire che questa è una voce unica, che si adatta dove si adatta, non importa come il compositore abbia etichettato la parte, riandando all’apogeo del XIX° secolo quando gli artisti cantavano quanto si adattava loro o li solleticava. Lei ha guardato il repertorio e ha trovato parti che si adattano alla sua voce: le richieste della tessitura in tutte le zone della voce, ed il suo temperamento che fiammeggia. Si capisce che – come per molti altri cantanti contemporanee – la sua ispirazione, il suo modello è Maria Callas per il meglio o per il peggio.
Cresciuta a New Orleans e poi nella California del Sud, in una famiglia di bravi cantanti dilettanti: sua madre soprano e suo padre direttore di coro. L’opera era fuori programma perché erano Avventisti del Settimo Giorno che guardavano in cagnesco il teatro. Ma cantare in concerti andava bene e la giovane Verrett considerava Marian Anderson, la pioniera americana delle “black voices”. Il fascino sempre più forte del teatro così come la sua personalità sembrò maturare per le scene perché porta con sé un’intensità statuaria che inchioda l’attenzione. È bella e magnetica, fiera ed elegante.
Mentre studiava e vinceva premi come mezzosoprano, nascosto dentro la sua mente c’era il pensiero che, in realtà, la sua voce avesse possibilità da soprano. Lentamente, da sola, cominciò a lavorare sul centro del suo strumento per dominare la parte di soprano e raggiungere la resistenza che richiedono. Il suo sistema di vocalizzi le estese in alto la voce al Re o perfino al Mi bemolle, sopra il Do maggiore, dandole solidità sul Do e Re bemolle. Riuscì ad infrangere molte regole, ad essere anti-ortodossa, iconoclastica.
Shirley Verrett comincio la sua vita da cantante con una stupefacente sincerità emotiva, un’onesta un desiderio di comunicare che trascinò i suoi ascoltatori nella sua sfera infuocata. Il suo lavoro veniva dalla profondità dell’anima. L’aura del successo portò una certa grandiosità alla sua persona, un senso di divismo. Pure non si è mai sistemata in alcun “cliché”, in un nessuna prevedibile routine. Riassumendo la sua personalità artistica, lei ha detto: “Ciò che deve fare ogni artista è mettere insieme conoscenza ed applicarla a qualsiasi parte lui o lei stia cantando. La propria esperienza di vita devo entrare in ogni parte e le risorse vocali devono essere usate il più intelligentemente possibile. Dopo tutto, ciò è quello che significa, in fondo dovrebbe essere una cantante d’opera”. Shirley Verrett è un po’ misteriosa, decisa, seria. Fa le sue regole lei stessa. Shirley Verrett è una serie di “variazioni su un enigma”. (Da “Gente dell’Opera” di Robert M.Jacobson, NY,1982)