Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza: MM Contemporary Dance Company

Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza
“DUO D’EDEN”
Coreografia e colonna sonora Maguy Marin
Coreografia rimontata da Cathy Polo ed Ennio Sammarco
Costumi Montserrat Casanova
luci Pierre Colomer
interpreti: Fabiana Lonardo, Lorenzo Fiorito
“BRUTAL LOVE POEMS”
Coreografia Thomas Noone  
Musica Jim Pinchen
Luci Thomas Noone
Costumi Enrico Morelli
Interpreti:  Dylan Di Nola, Lorenzo Fiorito, Matilde Gherardi, Annalisa Perricone
“LA METÀ DELL’OMBRA” 
Coreografia Michele Merola 
Musica Johann Sebastian Bach, Geert Hendrix, Senking
Costumi Carlotta Montanari
Interpreti:  Dylan Di Nola, Lorenzo Fiorito, Paolo Lauri, Nicola Stasi, Giuseppe Villarosa
Produzione MM Contemporary Dance Company
Reggio Emilia, 25 maggio 2021
Forse volutamente o forse inconsciamente, il bellissimo trittico di coreografie prodotto e messo in scena dalla MM Contemporary Dance Company di Michele Merola ci riporta alle origini (dell’uomo, della danza) e da lì ci fa ripartire, che sembra quasi un atto dovuto; una sorta di presa in carico della voglia di chi vuole ricominciare a far parte dello spettacolo: il pubblico. Il sibilo dei respiri, l’eco delle sberle auto inflitte sui corpi nudi, i tonfi per terra, la musica che avvolge e le nuvole di fumo, tanto fumo e la penombra che dà profondità, accresce il mistero e amplifica i sensi. Rivivere in presenza quest’atmosfera ci mancava a causa del ripetuto prolungarsi della chiusura dei teatri per effetto dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid. E ricominciamo dal Paradiso (DUO DEDEN) dove Eva (Fabiana Lonardo) nasce da Adamo (Lorenzo Fiorito) e i due sono una cosa sola. Le prese possenti di lui fanno del corpo di lei una sua estensione, che a tratti rimane sospesa leggera e in altri giace pesante. Il fragore delle acque celesti e terrestri, impetuoso e costante, concentra la nostra attenzione sul silenzio degli amplessi dei due, che si afferrano e si trattengono con estrema bravura, in particolare nelle torsioni e contorsioni plastiche di lei e negli stacchi e controprese di lui. Eccezionale poi assistere a come i due, avvinti in un corpo solo, trovino nuovi equilibri, tanto da riuscire a muoversi nello spazio, a non rimanere mai fermi, mai lontani tra loro. Ma poi li vedi meglio e scopri che vestono abiti/pelle e maschere con i rozzi tratti somatici di due primitivi. Ci appaiono decisamente meno eterei per i piegamenti e le pose da danza tribale; più in sintonia con l’anima grottesca della loro coreografa Maguy Marin, già Cavaliere dell’Ordine delle Arti e della Letteratura. Quindi l’idillio termina e, dopo un’intesa perfetta, con movimenti all’unisono, la “Prima donna” è lasciata per terra mentre in posizione fetale si aggrappa alle caviglie del “Primo uomo” che procede così a stento: l’innocenza è perduta e il peccato coinvolge nel vivo i sentimenti. Con BRUTAL LOVE POEMS dello spagnolo Thomas Noone il ritmo si fa decisamente più frenetico e l’accompagnamento musicale, ricco di contrasti sonori (e di canti), sottolinea ed evidenzia uno stile energico, ben calibrato e carico di sfumature. Doppia coppia in scena con un bel repertorio di slanci, prese e svincoli l’un, l’altra e l’altro. Giochi di intese ai limiti della lite e di allontanamenti con l’intromissione di gesti pacificatori (braccio teso, mano aperta e sguardo a terra) a calmare gli animi, cioè a fare da soluzione di continuità tra i momenti della coreografia. Per quanto detto riteniamo BRUTAL LOVE POEMS fortemente narrativo, quanto lo è un poema epico, perché è sì di impatto visivo, ma musica e movimenti, come le figure retoriche e gli epiteti formulari dell’epica, inscenano rapporti interpersonali ed evidenziano espressioni del desiderio dell’altro e il rifiuto di sé; per cui l’amore è odio, è tensione, è confronto diretto senza sconto. Magnifiche poi le prese per gli avambracci in torsione dei quattro danzatori che formano un quadrilatero che sembra un nastro di Möbius. E siamo a L’ALTRA METÀ DELL’OMBRA, il gran finale, una vera è propria magia: 28 minuti densi di phatos e carichi di bellezza, per ritornare alle reminiscenze dell’epica. Ognuno per sé, tutti per uno: l’essere è solo di fronte al divino. Per terra giacciono corpi di uomini che d’un tratto sorgono tra spasmi grazie al soffio della vita che passa tra loro (una figura in saio bianco e cappuccio): sono vegeti e ora vanno, voltando le spalle a noi, spariscono nell’ombra. E riappaiono i loro corpi scultorei. Si riuniscono e danzano insieme (c’è come solidarietà tra loro), danze tribali (braccia aperte curve e tese ad abbraccio, gambe aperte, ginocchio flesso) che sono la manifestazione della gioia e del dolore insieme, quel male di vivere; quel doloroso malessere che imprigiona (Montale). Ma l’uomo ha mille risorse e sa trovare il proprio posto, incedendo sui toni barocchi di Bach. E lo fa, in ultimo, con la redenzione, auto flagellandosi il petto con quelle che vorrebbero essere le ceneri, un gran bell’effetto scenico, coreografato con pose statuarie perfette. Un richiamo al DUO D’EDEN dove tutto ha avuto inizio (un re-inizio): un’evocazione poetica simbolica; lì un purificarsi, qui un incensarsi, entrambe azioni a voler consacrare l’arte. Foto Riccardo Panozzo, Tiziano Ghidorsi, Roberto Pia