Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 15 agosto 1769 – Longwood, Isola di Sant’Elena, 5 maggio 1821)
A 200 anni dalla morte
“Fra tutte le arti belle, la musica è quella che un legislatore dovrebbe più di ogni altra incoraggiare. Una sinfonia profondamente sentita, di autore maestoso, commuove immancabilmente l’animo e ha maggiore risultato di un libro morale, il quale, persuade la ragione, ma non influisce sulle abitudini.”
Questo è uno dei tanti pensieri sulla musica di Napoleone. Un argomento spesso liquidato con facili aneddoti e con pregiudizi, come quello che vuole che Napoleone non si interessasse di musica e che, addirittura, non l’amasse affatto. Alcuni dei compositori della sua epoca sono stati studiati separatamente: Luigi Cherubini, Gaspare Spontini, Ferdinando Paer, meno François-Adrien Boieldieu e Jean-François Lesueur, sono stati trattati fuori da contesto napoleonico.
Napoleone amava la musica per gusto personale e non solo per puro calcolo politico (ossia come mezzo di propaganda politica). In questo “gusto personale”, un posto particolare lo aveva la musica italiana e in particolare Giovanni Paisiello. Naturalmente, data la personalità come quella di Napoleone, in cui l’uomo di stato si mescola con il legislatore e l’amministratore, rimane difficile trovare spazio anche per l’arte. Come sappiamo, in realtà, Napoleone, attraverso l’arte voleva lasciare un’immagine del suo regno alla posterità (vedi ad esempio le opere di Antonio Canova o di Jacques-Louis David). Hector Berlioz scriverà che Napoleone “aveva incoraggiato la creazione di opere che fossero legate alla gloria della Nazione”. Importante la creazione di un Concorso per le Arti, vinto, per la musica, da Gaspare Spontini con la sua “Vestale” (1807), opera per la quale Napoleone aveva pronosticato un sicuro successo. I detrattori di Napoleone affermavano che era “stonato” e perciò non amava la musica. Questo non era affatto vero. Vi sono testimonianze che dicono il contrario, che avesse un ottimo “orecchio” , anche se non aveva pretese canore, così come era ignorante, sotto il profilo tecnico (non sapeva cioè leggere la musica). Del resto veniva da una famiglia abbastanza indifferente all’arte. Napoleone conosceva “la matematica, l’Artiglieria e Plutarco”, per tutto il resto si considerò autodidatta. Amava la voce umana, da qui la sua predilezione per la musica vocale. Da giovane, quando era ufficiale di artiglieria, Napoleone scrisse lodi per la celebre Antoinette Saint-Huberty (1756-1812),acclamata interprete dell’Armide di Gluck e della Didon di Piccinni. A Milano, durante la campagna d’Italia, è conquistato invece dalle doti del soprano Giuseppina Grassini (1773-1850) che in seguito porterà a Parigi e che colmerà di onori. Nel 1809, qualcuno scrisse che Napoleone apparve commosso fino alle lacrime dopo aver ascoltato il sopranista Girolamo Crescentini (1762-1846) che cantava un’aria di Nicola Zingarelli (compositore destinato, in età imperiale, a grande fama). A detta di molti, pare che la musica riesca a lenire gli affanni dell’imperatore, a trasportarlo lontano dalle preoccupazioni di statista. Abbiamo già fatto cenno al fatto che Napoleone amasse la musica italiana e in particolare il “vecchio” Paisiello, per la dolcezza e la semplicità della sua musica. Ascoltandone la musica, Napoleone sembra trasformarsi immediatamente. Le sue collere repentine, spesso programmate anticipatamente per destare scalpore, lasciano il posto a una sottile malinconia. Altra cosa era il suo “ficcare il naso” nella musica, non molto amato dai musicisti stessi. Ad esempio, nel 1797 Bonaparte aveva definito l'”Hymne et marche funebre” scritto da Cherubini in memoria del defunto generale Hoche, una “composizione con un accompagnamento pesante, che sacrificava le voci”. Cherubini, da buon toscano, replicò che si può essere “abili sul campo di battaglia e non conoscere l’armonia”. Questo fatto, mise un po’ in cattiva luce il compositore, soprattutto in epoca imperiale. Napoleone non mancò di criticare anche l’amato Paisiello, reo di avere portato in scena “Prosérpine” (1803) un’opera “francese”, lui che era il più alto esempio della vecchia scuola italiana. (Fine prima parte)