Mariano Stabile (Palermo, 12 maggio 1888 – Milano, 11 gennaio 1968)
Giudice terribile
Stabile ricorda. “Il palcoscenico era ancora sconvolto per i lavori di riammodernamento allora in corso. Mi portarono lassù. Ferruccio Calusio mi disse di cominciare dal monologo del primo atto. E di lassù vidi seduto in platea, quel giudice terribile, che a testa bassa, tormentandosi i baffetti con due dita, sembrava non ascoltasse nemmeno: e invece mi studiava, anatomizzava la mia voce e la mia intelligenza musicale…E io sentivo che si giudicava la mia sorte”.
Toscanini gli disse solo: “Lei canta troppo con il metronomo”. Stabile fu umile quanto occorreva, non di più: “Maestro, non sono venuto per cantare Falstaff, ma solo perchè lei giudichi se ho le qualità per fare un giorno, Falstaff con lei”. Toscanini piombò in uno di quei suoi silenzi capaci di far morire d’ansia l’interlocutore. Poi disse: “Venga domattina alle dieci a casa mia, in via Durini”. È Stabile che ricorda. “Mi alzai quella mattina, alle cinque. Andai al Parco e incominciai a camminare, camminare. Cantavo quel che sapevo di Falstaff: per schiarire la voce (di solito alle dieci di mattino ero completamente afono) e per frenare i battiti del cuore. E all’ora fissata ero là, col dito sul campanello della casa del Maestro”.
Da allora Toscanini cominciò a “scolpire”, nella voce, nella persona e nell’animo del cantante, il personaggio di Falstaff. Maestro di ineguagliabile intuito, didatta meraviglioso; ma discepolo pronto, sensibilissimo. Ore e ore col Maestro, accanto al pianoforte; prima della “leggenda” di Stabile-Falstaff, nasce la leggenda di Toscanini che trasfonde il “suo” Falstaff (che è poi quello di Verdi) in Stabile. La storia dell’amica di casa Toscanini, che recatasi in visita e stufa di sentire uscire dallo studii del Maestro sempre quella frase (“Due fagiani…un’acciuga”), esce con la signora Carla; tornano dopo molte ore dopo, e quelli sono sempre lì: “Due fagiani…un’acciuga…”, da cantare con un filo di voce. La storia della frasetta: “Vado a farmi bello…”con quel “fa naturale” acuto che Toscanini, non solo pretende chiaro, piano, eppure non in falsetto: vuole che sia “come un sorriso”. Una nota che sorride? Stabile ricorda: “Mi fece ripetere quella frasina per settantatré volte, prima che io ne trovassi il colore giusto”. Il Falstaff è tutto così. È un miracolo anche per le infinite “intenzioni” di cui ogni nota è stata caricata dal suo autore.
Una cosa seria
Toscanini e Stabile, in quei mesi, scandagliarono la partitura verdiana con infinito amore e con infinita pazienza. E ogni volta che l’espressione giusta era trovata, essa si fissava nella mente del cantante per sempre. “Mondo ladro”… con il suo accento disgustato e involontario; “…che sarei guizzato attraverso un anello…”, con un guizzo, appunto nella voce; “ber del vin dolce e sbottonarsi al sole…”, con la voce inazzurrata, sognante, del poeta epicureo; “Tutti gabbati”, al finire della “Fuga” conclusiva, con l’accento d’una verità tragica, che è poi il succo del dramma falstaffiano. Pazienza e amore: Stabile divenne Falstaff così. Oggi ricorda; non può che ricordare, ormai (Fino agli anni ’50 cantava ancora, teneva delle “conferenze-concerto” in costume da Falstaff). Ma sa – in polemica con il suo personaggio – che non è vero che tutto nel mondo è burla”, perché non è burla l’arte, ma anzi sostanza purissima di vita; sa che tutti non furono “gabbati”, se il genio di Verdi fu servito con tanta coscienziosità. Si rivolge alla moglie (Gemma Bosini, che fu un ottimo soprano lirico e anche attrice di cinema) sorridendole melanconicamente: sa che la gloria di aver cantato pregevolmente più di ottanta opere non è niente in confronto all’essere – da quel 26 dicembre 1921 – diventato l’emblema di Sir John Falstaff, alla Scala, con la bacchetta di Toscanini davanti. Ma nella sua casa di corso Vercelli, a Milano, aleggiano altre memorie. È un povero appartamento, dopo un tracollo finanziario a causa di errate speculazioni finanziarie da parte di un parente di Stabile. Su questo triste e disadorno “viale del tramonto”, Stabile-Scarpia, Stabile-Gianciotto, occhieggiano dalle foto appese alle pareti. Stabile però mostra anche con fierezza un ritratto con dedica. È l’immagine di un Arturo Toscanini giovanile. La dedica a Stabile è interprete “intelligente” e “fedele”. “Capisce”, afferma Stabile, “essere definito “fedele” da lui”…”.(Fine – estratto da “Il Falstaff di Toscanini” di Teodoro Celli, Milano, 1968)