Dramma in tre atti su libretto di Giovanni Gherardini. Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 31 maggio 1817.
Primi interpreti:
Teresa Belloc (Ninetta)
Filippo Galli (Fernando Villabella)
Antonio Ambrosi (Podestà)
Savino Morelli (Giannetto)
Teresa Gallianis (Pippo)
Marietta Castiglioni (Lucia)
Vincenzo Botticelli (Fabrizio)
Francesco Biscottini (Isacco)
Paolo Rossignoli (Giorgio)
Con la prima rappresentazione della Gazza ladra, la sera del 31 maggio 1817 al Teatro alla Scala di Milano, Rossini chiudeva un periodo tra i più intensi e felici della sua carriera. In meno di due anni egli aveva fornito al teatro musicale una serie ininterrotta di capolavori.
La gazza ladra rappresenta il culmine di queste attività creativa: essa precede un importante cambiamento nei rapporti di Rossini con i teatri italiani e mostra i segni di un profondo rinnovamento stilistico i cui sviluppi avrebbero avuto grande importanza nella storia dell’opera italiana. Benché direttore dei teatri napoletani già dal 1815, all’inizio egli non trascurò i contatti con altre città. Dpo La gazza ladra preferì invece concentrare la sua attività a Napoli, dove poteva più agevolmente dar seguito all’interesse per l’opera seria che assorbì quasi esclusivamente la sua produzione di quegli anni. La Gazza ladra riassume perfettamente le caratteristiche drammatiche, formali e vocali che, almeno a partire dal Tancredi e dall’Italiana in Algeri, avevano costituito la costante del linguaggio di Rossini. Stilemi e convenzioni sono ormai utilizzati con totale padronanza e con risultati splendidi.
Il genere a cui appartiene la gazza ladra è quello “misto”. Si tratta infatti di un’opera semiseria che mescola elementi drammatici e buffi. Sviluppatasi a partire dalla metà del secolo XVIII con il gusto “larmoyant” fiorito specialmente in Francia nelle “pièces à sauvetage”, l’opera semiseria presentava all’epoca di Rossini convenzioni drammatiche esattamente definite: dramma a lieto fine dove l’innocente, ingiustamente condannata, veniva sottratta in extremis alla pena capitale, e il ribaldo persecutore umiliato. L’ambientazione mostrava costantemente un conflitto tra un mondo feudale di aristocratici e un mondo popolare, quasi sempre di contadini. Luoghi deputati erano la piazza del villaggio, con vista il castello o il palazzo del nobile prepotente, e la prigione. Rossini aveva già scritto due opere di questo genere, accettandone lo schema drammatico elementare: L’inganno felice e Torvaldo e Dorliska. La fusione di elementi comici e popolareschi con quelli drammatici mostra ormai una netta prevalenza di questi ultimi, per cui l’opera raggiunge l’acme e il suo significato ultimo nella grande scena del giudizio e nella successiva marcia funebre prima dell’obbligatorio finale belcantistico. Milano mostrò di aver compreso l’importanza del messaggio rossiniano e decretò al nuovo lavoro un successo concretizzatosi in ventisette repliche nonostante la stagione avanzata.