Elena Souliotis (Atene, 28 maggio 1943 – Firenze, 4 dicembre 2004)
Hanno parlato di lei come dell’ erede di Maria Callas prima ancora di sentirla cantare, per il solo fatto che è di origine greca e che ha un temperamento aggressivo. Ma Elena Souliotis non accetta eredità o paragoni. Esordiente come Santuzza nel 1964 a Napoli, è passata di successo in successo fino al debutto alla Scala, il 7 dicembre 1967 nel Nabucco. La Abigaille è l’ennesima conquista di una carriera facile, che non ha conosciuto anticamera in provincia. A lei, nata in una famiglia ricca e amante della musica, tutto è andato per il verso giusto. La verità è che sotto le apparenze di un sereno “cherubino”, essa nasconde un temperamento d’acciaio. Armi che le hanno valso Il nomignolo di “tigre al borotalco” e le hanno permesso di farsi largo in un mondo difficile come quello del teatro d’opera, di imporsi al pubblico spietato della lirica sempre restio a sostituire i tuoi idoli.
Trasferitasi prestissimo da Atene, dove era nata, a Buenos Aires coi genitori, passò i primi anni in una casa dove la madre suonava il pianoforte e il padre, ingegnere chimico impiegava il tempo libero ad ascoltare dischi d’opera. Anche alla bambina piaceva sentire quella musica e a canticchiare le romanze. Non che fosse molto intonata; Anzi nel collegio di suore, dove iniziò gli studi, la escludevano regolarmente dal coro perché non non ne sciupasse l’armonia. Si consolava però con furibonde cavalcate o nuotando e tuffandosi meglio di un ragazzo. Collezionò tante di quelle cadute che ha ancora il corpo pieno di cicatrici e ammaccature. Quando stava ferma era per studiare, a fatica, pianoforte o per ascoltare i dischi di Turandot o di Norma. Più grandicella, faceva ore di coda davanti al botteghino del teatro Colón di Buenos Aires, per andare a sentire l’opera. I suoi progressi nel pianoforte non erano strepitosi. Un giorno, durante gli odiati esercizi del solfeggio cantato, l’insegnante le disse: “Perché non la pianti con il pianoforte e non studi canto?”. Così è 16 anni, Elena comincio a fare i vocalizzi. Si scoprì che la sua voce aveva un estensione notevole, dal do centrale fino al re naturale e al mi bemolle, ma non molto volume. Fu impostata come soprano leggero. Studiava senza farsi illusioni e quando fu il momento si iscrisse l’università per laurearsi in ingegneria chimica come il padre.
Era una ragazza bionda e paffuta, con una faccia spiritosa e gli occhi chiari delle donne slave (la madre è russa) parentesi: i genitori la portavano volentieri nei salotti e le invitavano a cantare davanti agli amici. Lei, che odiava esibirsi, una sera fu ascoltata dal regista Maestrini che subito le propose di venire in Italia per conoscere il maestro Gavazzeni. Un’audizione bastò per decidere che valeva la pena di trasferirsi definitivamente a Milano, a studiare con Mercedes Llopart ex cantante e poi maestro insuperabile. Così, nel 1962, Elena impiantò casa a Milano con la madre. Studiò duramente: la Llopart non la vezzeggiava e non le nascose mai che con quel caratterino avrebbe trovato molte porte chiuse nel teatro italiano. ma le basto rivederla dopo due mesi di una vacanze estive per esclamare: “Hai la voce che sprizza fuori da tutti i pori. È ora che tu vado in teatro”. In quel breve periodo infatti, la crisalide era diventato una magnifica farfalla. La voce di Elena, in tutto la sua prodigiosa estensione, ora aveva acquisito forza e spessore. Che fosse una voce “importante” se ne accorse subito anche Di Costanzo, il sovrintendente dell’ Arena Flegrea di Napoli, sentendola cantare in una audizione. La prima scrittura fu questione di minuti. Ma quando si trattò di uscire in scena, Elena fu vinta dal panico. Di Costanzo dovette spingerla in scena a forza. Era l’aprile del 1964 e fu una memorabile Cavalleria rusticana.
Da allora ha cantato nei maggiori teatri italiani e poi in Argentina e negli Stati Uniti. Il suo repertorio si è arricchito e precisato: Elena ama le eroine romantiche tempestose, le figure femminili dominanti e drammatiche. Medea, Norma o Lady Macbeth lei interessano di più di Leonora o Amelia, “donne infelici e piagnucolose”. Al teatro comunale di Firenze (dove ha esordito in Luisa Miller) ha trovato un’intesa particolare con il pubblico è una sfera favorevole alle migliori prestazioni. Con la scala, invece i primi contatti non sono stati felici. Elena doveva cantare nell’ Olimpia di Spontini. La partitura era difficilissima, la scenografie suggestive e originali impiegavano esclusivamente plastica e tutti altri materiali isolanti che riducevano quasi al silenzio e le potenti e voci di Giangiacomo Guelfi e della Souliotis. I cantanti si sentivano “come tanti pinguini su un banco di ghiaccio”. Quando dopo un rinvio, l’opera andò in scena, la Souliotis non era in cartellone. Si parlò del cattivo carattere del soprano. Si rispolverò Il nomignolo di “tigre al borotalco”. Elena non se l’è presa. Dopo un’estate passata in Sardegna a ballare e ad ascoltare i dischi di Mina, la cantante che lei ama. Elena è volata a New York per un concerto alla Carnegie Hall dove ha cantato Anna Bolena di Donizetti. Il critico del New York Times ha scritto: “La Souliotis è il più interessante soprano drammatico sentito a New York da molto tempo”. (estratto da “Elena Souliotis: la tigre al borotalco di Marco fini – Milano, 1967)