Boris Christoff (nome d’arte di Boris Kirilov Hristov, Plovdiv, 18 maggio 1914 – Roma, 28 giugno 1993)
La critica spesso indaga sui segreti della sua arte, la scompone, tenta di spiegarla con i prodigi di un timbro magnifico, di una emissione perfetta, di una varietà espressiva illimitata, di una incredibile ricchezza della gamma coloristica., ingenuamente qualcuno arriva addirittura a chiedere a Christoff il “segreto” delle sue mezzevoci, quelle che scavano in chi ascolta, commozioni profonde. Ecco la singolarità di una voce di basso: che il registro grave non confina in una scala di espressione limitata al colore “sombré”, all’esplosione tonante; ecco la rarità di una voce possente, sicurissima, che ha tuttavia la dolcezza appannaggio di registri virili più acuti. Persino Bellini si rimangerebbe quella sua frase secondo cui il basso nella distribuzione delle parti d’opera “non può far d’amante”.
Ma, per quanto si indaghi, la capacità di Christoff di scolpire il personaggio nel suo carattere di viva creatura, nasce da segrete coincidenze, da misteriosa equilibri della sensibilità con l’intelligenza. Che Boris Christoff incarni con dignità ineguagliata i personaggi regali, è stato detto e ridetto. Ma, anche qui il segreto non è soltanto nella grandiosità degli accenti vocali, nella solennità della mimica gestuale, in ciò che si definisce comunemente “Le physique du rôle”. Christoff è “regale” anche se rinuncia al gesto retorico. Nella scena della morte di Godunov, quando lo zar, prossimo alla fine, stringe fra le braccia il figlioletto e lo accarezza, anche qui, Christoff ha gesti tutti delicati, tenerissimi, che richiamano passiate intimità familiari; ma, poi, li contraddice con l’ossessività di uno sguardo delirante, che insegue paurose visioni, con il tremito di ogni muscolo del volto. Ed è appunto nella dialettica di questi gesti ed espressioni che si configura una realtà umana e tragica, a cui l’intensità del canto conferisce nuova grandezza.
Ma neppure questo basta a “spiegare” Boris Christoff. C’è un elemento imponderabile, aldilà dell’interpretazione e dello stile vocale. Questo artista, con il suo canto, ci rivela che cosa sia la voce umana in sé, come materia duttile della bellezza: come le grandi statue incarnano l’idea pura del corpo umano nella sua perfezione, percettibile, per così dire, a distanza: quando cioè è lontana dagli individui che la rappresentano.
La voce umana come “cosa in sé”: quella sera d’estate, in Bulgaria, il “canarino di Sòfia, nella prima gioia del canto, deve averne avuto l’inconsapevole rivelazione. (Fine – Estratto da “Christoff, una voce dolce e possente” di Laura Padellaro, Roma, 1967)