Mstislav Leopoldovich “Slava” Rostropovich ( Baku, Azerbaijan, 27 marzo 1927 – Blokhin 27 aprile 2007)
Mstislav. È quasi impossibile pronunciare correttamente un nome così. Facilissimo invece, persino bello, il diminutivo “Slava”, riservato agli amici. Al primo incontro però l’impressione che ricevi è che sei già suo amico. Sembra addirittura che sia lui a conoscere te e non tu lui, come sarebbe logico per la fama di cui gode. E quindi puoi chiamarlo “Slava”.
Pervaso di sonorità misteriose il suo cognome: Rostropovich. Slava Rostropovich è il più grande violoncellista vivente. Secondo i maggiori critici, il solista russo domina questa seconda metà del secolo così come lo come lo spagnolo Pablo Casals dominò la prima. Ha cinquantatrè anni, segnati da trionfi e amarezze che si fondono e si nascondono dentro la sua risata coinvolgente. Nasce a Baku, la grande città sul Mar Caspio da alcuni vogliono fondata da Alessandro Magno. La parola Baku deriva dal persiano Bud Kubak che vuol dire “colpo di vento”. Ebbene, all’orecchio di un semplice ascoltatore, privo di velleità critiche, ma appassionato di musica, il modo di suonare di Slava Rostropovich assomiglia a un colpo di vento rigeneratore. (…)
Niente domande politiche, mi dice qualcuno dei suoi suo entourage per nessuna ragione al mondo il maestro vorrebbe danneggiare persone a lui care in Russia. Dal 1978 Rostropovich ha perso la cittadinanza russa, vive a Parigi e a Washington è direttore titolare dell’orchestra sinfonica. Ma lui stesso nel corso della nostra conversazione non lascerà cadere l’eco delle sue vicessitudini.
Maestro, lei è considerato un mito. come vive il suo mito?
“Non do molto peso a questo. La mia felicità di lavorare con la gente, per la gente, è tale che lavoro sempre. Se avessi tempo di pensare che sono un buon musicista, mi rovinerei, diventerai peggiore “.
La vita di ogni essere umano è fatta di sì e di no punto che cosa dice più spesso?
“I sì e i no devono avere un identica forza. Nella vita ci sono molte cose che attirano, che affascinano Ma esiste anche il diavolo. La più parte dei casi è necessario dire no a se stessi. Se Dio ti dà la forza di occuparti di qualcosa, devi percorrere la tua strada con prudenza, per non colpire neppure casualmente gli altri col gomito. Io so benissimo, per esempio, che non tutti i miei colleghi cellisti parlano bene di me, ma io sarò pronto a stapparmi la lingua prima di pronunciare una parola contro di loro. Un altro esempio: il dovere principale di un direttore d’orchestra e di purificare l’orchestra, di liberarla degli elementi che non sanno suonare perché finiscono col fare del mare agli altri. Ebbene, come uomo dico no, e lo ripeto infinite volte prima di cadere di cedere al dovere di direttore. Comunque, non c’è confronto fra i no che dico a me (tanti) e si che dico alla gente (tantissimi)”.
È possibile che proprio con se stesso, maestro, lei non si sa mai indulgente? le piace, ogni tanto, dire una bugia?
“No. Sto molto attento. Anzi, sono molto intransigente. Vede, a volte le persone pensano che io mi occupi di politica. No. In realtà sono semplicemente contro la menzogna in ogni campo “.
Non si sente, cioè, un uomo politico?
“Mi hanno fatto diventare un uomo politico. L’unica cosa che ho fatto nella mia vita è stato un gesto umano. Offrii la mia casa allo scrittore Solgenitzin. Dopo questo gesto che io considero umano, Occidente Oriente mi hanno reso politico “.
Che valore ha per lei l’amicizia?
“In Russia c’è un modo di vedere l’amicizia che in Occidente non esiste. Intanto secondo me, l’amicizia dipende anche dalla condizione storica. Che cosa significa a Mosca la parola “amico”: vuol dire che tu sei pronto a dare la tua vita per lui. Perché con lui parli apertamente di tutto, e se tu gli sei gli dici tutto vuol dire che tu sei nelle sue mani. Egli potrebbe essere in grado di agire contro di te se non ti fosse veramente amico. E tu in questo caso perderesti il lavoro, perderesti tutto. L’amicizia da noi è un vincolo sacro “.
Da giovane lei ha fatto anche il falegname. Come si conciliano il lavoro manuale e lavoro artistico?
“Sono molto vicini. Certo, se dovessi trascinare pietre, ne risentirei. Ma quando mio padre morì, a Mosca, io avevo 15 anni. In casa entravano pochi soldi, mia sorella studiava violino e io violoncello al conservatorio. Alcuni amici mi proposero di andare a suonare nei ristoranti. Dissi no, la musica non voglio toccarla così. Trovai invece lavoro come corniciaio. E ancora oggi so fare benissimo le cornici, allo stesso livello di come suono il violoncello “. (E scoppia in una fragorosa risata).
Non teme di rovinare le mani?
“Senza, io sono stato nel ventre di mia madre dieci mesi. Perché, le chiesi una volta, questo mese in più? Non certo per farmi un bel viso. “No, Slava,” rispose mia madre, “Questo mese in più è servito a farti delle buone mani!”. E gliene sono profondamente grato, perché sono davvero soddisfatto delle mie mani. Così come sono grato a mio padre, un grande, grandissimo violoncellista che non ha avuto fortuna. Tutto il mio successo è dovuto il fatto che Dio ha concesso a me tutto quello che non ha concesso a mio padre “.
Il violoncello. Che rapporto ha con il suo strumento?
“Lo amo perché è lo strumento più simile alla voce umana. Il rapporto? Quando parlo con i miei allievi e con gli orchestrali spiego loro che per la forza del suono è necessario allargare il meno possibile l’angolo del gomito, sia sinistro che destro. Abbracciate il violoncello come se fosse una donna, dico.io Quando suono è come se abbracciassi una donna. Il prossimo anno darò una grande festa in onore del mio strumento. È uno Stradivari, compie 270 anni “.
Quest’anno, invece ha festeggiato le nozze d’argento con sua moglie Galina.
“Sì facendo musica, perché tutto il nostro grande amore si basa sulla musica. Pensi, ci sposammo il 15 maggio del 1955. c’eravamo visti la prima volta al 11 maggio. Come mai vi siete sposati così in fretta, mi chiedevano, dopo appena quattro giorni? E io continuo a rispondere che mi dispiace di aver perso quei quattro giorni. Pochi mesi fa, a Parigi abbiamo dato un concerto tutta la famiglia: io, Galina, nostra figlia Olga, violoncellista, suo marito e, pianista, l’altra nostra figlia Elena, pianista e suo marito violinista. Al termine della serata avrei voluto offrire champagne a tutto il pubblico, ma insorsero difficoltà burocratiche, per esempio non fu possibile trovare i bicchieri per tanta gente “.
Ecco, il pubblico, maestro, l’attenzione del pubblico incide sul suo rendimento?
“Diversi anni fa, a Mosca, soffrivo di insonnia. Circostanze particolari mi rendevano nervoso. Prova con un ipnotizzatore, mi suggerirono degli amici. L’idea dell’ipnotizzatore più che sospetto mi dava fastidio. Comunque provai. L’uomo venne a casa e, invece di guardarmi negli occhi come immaginavo, si avvicinò al buffet. Che bella tazza! Esclamò davanti una porcellana. Avete passione per le porcellane? Io gli mostrai tutte le porcellane che possedevo e a un certo punto l’ipnotizzatore guardò l’orologio, prese il compenso e uscì. Che mascalzone!, pensai. Alle 11 di sera però cascavo dal sonno. Finalmente dormii. Da quel giorno non so più cosa significa all’insonnia. Naturalmente mi mi nacque la curiosità di sapere che cosa mi aveva fatto l’ipnotizzatore. Divenni suo amico e dopo molto tempo, a tavola, mi spiegò il mistero. “Mi era necessario soltanto attirare la tua attenzione, con parole che arrivassero a te come suoni. Se ti parlo di porcellane e non della tua insonnia, tu ti apri e non sei più diffidente, ti senti libero perché col suono di quelle parole ti costringo a tranquillizzarti! “. Ecco, vede il suono del violoncello assomiglia in qualche modo alla tazza di porcellana dell’ipnotizzatore. L’importante è quello che tu trasmetti, che riesci a trasmettere. Il suono in se stesso non significa nulla. Se io mi concentro sull’ultima notte della Sarabanda di Bach, se sono convinto che questa nota deve essere infinita, questa nota si trasforma, assume un altro stato fisico, da qualche parte continua. E il pubblico sente, o almeno una gran parte del pubblico avverte che la nota si sta trasformando, non è uscita dalla sala: E io posso farlo solo se riesco ad attrarre l’attenzione del pubblico. Tra chi suona e chi ascolta si può stabilire un rapporto magico. Mi crede? “. (Estratto da “Il violoncello è una donna” di Antonio Lubrano, Firenze, 1980)