Giuseppe Verdi (Roncole di Busseto 1813 – Milano 1901)
Messa da requiem per soli, coro e orchestra
Requiem et Kyrie (quartetto solista, coro)-Dies irae (coro)-Tuba Mirum (basso e coro)-Mors stupebit (basso e coro)-Liber Scriptus, (mezzosoprano, coro)-Quid sum miser (soprano, mezzosoprano, tenore)-Rex tremendae (solisti, coro)-Recordare (soprano, mezzosoprano)-Ingemisco (tenore)-Confutatis (basso, coro)-Lacrymosa (solisti, coro)-Offertorium (solisti)-Sanctus (a doppio coro)-Agnus Dei (soprano, mezzosoprano, coro)-Lux Aeterna (mezzosoprano, tenore, basso)-Libera Me (soprano, coro)
“Sono profondamente addolorato della morte del nostro grande [Alessandro Manzoni]. Ma io non verrò a Milano, ché non avrei cuore di assistere ai suoi funerali. Verrò fra breve per visitare solo e senza essere visto e forse (dopo ulteriori riflessioni e dopo aver pesato le mie forze), per proporre cosa ad onorarne la memoria. Per ora tenete il segreto”
Giuseppe Verdi, in una lettera a Giulio Ricordi del 23 maggio 1873, manifestò così il proprio dolore per la recente scomparsa di Alessandro Manzoni, esprimendo nel contempo il desiderio di fare una cosa ad onorarne la memoria. È questo il primo accenno ad uno dei suoi più grandi e sentiti capolavori, la Messa da requiem, che egli già da tempo aveva progetto di comporre, ma che iniziò a scrivere solo dietro l’onda dell’emozione per la perdita del grande scrittore milanese da lui stesso definito, in una lettera alla Maffei, santo. Nel 1869 Verdi aveva pensato di scrivere insieme ad altri compositori una Messa in onore di Rossini, morto l’anno precedente, e in quell’occasione aveva composto il Libera me Domine, che poi avrebbe provveduto a trasferire con qualche modifica in questo Requiem insieme ad altri frammenti tematici precedentemente composti, completato nel 1874 con sua grande soddisfazione, come egli stesso ebbe modo di affermare reputandosi finalmente una persona seria:
“Mi sembra di essere diventato una persona seria, e di non comparire più come un pagliaccio davanti al pubblico, gridando: Avanti, avanti, favorite… e battendo il tamburo e la grancassa…”
Eseguito per la prima volta il 22 maggio 1874 nella Chiesa di San Marco a Milano in occasione del primo anniversario della morte di Manzoni, il Requiem è un lavoro imponente costruito attorno al Dies irae, vero e proprio nucleo centrale formato quest’ultimo da ben dieci sezioni (Dies irae, Tuba mirum, Mors Stupebit, Liber scriptus, Quid sum miserum, Rex tremendae, Recordare, Ingemisco, Confutatis, Lacrimosa); il Dies irae si impone immediatamente per il perentorio, coinvolgente, minaccioso e teatrale attacco che rappresenta efficacemente la potenza della Giustizia Divina.
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Questo capolavoro si apre con il sommesso Requiem aeternam, eseguito in pianissimo sia dal coro che dall’orchestra, per proseguire con il Te decet hymnus che, dopo una ripresa del Requiem, conduce al Kyrie di cui sono protagonisti i 4 solisti i quali si producono in passi di appassionata cantabilità. Introdotto da 4 perentori accordi, deflagra il coinvolgente Dies irae, nel quale la meditazione verdiana di fronte alla mistero della morte, trova uno dei momenti di maggiore drammaticità accentuati dal tono cupo del finale. Introdotto da una fanfara di forte impatto, il Tuba mirum vede protagonista il basso che interviene nel sommesso ed enigmatico passo Mors stupebit per cedere il testimone al mezzosoprano che, con dei la ribattuti dal tono oracolare, intona Liber scriptus. Dopo una ripresa del Dies irae ritorna protagonista il mezzosoprano che intona Quid sum miser. Il coro si riprende la scena nel Rex tremendae maiestatis, mentre il Recordare è una preghiera affidata al soprano e al mezzosoprano, alla quale seguono l’aria del tenore (Ingemisco) e quella del basso (Confutatis maledictis). Ad nuova ripresa del Dies irae seguonmo il doloroso Lacrymosa, il sereno Offertorio, il Sanctus di cui è protagonista il doppio coro, l’Agnus Dei, e il Lux aeterna, interpretato dai solisti eccezion fatta per il soprano che apre il Libera me, sommesso e pieno di tensione. Una nuova ripresa del Dies irae introduce il finale dove si segnala un episodio in stile fugato.