Franco Corelli (Ancona, 8 aprile 1921 – Milano, 29 ottobre 2003)
A 100 anni dalla nascita
Pochi istanti prima che l’orchestra attaccasse il Preludio della Cavalleria Rusticana di Mascagni, il tenore Franco Corelli, tremante di paura, prese il suo posto fra le quinte del Metropolitan di New York. Il suo polso, che normalmente sonnecchia sui 58, tamburellava adesso a 130 colpi al minuto. Con i denti che battevano e le gambe che vibravano come le corde di un mandolino, si guardava attorno smarrito come se volesse tentare la fuga.
Corelli ha fama di possedere il più titanico meccanismo umano per la produzione di suoni dai tempi di Caruso, cioè da mezzo secolo a questa parte. Questi meccanismi però, e Corelli lo sa fin troppo bene, sono delicati e imprevedibili. “Si può cominciare magnificamente” diceva il tenore parlando in italiano “Ma chi lo sa cosa può succedere dopo cinque minuti? Mi si potrebbe chiudere la gola! Potrei perdere completamente la voce! Mi è già capitato.”
Le preoccupazioni di Corelli erano gravate dall’eccezionale importanza dello spettacolo. Egli infatti era stato chiamato a difendere il suo titolo e dovevo dimostrare di essere sempre il migliore tenore del mondo. A causa dello sciopero degli orchestrali che aveva seguito la pausa estiva, erano quasi sette mesi che Corelli non cantava un’opera: Per di più, nella stagione precedente il tenore per poter essere in Italia aveva dovuto rinunciare a tutto una serie di spettacoli. E in sua assenza il direttore generale del teatro, Rudolf Bing aveva affidato a Placido Domingo le parti solitamente cantate da Corelli. Bisognava dunque che si riconfermasse.
Non ultima fra le sue paure era quell’autentica “tortura” escogitata da Mascagni ai danni dei tenori in apertura dell’opera: La temuta “Siciliana”. Relativamente breve con toni molto alti, esse obbliga il tenore a cantare per due minuti con tutta la forza dei suoi polmoni, rimanendo fra le quinte. Quel che è peggio, la “Siciliana” è la prima aria che pubblico sente e il tenore non ha la possibilità né di “riscaldarsi” né di tastare il polso del pubblico e quindi di rinfrancarsi. Molti tenori trovano che la “Siciliana” sia talmente impossibile da cantare bene che la eseguono di volata, convinti che sia meglio esporsi al rischio per il minor tempo possibile. Il maestro Leonard Bernstein, in partecipazione straordinaria, voleva però che la romanza fosse cantata in modo particolarmente lento e “sostenuto”, come ripeté più volte a Corelli. E questo significava prolungare la tortura, mettendo a dura prova la propria voce. “Corelli può farcela” diceva Bernstein sorridendo. “Ha i polmoni di un cammello.” Risultato: alle prove Corelli eseguì la più lenta “Siciliana” che si fosse mai sentita, e anche una delle più affascinanti. Il tenore però l’aveva cantata a mezza voce. Sarebbe stato poi capace davanti al pubblico, di buttarla fuori a pieni polmoni, a quel ritmo estremamente lento?
Capacità straordinaria
Franco Corelli ha 49 anni, è alto un metro e ottantacinque, ha un aspetto avvenente e due occhi grandi e scuri da rubacuori. Molte sue ammiratrice ne apprezzano il fisico non meno della voce. Anche dal punto di vista musicale Corelli è ben dotato. Ha una bocca capace i polmoni, se non proprio di un cammello, di un soffiatore di vetro. Il suo torace misura in condizioni normali 120 cm. In due secondi, dopo che ha inspirato quasi 5000 CC da aria, arriva a 127 cm. Queste doti gli danno l’incredibile capacità di superare il suono di tutti i “fiati” di un’orchestra di 90 elementi e di inondare la sala con una voce che fa tremare i lampadari. Due anni fa, a uno spettacolo televisivo, riuscì a tenere alla fine di una lunga frase un Si bemolle a pieno volume per 17 secondi, roba da far accapponare la pelle. Corelli ha anche un temperamento impulsivo e collerico. Fra le quinte del Metropolitan si racconta, anche se Corelli lo smentisce, un altro aneddoto si dice che a una recita di Turandot, invece di dare il previsto bacio al soprano Birgit Nilsson, il tenore le avrebbe morso le avrebbe morso il collo, perché poco prima, nel duetto, lei aveva tenuto il do più lungo di lui. Il giorno dopo la Nilsson avrebbe comunicato a Bing, il direttore del teatro: “Non posso andare a Cleveland. Ho contratto l’idrofobia”.
Il giorno del Grande ritorno al Metropolitan con Cavalleria rusticana, Corelli si trascinò fuori dal letto alle 3 del mattino. Aveva passato metà della notte passeggiando su e giù per la stanza e guardando di tanto in tanto la televisione. Per prima colazione bevve un bicchiere pieno per due terzi di te e per un terzo di miele. Un tonico per la gola. Poi, per non sciupare la voce, evitò persino di parlare. Dopo la ginnastica e la passeggiata mattutina pranzò in silenzio con la moglie, Loretta. Il menù era quello che precede in genere ogni sua esibizione: una bistecca di mezzo chilo, alla tartara condita con tre o quattro limoni, olio e aglio. Alle 6 del pomeriggio Corelli cominciò a fare vocalizzi e a cantare brani della parte che doveva sostenere. Stava diventando sempre più nervoso. Mentre si vestiva, sentiva il cuore che gli martellava in petto. Quando usci frettolosamente di casa diretto a teatro, stringendo forte le labbra per proteggersi la gola dall’aria pungente, era ridotto a uno straccio. Tre minuti prima che si è alzasse il sipario Stanley Levine, direttore di scena del Metropolitan, bussò alla porta del camerino di Corelli: il cantante stava pregando. Con l’ansia che non può mancare in simili circostanze, il celebre tenore si chiedeva: “Pensi di farcela cantare quest’opera stasera?” La risposta fu: “Quando sono solo, è facile. Ma adesso? Davanti a questo pubblico? No, non ce la farò.”
Levine bussò ancora. Corelli accese il suo registratore portatile, posto vicino all’ impianto degli degli altoparlanti interni (ha l’abitudine di registrare e poi analizzare tutte le sue esecuzioni), quindi uscì, lanciando uno sguardo lugubre a Levine. Come un carceriere che si trascini dietro il prigioniero riluttante, Levine condusse Corelli giù da una scala verso un vano posto sotto il palcoscenico. Parecchie persone facevano ressa attorno a un’arpa dorata, a un harmonium, al piccolo schermo televisivo sul quale si vedeva il Maestro Bernstein inchinarsi davanti al pubblico. L’applauso diretto a Bernstein dei quasi 4000 spettatori in attesa della dall’altra parte del sipario risuonò come una fragorosa cascata lontana. (Fine prima parte)
(Estratto da “Franco Corelli quella sera superò se stesso” di William Honan Holmes, New York, 1970)