La Passio secundum Joannem col suo ascetismo e la forza drammatica contrasta con la prorompente sensualità delle composizioni religiose italiane dell’inizio del XVIII secolo. Per altro questa è una delle poche “Passione liturgiche” che restano di quest’epoca. Il rito romano comporta durante la Settimana Santa la recita solenne della passione del Cristo secondo i quattro evangelisti: la domenica delle Palme quella di Marco, il mercoledì Santo quella di Luca, il venerdì santo, durante la messa e dopo la novena quella di Giovanni. La passione secondo San Giovanni e quella secondo Matteo erano destinate per i giorni feriali della Settimana Santa, ed è questa la ragione per cui sono state più spesso messe in musica. Sin dal Medioevo questa recita liturgica della passione rispondeva a un cerimoniale ben preciso. In origine il testo in forma di una monodia gregoriana veniva cantato da tre e ecclesiastici. Al lettore di grado gerarchico più elevato, cioè almeno un diacono, era affidato il ruolo di Cristo, il secondo diacono faceva l’evangelista recitante, mentre il sottodiacono replicava in soliloqui i personaggi profani. Alla fine del Medioevo si aggiunse un gruppo di cantori, chiamati a rappresentare la “turba “che chiede a gran voce la morte di Gesù.
Questa nuova disposizione è all’origine della “Passione mottetto” o “Passione responsoriale” del tipo scritto da Obrecht, Victoria, Di Lasso, Byrd e più tardi Schütz.Il canto fermo a solo viene sostituito da polifonia a quattro o cinque voci.
Questa “Passio secundum Joannem”, composta a Roma attorno al 1680 realizza, sia sul piano formale sia su quello musicale, una sintesi geniale di elementi arcaici e tradizionali punto Il carattere liturgico della monodia gregoriana trova alla fine del XVII secolo un adeguato e soddisfacente equivalente nello stile recitativo creato da Monteverdi all’inizio del XVII secolo. Questo stile in Scarlatti si arricchisce di vocalizzi suggestivi, figurativi, come per esempio quello che rievoca il canto del gallo al momento del rinnegamento di San Pietro. Numerosi passaggi poi sono trattati in “arioso”, cioè come recitativo melodico (“Consumatum est”). In alcuni punti per altro è da notare il ricordo dell’intonazione gregoriana. Ma, più ancora, appara evidente che Scarlatti ha dato all’opera una coerente unità tematica, sicché tutta la Passione nasce da una serie ininterrotta di variazioni sulle prime misure dell’Introduzione, cioè sull’enunciato liturgico “Passio Domini nostri Jesu Christi secundum Joannem” trattata come una arioso indipendente dal testo della Passione. Scarlatti rivela una sorprendente ricchezza di invenzione degli elementi che compongono questo tema: il ritmo puntato sarà il principio stesso della dinamica del discorso. La successione discendente delle note della prima misura contraddistinguerà ogni momento di deplorazione e si tingerà di doloroso cromatismo, mentre certi intervalli melodici ritorneranno di frequente.
Da notare anche che Scarlatti usa sistematicamente inversioni o molti contrari sotto le parole di Cristo, quasi a simboleggiare che la natura Divina non può parlare come gli uomini che lo condannano. Sembrerebbe che questa opera si arresti, incompiuta sulla citazione “Videbunt in quem transfixerunt”, ma in realtà il ritorno dell’introduzione del tema fondamentale sotto tali parole nasconde una intenzione esegetica. È come se Scarlatti avesse voluto sottolineare l’elemento profetico di speranza che tutto non finisce nell’oscurità della tomba e quindi non musicò la fine del recitativo dell’Evangelista. Sebbene venga classificata come una Passione-Oratorio, la “Passio secundum Joannem” è una passione drammatica nella misura in cui l’elemento polifonico è riservato alla “turba “. Inoltre le modificazioni di tonalità che intervengono in casi precisi all’interno delle due tonalità principali (mi minore fa diesis maggiore) nonché i correlativi cambiamenti di tempo (per esempio i movimenti larghi sono sempre riservati agli interventi di Cristo) testimoniano ancora l’aderenza dell’opera alla tradizione.
La parte strumentale comprende due violini, una “violetta” e il basso continuo realizzato ora al clavicembalo ora all’organo (soprattutto per gli interventi di Cristo). Il ruolo recitante dell’Evangelista è affidato a un tenore, quello del Cristo, a un basso, mentre gli interventi profani (Guardie, Pilato, il Grande Sacerdote) sono affidati Scarlatti a solisti della “turba” cioè del coro a quattro voci.