Milano, Teatro alla Scala, concerti di canto 2021
Kate Lindsey (mezzosoprano)
Baptiste Trotignon (pianoforte).
Kurt Weill: “Nanna’s Lied”, “Thousands of Miles/Big Mole” (“Lost in the Stars”), “Denn wie man sich bettet, so liegt man” (“Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny”); Erich Wolfgang Korngold: “Schneeglöckchen”; Alexander Zemlinsky: “Und hat der Tag all seine Qual”; Kurt Weill: “Buddy on the Nightshift/Berlin im Licht” (“Lunchtime Follies”), “Don’t Look Now” (“One Touch of Venus”), “The Saga of Jenny” (“Lady in the Dark”), “September Song”; Alma Schindler-Mahler: “Die stille Stadt”, “Hymne”; Kurt Weill: “Pirate Jenny/Barbara Song” (“The Threepenny Opera”), “Je ne t’aime pas”, “Lonely House/We’ll Go Away Together” (“Street scene”), “Trouble Man” (“Lost in the Stars”); Alexander Zemlinsky: “Selige Stunde”.
Milano, 14 marzo 2021 (streaming)
Particolarmente ricco e affascinante il programma del nuovo concerto canto scaligero che ci porta nella Berlino degli anni 20 – pur con qualche escursione viennese e il periodo americano di tanti protagonisti di quella stagione. La Berlino che scopre il jazz e lo reinterpreta nel suo spirito, che stravolge l’operetta con la biacca allucinata dell’espressionismo, che usa il cabaret come arma di protesta politica.
L’anima musicale di quell’irripetibile stagione berlinese è Kurt Weill ed è lui il protagonista principale della serata, in tutto il suo percorso artistico. Ad accompagnarci in questo viaggio, il mezzosoprano americano Kate Lindsey, musicista colta e raffinata, mozartiana di classe ma capace di muoversi con impeccabile senso stilistico in un repertorio molto vasto accompagnata da un pianista di formazione jazzistica come Baptiste Trotignon. In questo caso merita di essere rimarcato il ruolo del pianista, lungi dall’essere un semplice accompagnatore, si dimostra virtuoso di vaglia (nel momento solistico della trascrizione per pianoforte solo di “September Song” o nelle scatenate ritmiche di certi brani della stagione americana di Weill), quanto mai capace nel gioco delle variazioni e delle ricreazioni. Un vero protagonista nel dialogo sempre cangiante tra compositore, cantante e strumentista.
La Lindsey non solo è cantante di gran classe, tecnicamente inappuntabile e dotata di una seducente voce di mezzosoprano lirico ma è soprattutto una figura affascinante e carismatica. Entra in scena con un abito provocante: capelli dal taglio androgino, camicia da uomo, minigonna vertiginosa in pelle nera, trasposizione contemporanea del gusto trasgressivo dei cabaret berlinesi. Entra in scena è attacca il “Nanna’s Lied” sul testo di Bertold Brecht e la voce si fa aspra, arida, mentre il canto racconta il raggelarsi di un’anima prigioniera nel più aberrante dei commerci ma un’anima viva nonostante e la voce riacquisisce come d’incanto un abbandono lirico quando il ricordo della neve che si scioglie commuove il cuore ancora umano della prostituta-oggetto. La Lindsey segna subito il suo taglio esecutivo: massima cura al dato espressivo, fraseggio ricchissimo e analitico, capacità di piegare la voce a stilemi vocali tra loro quasi inconciliabili, fortissima carica teatrale accompagnata da una gestualità studiatissima e senza perfettamente in linea con l’universo espressivo del brano. Non si può certo qui analizzare in dettaglio l’ampia teoria dei brani di Weill basti ricordare il tono scabro, sarcastico con cui morde la linea in “Denn wie man sich bettet, so liegt man” da “Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny”; il doloroso celarsi di un sentimento che torna prepotentemente a palesarsi nella negazione di “Je ne t’aime pas”, l’ironia mordace ma in fondo sorridente di “Big Mole”. I momenti più alti – almeno per la parte di programma dedicata a Weill vanno infine ricercati nella trascinante esecuzione di “The Saga of Jenny” da quel “Lady in the Dark” su libetto di Ira Gershwin che rappresenta forse il risultato più originale dell’attività di Weill a Broadway, che la Lindsey esegue con dizione nitidissimi e rapinoso senso ritmico e la struggente interpretazione di “Lonely House/We’ll Go Away Together” da “Street Scene”.
In programma anche Alexander Zemlinsky: “Und hat der Tag all seine Qual” è un radioso canto alla natura immergo da una malinconica dolcezza e il canto della Lindsey acquisisce tutta la compostezza e la classicità richiesta da queste melodie mostrante l’ecclittico talento della cantante. Segue “Selige Stunde”. Un brano di raccolto intimismo, lontano dal senso di ascesi quasi divina del precedente, chiamato a chiudere con la sua semplice umanità il programma. Al fianco del maestro l’allievo: Korngold con “Schneeglöckchen”. L’innato senso melodico del compositore si arricchisce di suggestioni quasi jazzistiche – che la Lindsey e Trotignon evidenziano chiaramente – a testimonianza di quell’attenzione alla modernità che era di Korngold.
“Selige Stunde” fu verosimilmente composto da Zemlinsky come una sorta di omaggio ad Alma Schindler, la grande musa di tutta la cultura viennese di quel tempo. La vera rivelazione del concerto sono proprio i due lieder di Alma – tra i pochissimi sopravvissuti – che attestano una grande qualità compositiva, sensibilità espressiva, un gusto melodico impeccabile unito a una scrittura pianistica ricca di colori. “Die stille Stadt” con le sue atmosfere notturne e le sue ombre quasi espressioniste è seguito dallo strepitoso “Hymne” su testo di Novalis, che la musica della Mahler avvolge in atmosfere di una sensualità intensa e conturbante – non si dimentichi quanto la riflessione sull’eros fosse centrale nella cultura viennese d’inizio secolo da Freud a Schiele – che la morbida delicatezza del tocco femminile rende ancora più inebriante.