Gioachino Rossini (1792-1868): “Mosè in Egitto” (1818)

Azione tragico-sacra in tre atti su libretto di Andrea Leone Tottola. Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 5 marzo 1818.
Primi interpreti:
Michele Benedetti (Mosè)
Raniero Remorini (Faraone)
Frederike Funck (Amaltea)
Andrea Nozzari (Osiride)
Isabella Colbran (Elcia)
Gaetano Chizzola (Mambre /Aronne)
Giuseppe Ciccimarra (Aronne)
Maria Manzi (Amenofi)
L’azione tragico sacra Mosè in Egitto di Rossini, fu rappresentata per la prima volta il 5 marzo 1818 al teatro San Carlo di Napoli. (…)
L’opera, nella sua stesura originale, fu apprezzato dal sofisticato pubblico napoletano, ad eccezione del breve atto finale con la traversata del Mar Rosso. A quel punto la rappresentazione suscitò contestazioni e risate e nemmeno la musica rossiniana fu in grado di impedire il fiasco.
Quasi un anno dopo, nel marzo 1819, Rossini mise nuovamente in scena l’opera, per lo stesso pubblico, ma con due modifiche fondamentali: eliminò l’aria di Amaltea nel secondo atto e riscrisse il terzo. Con il nuovo finale, che conteneva la preghiera “Dal tuo stellato soglio”, che divenne una delle composizioni più note di Rossini, l’opera si diffuse rapidamente in tutti i teatri lirici d’Europa. (…)
Significativamente, nel 1827 Rossini revisiona per la seconda volta l’opera intera, che con il titolo di MoÏse et Pharaon ou Le passage de la la Mer Rouge ( ben presto abbreviato MoÏse ) venne rappresentata il 26 marzo 1827 con grande successo all’Opéra di Parigi. La nuova versione non era nata per la necessità di soddisfare i desideri di una primadonna o di un impresario. Si trattava, al contrario, di una composizione interamente ripensata. Nella veste nuova, l’opera prese lentamente il sopravvento sulla versione originali italiana, e non soltanto in Francia, ma anche – in una ritraduzione italiana – in Italia e in altri paesi europei. Occasionali rappresentazioni del Mosè in Egitto sono peraltro documentate negli anni Trenta dell’Ottocento. il Théãtre Italien di Parigi lo rappresentò ripetutamente in concorrenza con il MoÏse francese all’Opéra. (…)

Ben presto però il Mosè in Egitto fu dimenticato e si continuò a rappresentare soltanto il MoÏse, una delle poche opere serie mai scomparsi completamente dal repertorio rossiniano (…)
Nella sua  sua forma originale il Mosè in Egitto è un’opera di carattere sacro, un modo per evitare le sanzioni ufficiali contro le rappresentazionì di opere profane durante la Quaresima. Il librettista di Rossini, Andrea Leone Tottola, trasse dall’Osiride di Francesco Ringhieri (Padova, 1760) la tragica storia della giovane ebrea Elcia, amante segrete del principe egiziano Osiride, che rientrava nella situazione conflittuale tra amore e dovere, così frequente nel melodramma italiano dell’epoca.
Il  maggior problema artistico per il compositore il suo librettista divenne dunque quello di realizzare un giusto equilibrio tra l’ambiente biblico di Mosè e del suo popolo e la storia individuale di una passione vissuta alla sua ombra. Del resto, con questo stesso tipo di problema altri dovettero confrontarsi un’infinità di volte nel corso dell’800, in particolar modo Scribe e Meyerbeer. (…)
Sebbene sia stato conservato con cura e sensibilità l’equilibrio tra i due caratteri tematici del Mosè in Egitto è evidente che Rossini era attratto soprattutto della storia di Mosè e dell’Esodo. Il fascino straordinario dell’opera va infatti ricercato nelle suggestive scene d’insieme, nel cori e nella solennità di certi passaggi di declamazione. Momenti  simili si incontrano in tutte le composizioni del periodo napoletano del musicista (1815- 1822): esse formano un gruppo di qualità sicuramente straordinaria, tale da aprire l’opera lirica italiana a soluzioni orchestrali, capacità espressive e, partecipazione corale e a possibilità strutturali prima neppure immaginabili. (Da Philip Gosset, “Mosè in Egitto”, Pesaro, 1985)