Felix Mendelssohn (Amburgo, 1809 – Lipsia, 1847)
Concerto in mi minore per violino e orchestra op. 64
Allegro molto appassionato-Andante-Allegretto non troppo, Allegro molto
Come molte altre opere di Mendelssohn, il Concerto in mi minore per violino e orchestra fu sottoposto a continue limature e correzioni al fine di trovare quella perfezione formale che costituì una delle preoccupazioni principali del compositore tedesco. Una testimonianza di ciò ci è fornita dal fatto che quest’opera fu composta in un arco di tempo molto lungo, ma non sorprendente per Mendelssohn. Iniziato nel 1838, il Concerto fu completato soltanto nel settembre del 1844 durante un periodo di convalescenza trascorso a Soden nei pressi di Francoforte sul Meno e fu eseguito per la prima volta al Gewandhaus di Lipsia con la direzione dello stesso Mendelssohn e la superba interpretazione di Ferdinand David, al quale l’opera è dedicata, avendo egli stesso, nel 1836, esplicitamente chiesto al compositore tedesco di scrivere un concerto per violino e orchestra. Ferdinand David, che nel 1835 era stato assunto come primo violino solista al Gewandhaus grazie all’intervento di Mendelssohn, godeva di una certa fama di virtuoso tanto che lo stesso Paganini gli aveva dedicato il Moto perpetuo, una delle pagine più complesse della sua produzione. Molto importante, anche se difficilmente evidenziabile, deve essere stato il contributo di David alla stesura della parte solistica, per la quale Mendelssohn chiese molti consigli, sempre assillato dalla ricerca della perfezione formale.
Questa ricerca non deve essere, tuttavia, interpretata come la volontà di uniformare in modo acritico e senza spunti originali la propria opera ai modelli classici, ma va letta in un senso più ampio, come una forma di attualizzazione di quei modelli che vengono rielaborati in modo del tutto personale. Proprio in questo lavoro, infatti, Mendelssohn, trasgredì ad alcune norme formali tipiche del concerto solistico, eliminando, per esempio, l’iniziale esposizione orchestrale ed assegnando, così, un ruolo prevalente al solista che espone immediatamente il celebre e lirico primo tema su un tappeto armonico affidato agli archi, ai clarinetti e ai fagotti. L’orchestra interviene soltanto dopo una breve parentesi virtuosistica del solista per affermare in modo perentorio e autorevole il primo tema e, al tempo stesso, introdurre la transizione modulante che, nella parte conclusiva, contiene una nuova idea melodica cantabile e distesa, riutilizzata, in seguito, nella parte iniziale dello sviluppo. Il secondo tema, esposto, secondo i canoni, nella tonalità di sol maggiore, relativa di mi minore, s’inserisce perfettamente nel clima disteso e sereno, anticipato magistralmente nella parte conclusiva dello sviluppo, che sembra, almeno inizialmente, confermato, nella coda dell’esposizione, dalla ripresa da parte dell’orchestra del primo tema nella tonalità maggiore, ma il dialogo seguente tra orchestra e solista, che si scambiano alcuni frammenti del primo tema, acquista una grande forza drammatica; il solista cerca di opporsi all’orchestra, che, nei vani tentativi di ridurlo al silenzio con accordi dissonanti, vuole assumere quel ruolo principale sulla scena strappatole dal violino quando aveva direttamente esposto il primo tema. Questo dramma si ricompone nel raffinato equilibrio dello sviluppo, dove il solista e l’orchestra si ritagliano due ruoli diversi, ma entrambi importanti e complementari; il primo, infatti, si accontenta di riproporre l’idea secondaria, apparsa sul finire della transizione, lasciando subito dopo all’orchestra il compito di riproporre il tema iniziale nella parte dei flauti e dei clarinetti. In questo passo il solista, lungi dal tacere, decide di ricamare in modo virtuosistico il tema dell’orchestra che, dopo aver girato diverse tonalità, esaurisce la sua azione in un diminuendo con il quale il solista si riappropria del suo ruolo di primo piano. Lo sviluppo si conclude in modo insolito con una cadenza che si evidenzia per la presenza, al suo interno, di una citazione della Ciaccona di Bach e per la sua introduzione alla fine dello sviluppo che costituisce una piccola trasgressione alle regole classiche del concerto solistico, nel quale generalmente trova spazio alla fine della ripresa prima della coda. Anche nella ripresa successiva è operata da Mendelssohn un’altra trasgressione rappresentata dalla scelta di riesporre il secondo tema nella tonalità maggiore, anziché in quella minore. La coda costituisce un momento estremamente virtuosistico per la forte accelerazione impressa alla parte del solista e culminante nei tre accordi conclusivi.
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Il secondo movimento, Andante, è legato al precedente da un lungo si tenuto dai fagotti che introduce il tema di ninna-nanna, esposto dal solista. Il clima di serenità, che aveva dominato nel primo movimento, sembra confermato nella parte iniziale del secondo, la cui sezione centrale si colora, tuttavia, di forti tinte drammatiche disegnate dai corni, dalle trombe, dai timpani e dai tremoli dei violini secondi che sostengono una melodia malinconica e piena di tensione esposta dai primi violini, a cui si unisce il solista. Le continue modulazioni accentuano il clima di tensione e allontanano la composizione dal solare do maggiore iniziale che ritorna, tuttavia nella ripresa, dove il solista riespone il tema iniziale sui delicati tremoli dei violini, ormai privati della drammaticità che li aveva caratterizzati nella parte centrale.
Anche il terzo movimento (Allegro molto vivace) è legato al secondo senza soluzione di continuità con un breve episodio (Allegretto non troppo) in cui viene presentato in una forma rielaborata il primo tema del primo movimento. Dopo una gioiosa fanfara di fagotti, corni e trombe il rondò si apre con un brillante tema iniziale affidato al solista a cui si contrappone la seconda idea tematica, marziale e strutturata in modo da assumere la forma di un dialogo tra orchestra e solista. Lo sviluppo è dominato dal primo tema che viene variato inizialmente dal solista e sfocia in una nuova idea tematica per essere rielaborato dall’orchestra. Nella ripresa la scena è integralmente occupata dal secondo tema che, essendo del tutto assente nello sviluppo, svolge la funzione di ristabilire l’equilibrio apparentemente minato dalle trasgressioni alla forma classica del concerto; un esempio di tali trasgressioni è rappresentato dalla scelta di fare seguire i movimenti in modo da escludere ogni soluzione di continuità. Il carattere maggiormente qualificante è rappresentato, pertanto, proprio dall’evidente tentativo di introdurre elementi originali in un’opera perfetta dal punto di vista formale.