Dramma per musica in tre atti su libretto di Antonio Draghi. Fabio Trümpy (Prometeo), Scott Conner (Peleo), Mariana Flores (Tetis), Giuseppina Bridelli (Nisea), Borja Quiza (Satyro), Zachary Wilder (Mercurio), Ana Quintans (Minerva), Kamil Ben Hsaïn Lachiri (Hercules), Victor Torrès (Nereo), Anna Reinhold (Pandora), Alejandro Meerapfel (Juppiter), Lucía Martín-Cartón (Aragne). Chœr de Chambre de Namur, Cappella Mediterranea, Leonardo García Alarcón (direttore). Registrazione: Auditorium dell’Opéra de Dijon, giugno 2018, 2 CD Alfa Classics 582
La metà del XVII secolo è il momento in cui il nuovo genere del teatro in musica nato nelle accademie e nelle corti italiane tra la fine del secolo precedente e l’inizio del nuovo comincia a diffondersi conquistando progressivamente l’Europa. La corte di Vienna, da sempre mantiene stretti rapporti con l’Italia è tra le prime ad accogliere il nuovo genere. Nel 1624 Antonio Bertali è compositore di corte, dando vita che portò alla nascita di una scuola locale con l’apparire di compositori come Schmelzer e Vejvanovský che si affiancano agli italiani.
In questo contesto, nel 1658, arriva a Vienna il riminese Antonio Draghi, figura ecclettica capace di destreggiarsi con abilità in tutte le professioni musicali del tempo. Draghi aveva iniziato la carriera come cantante a Ferrara e a Venezia partecipando anche alla prima assoluta dell’”Erismena” di Cavalli al Teatro Sant’Apollinare nel 1655. A Vienna si afferma inizialmente come librettista e successivamente anche come compositore.
Come compositore a Draghi fu commissionata un’opera celebrativa per la regina di Spagna nel 1669. Il soggetto venne tratto da una commedia mitologica di Calderón de la Barca, rappresentata nella primavera dello stesso anno che rileggeva in chiave allegorica il mito di Prometeo. Draghi lo semplifica e lo adatta al nuovo contesto, facendo prevalere, non tanto la contrapposizione tra la saggezza e la passione sfrenata del dramma di Calderon, quanto l’esaltazione della clemenza regia in cui si ricompongono tutti i contrasti. Il testo scritto originariamente in italiano venne tradotto in spagnolo probabilmente dallo stesso Draghi. In questa versione l’opera andrò in scena il 22 dicembre 1669 con una sfarzosa produzione che rimase nell’immaginario della corte viennese. La scelta di un libretto spagnolo accresce l’importanza dell’opera ponendola tra le prime testimonianze del genere di poco posteriore a “La Púrpura de la Rosa” di Juan Hidalgo de Polanco nel 1660.
Considerata perduta la partitura è stata ritrovata da Jean-François Lattarico presso la Biblioteca Leopoldina di Vienna. Il manoscritto ritrovato presentava però gravi lacune: non solo era priva di indicazioni relative all’orchestrazione – problema abbastanza comune per le opere del primo barocco – risultava perduta la musica del III atto. Colpito dalla qualità musicale, il direttore Leonardo García Alarcón si è cimentato nell’impresa di completamento, non solo l’orchestrazione ma di comporre ex-novo il III atto, partendo da spunti presenti nei primi due atti, o utilizzando altri lavori di Draghi – con qualche escursione più moderna, quasi quasi a creare una ideale galleria della storia musicale viennese: da Caldara, Lotti fino a Mozart cui occhieggia l’ultima aria di Minerva. Qualcosa di mozartiano ante-litteram si ritrova in Draghi: è difficile non pensare a Leporello nella devozione di Satiro per Prometeo, o a Donna Elvira nella dedizione di Nisea (in questo caso coronato dal ravvedimento dell’amato).
Il libretto è un piccolo gioiello, i miti classici (oltre a quello di Prometeo compaiono le nozze di Teti e Peleo, la punizione di Aracne, la statua di Pigmalione, per l’occasione trasferita a Prometeo stesso) sono riletti con ironia e gusto divertito, non privo di sincera commozione che trova il punto più alto nel grande monologo di Prometeo incatenato. Nella musica è evidente la lezione di Monteverdi, il richiamo alla tradizione più espressiva del recitar cantando. La scrittura è ricca e complessa, la corte di Vienna era in grado di mettere in campo compagini orchestrali e corali impensabili per le realtà dei teatri italiani del tempo.
La ricostruzione di García Alarcón arriva sulle scene nel 2018 a Digione. Da quelle rappresentazioni è tratta la presente registrazione. Alla guida della sua Cappella Mediterranea García Alarcón fa sfoggio di un caleidoscopico di colori, ritmi, accenti. Teatralissimo, attento al fraseggio e alla recitazione, capace di esaltare le contrapposizioni di accenti. Certi effetti sonori, l’originalità di suggestioni iberiche delle nacchere, le sonorità di fiati e percussioni sono trascinanti. Il Chœr de Chambre de Namur in questo repertorio è una certezza di qualità.
Ottima e ben amalgamata la compagnia di canto. Lo Jupiter, vocalmente forse un po’ troppo grossolano di Alejandro Meerapfel è quello che convince meno.
Splendido protagonista Fabio Trümpy tenore dalla voce morbida e agile a dall’accento elegante, rifinito in grado di cogliere tutti i molteplici stati d’animo di un ruolo di particolare complessità. Al suo fianco Borja Quiza rende tutta la bonaria irruenza popolaresca di Satyro con una voce baritonale robusta e di bel colore. Scott Conner è un Peleo ben presente vocalmente; il Mercurio di Zachary Wilder sfoggia una squillante vocalità tenorile e Kamil Ben Hsaïn Lachiri ha tutta la baldanza che ci si attende da Hercules.
Ancora meglio le voci femminili. Mariana Flores ha voce piccola e leggera, ma musicalità impeccabile e grande sensibilità espressiva, che accompagna tutta l’evoluzione del personaggio. Ana Quintans è una Minerva di nobile lirismo cui fa da giusto contraltare l’irruente Aragne di Lucía Martín-Cartón. Giuseppina Bridelli con il suo timbro caldo e l’impeccabile musicalità rende alla perfezione il tormentato affetto di Nisea per Prometeo, fino al lieto fine in cui la devota fedeltà della ninfa verrà infine premiata con la rinuncia di Prometeo a inseguire “vane larve”, aprendosi al puro amore di lei.