Roma, Teatro dell’Opera, Stagione 2020-2021
“PANDORA”
Creazione di Simone Valastro
Musica John Adams (Grand Pianola Music)
Pandora REBECCA BIANCHI
Epimeteo CLAUDIO COCINO
Donne Claudia Bailetti, Francesca Bertaccini, Eva Cornacchia, Micaela Grasso, Claudia Marzano, Viviana Melandri, Roberta Paparella, Giovanna Pisani, Chiara Teodori, Martina Sciotto
Uomini Giovanni Bella, Andrea Forza, Fabio Longobardi, Antonello Mastrangelo, Emanuele Mulè, Massimiliano Rizzo, Giuseppe Schiavone
Vedove Alessandra Amato, Annalisa Cianci, Silvia Fanfani, Francesca Manfredi
Uomo anziano Damiano Mongelli
Soprani Agnieszka Jadwiga Grochala*, Marianna Mappa*
Mezzosoprano Angela Schisano*
Orchestra, Étoile, Primi Ballerini, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Carlo Donadio
Coreografia Simone Valastro
Scene Andrea Miglio
Costumi Anna Biagiotti
Luci Fabrizio Marinelli
*dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 29 gennaio 2021, in streaming
Oggi più che mai nel mondo dell’arte non bisogna fermarsi: il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma sta dimostrando grandi e interessanti risorse artistiche, e in questa occasione scegliere un titolo della mitologia greca, cioè un racconto conosciuto da tutti, apre un mare di curiosità: una nuova lettura? Una interpretazione? Come sarà la nuova visione paragonata con la leggenda originale? La scelta del coreografo Simone Valastro è quella di un percorso minimalista e astratto, in cui le linee narrative sono volutamente ridotte. Valastro, ballerino e coreografo di origini milanesi, è venuto ascendendo gradino dopo gradino nella scena ballettistica: nel 1998 entra nel Corpo di Ballo dell’Opéra di Parigi, di cui nel 2002 diventa Coryphée e nel 2003 ballerino principale, nel 2008 debutta come coreografo con un pezzo commissionato dal Museo Picasso di Malaga; progetto dopo progetto, si crea un nome nella scena nazionale e internazionale, fino a debuttare nel settembre 2020 al Teatro Bolshoi insieme ad altri giovani coreografi di fama. La coreografia della sua Pandora è divisa in quattro quadri, popolati – come racconta la leggenda – da mortali e immortali che abitano il mondo primigenio e che, grazie a un dono di Prometeo, conoscono il fuoco. È l’episodio che spinge Zeus a vendicarsi della presunzione degli uomini per mezzo di Pandora, la prima donna mortale, portatrice dei mali. Il primo quadro è buio e trasmette l’idea dell’umanità primitiva: costumi di tonalità grigia, azzurra od oscura presentano un mondo monotono, piatto e senza tempo, dove tutti formano una massa indistinta. Poi entra in scena un anziano per annunciare qualcosa di nuovo, che anima il secondo quadro, una consultazione di un gruppo di uomini che intorno a un tavolo discutono e riflettono sull’avvenire; la coreografia diventa molto interessante a partire da questo punto, con piccoli assoli degli artisti sopra il tavolo, variazioni molto moderne ma danzate come sotto l’influenza di un linguaggio neoclassico. Il terzo quadro è un passo a due fra Epimeteo e Pandora, che si presenta in modo dolce e vaporoso, quasi un’allucinazione, un miraggio. La bellezza del momento rende indimenticabile la coppia, Rebecca Bianchi e Claudio Cocino, lei leggera, pulita nelle linee, nei port des bras e nelle prese, dotata di tutto il lirismo necessario per dare risalto al personaggio, lui sicuro, preciso, forte, carico di personalità in ogni movimento. L’ultimo quadro rappresenta la scoperta della realtà; la vendetta di Zeus, in modo sintetico ma dinamico, si posa sulla scena come un anello di luce che espelle fumi colorati, forse gli spiriti contenuti dentro il vaso di Pandora, che ora s’impadroniscono del mondo. Nel finale, tutti danzano sotto l’influenza della donna, che questa volta con mosse energiche e violente padroneggia la scena su di uno sfondo rosso, svelando tutto il dramma della sua esistenza. Valastro enfatizza i punti più importanti della storia con simbolismi e dinamiche, ma senza entrare nei dettagli narrativi. Le scene e i costumi sono poveri, forse anche per la destinazione virtuale della rappresentazione; del resto, va bene che gli elementi più idonei per potenziare la coreografia siano improntati alla cautela, ma i costumi avrebbero dovuto mutare o arricchirsi di elementi nuovi, soprattutto in corrispondenza dell’ultimo quadro, per indicare un cambio di tempo, di energia, per rendere più specifica e drammatica la fine, per esprimere e dotare di più o meno forza l’umanità. Comunque, l’elemento guida della creazione coreografica, ancora più del mito antico, è il brano musicale che ne costituisce il contesto: non di una musica originale si tratta, bensì della riutilizzazione di una celebre e provocatoria partitura dell’inizio degli anni Ottanta come Grand Pianola Music di John Adams, che a quasi quarant’anni dalla composizione non ha perso né vitalità né modernità (in chiave minimalista, s’intende). “Il figlio pelandrone”, come ebbe a definirlo con un certo compiacimento il compositore, si trasforma in nastro sonoro su cui si svolgono i simboli del mito antico, in un’esecuzione dal vivo musicalmente impeccabile: un’altra serata di teatro e danza di straordinarie qualità, nella stagione virtuale (ma virtuosissima) dell’Opera di Roma. Foto Opera di Roma