Milano, Teatro alla Scala, Stagione 2020/21, Concerti di canto
Tenore Vittorio Grigolo
Pianoforte Vincenzo Scalera
In programma musiche di Gaetano Donizetti, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Jules Massenet, Charles Gounod, Francesco Cilea…
Milano, 22 febbraio 2021 – in streaming
La pandemia, in questo febbraio, suo primo anniversario, ha ucciso il carnevale e ha costretto i teatri europei, almeno quelli sopravvissuti, a servire streaming, vuoi dal vivo, vuoi con registrazioni ad hoc, in genere di opere non propriamente rasserenanti. Sangue, morti e stupri, inanellati da regie parimenti angoscianti, si sono susseguiti da Monaco a Parigi, da Vienna a Milano e a Berlino. Chi, con le porte dei teatri e degli auditorium sprangate, rinchiuso in casa, cerchi di sfangarla, se li è bevuti tutti. E alcuni son stati amari calici. Ci voleva finalmente un ristoro: pasticcini e rosolio.
La Scala, come sempre perspicace e “sul pezzo”, resiliente in ogni frangente, ha provveduto con lo streaming del 22 febbraio: Concerto di Vittorio Grigolo in duo col fido ed affidabile pianista americano Vincenzo Scalera.
Le opere non son mai ben-servite dallo streaming, i microfoni tendono a far sopravanzare il canto sull’orchestra, cosicché una Salome che, come autorevolmente si è detto, è un poema sinfonico con canto, si snatura in canto, non sempre pregevolissimo, con sottofondo orchestrale. Nei concerti voce – pianoforte, questo rischio non si corre, non foss’altro perché i microfoni condivisi attingono contemporaneamente alle due sorgenti.
Il programma conferma quanto si pensa e si conosce del tenore Vittorio Grigolo: non una sorpresa, non uno sforamento e, sulla carta, neppure un rischio. Si viaggia sui binari del lirico – lirico-leggero.
Lo stesso tenore ce lo conferma nelle presentazioni, registrate nel foyer, di ogni coppia di brani. In modo non poco autocelebrativo, ma questa ahimè è la caratteristica del personaggio, riporta ogni singolo pezzo ad una tappa della sua carriera e dei suoi successi planetari. Giustifica l’assenza di Rossini, step iniziale del suo percorso artistico, col cambiamento di consistenza dei suoi mezzi, (“la voce ha un po’ di polpa in più”, dice lui), che ne hanno esaltato il lirismo. Le esecuzioni paiono assolutamente e apprezzabilmente “dal vivo” ma, di questi tempi, con le stregonerie tecnologiche, non si sa mai.
L’inizio del Duca d’Alba è un notevole e castigato preludiare di Vincenzo Scalera, che fornisce la cifra di un pianismo poeticamente d’ordine. Vedremo se saprà contenere ed indirizzare la nota irruenza di Vittorio. La voce è di un bel e fascinoso colore, il timbro è omogeneo e suadente: un tipico lirico italiano. Per ciò è apprezzato nel mondo. La sua Furtiva Lacrima è appassionata e amorosa, come piace alle platee e ai loggioni, le mille miglia lontana dalle lezioni di stile di un Kraus o di un Osborn.
In Rigoletto non è arrogante e sprezzante come forse lo si vorrebbe, un bastardo con soldi e potere, ma un estroverso didatta che spiega agli altri quanto le femmine siano infide e quindi quanto sia giustificato il proprio libertinaggio. Nella Gelida manina, prevale il piacione sul furbastro. Il do della speranza è mirabile.
Nel siparietto pre-esecuzioni, Grigolo afferma che l’opera francese lo ha portato a, son sue parole, “portamenti tirati all’osso e alla pulizia estrema nell’esecuzione”, il risultato non pare così radicalmente raggiunto. Eccellente è invece il francese esibito. Più castigati, parola grossa con Grigolo, dei brani italiani, e i piano e pianissimi sono ben timbrati con giusto dosaggio di una mezza-voce che rifugge dal falsetto.
Seguono un quasi verista Lamento di Federico e un convincente Lucean le stelle. In quest’ultimo si sente il rodaggio e quindi la maturazione teatrale del personaggio. Si chiude a circa 60 minuti un programma musicale dalla consistenza reale di non più di 35 minuti.
Introdotti da un’imbarazzante pantomima che finge fantomatiche richieste del pubblico assente, seguono 4 bis. Questa del pubblico assente è veramente una pena! Seguono così “A vucchella” di Tosti, Le due romanze dalla Carmen e Werther e l’ineludibile Oh sole mio! Qui, confermate sobrietà e professionalità del pianista, i freni del tenore si sono un poco allentati, comunque più nel gesto e nella mimica che nella voce. Così si è fatta l’ora e mezza che si confà ad ogni concerto che si rispetti! Notiamo pure che, per una volta, ci si è sottratti ai dettami della casa che impongono, nei concerti vocali, poca opera e troppa “canzone”; esiziale se d’oltralpe.