Interviste d’annata: Renata Tebaldi (1922-2004)

Renata Tebaldi (Pesaro, 1 febbraio 1922 – San Marino, 19 diecmbre 2004)
Renata Tebaldi. Ce ne parlava, tempo fa, Mario Del Monaco. Ricordava una magra, delicata ragazza venuta a tentare un concorso di canto a Parma, in compagnia della madre. la rivedeva timida e gentile, con il suo semplice e cappottino. La memoria è così struggente, così affettuosa che, a un certo punto, il grande tenore si commuove. Quante esperienze d’arte in comune, quante battaglie, quanti trionfi! Renata nasce a Pesaro l’1 febbraio 1922. Gli studi e poi, nel 1944, il debutto a Rovigo sotto gli occhi di un insegnante che si chiama, Carmen Melis. Due anni dopo, nel 1946, l’incontro con Arturo Toscanini, nella scala risorta. Desdemona, Leonora, Aida, Mimì, Butterfly, Tosca: dopo ogni recita la gente che si affolla per ore il camerino di Renata , molti  si chinano  a baciarle l’orlo del suo vestito con un fanatismo che oggi non capiamo più. Anni d’oro del melodramma: il pubblico milanese si divide in due fazioni:  i tebaldiani e i callasiani. Una contesa che non può risolversi, perché il principio apollineo e quello dionisiaco non si conciliano. Un sabba la vita della “grande Maria” e senza pace la sua morte.  Ma Renata ha giocato altre carte al tavolo della sua sorte. Lavora a maglia, fa lunghe passeggiate, ascolta musica, gioca con il suo barboncino. Al suo fianco alla fedele Tina che fra molti meriti ha quello di conoscere le opere a memoria tanto che se la “signorina” sbaglia qualche parola del libretto è lei a correggerla con un certo tono di rimprovero anche. Questa bella signora, al riparo delle tempeste, in una casa soffice di moquette è Renata Tebaldi?
“Torna a  cantare e se non vuoi cantare almeno fatti vedere: verremo in qualsiasi parte del mondo”: così l’implorano i suoi fans.

Da quanto tempo non canta?
L’ultimo concerto l’ho fatto per i terremotati del Friuli.
L’ultimo?
Può darsi che mi decida a darne un altro…ma sai il mio medico mi tieni in castigo mi agito per un nonnulla.
Pensa al passato?
No, è una grazia di Dio. Molti rimangono attaccati al teatro con un cordone ombelicale, io no… Penso, certo, alla mia carriera, trentadue o trentatré anni non sono pochi! Ecco so di avere conquistato il pubblico non solo con la voce, ma con la mia personalità. Qualcosa è arrivato al loro cuore, ne sono convinta. Ma non solo l’artista: Renata come Renata.
Si occupa mai di faccende domestiche?
Ho una ragazza, la mia Tina, che vale più oro di quanto pesa! Fa tutto lei.  Io lavoro ai ferri, faccio le parole incrociate, vado a visitare gli ammalati negli ospedali. Tutto mi interessa. È bello poter dire: “Oggi non devo partire”…. La gente pensa che la mia carriera sia stata molto facile, ma non è così. Non ho sfruttato solo i doni di natura. Ero sempre scontenta di me. Quando mi sono accorta di qualche lato debole mi sono rimessa a studiare.
I problemi sociali la preoccupano?
Li vivo tremendamente, anche quelli che mi fanno saltare la pressione! M’infervoro, certe cose non posso né vederle né sentirle. Ho scoperto per esempio, che urlo per la strada se un cane attraversa la strada, in mezzo alle macchine: si figuri il resto! Cerco di fare qualcosa per il mio prossimo, per i bambini: porto dolci, giocattoli,  e poi ho cantato tanto per beneficenza.
Come passa la giornata, oggi?
Da quando ho lasciato il teatro la mia vita è tornata normale. Quando ero in carriera, uno dei miei desideri era di ritrovare la casa, l’intimità anche fuori. Ero sballottata da un Paese all’altro e allora mi portavo appresso qualcosa di mio, qualche piccolo Gingillo…
Crede nell’amicizia?
Si. L’amicizia, come l’amore, è un destino. Si stabilisce un contatto, senza che uno se ne renda conto e allora…
Cosa cerca nella vita?
Affetto indiscriminato.
Riesce a far dimenticare ai suoi amici di essere una donna celebre?
I miei amici sono quelli che mi considerano primadonna in teatro e donna nella vita. Forse al  primo incontro incuto una certa soggezione, ma poi con gli amici scherziamo, faccio  cose che molte primedonne non farebbero, mi butto in terra a giocare sul pavimento con i bambini.
E racconta anche le barzellette, non è vero?
Si, ammetto di  saperle raccontare. Anzi ero famosa in teatro: prima di far ridere gli altri ridevo io con le lacrime agli occhi!
Dica la verità: che cosa ha provato quando è morta la Callas?Un grande dolore. Che cosa deve aver sofferto negli ultimi anni la Maria! Lei non dava a vedere le sue pene, perché avevo una grande dignità. Ma, caspita, lì sì che c’era una grande personalità! Se l’immagina lei la Maria a cantare in un tubo…Mai e poi mai…
Allude alla “Madama Butterfly” della Scala, non è vero, e al tubo di garza che separava Cio-Cio-San dagli spettatori!
Se fosse capitato a me, a corso di rinunciare alle recite, non avrei accettato!
Davvero?
Si, per l’amor di Dio. Me la prendevo con i registi per una parola… Mi arrabbiavo se nella Traviata mi dicevano di cantare “Entriamo dunque anziché “Usciamo dunque”. Si, ai miei tempi era così. oggi tutto è diverso…
Ama il mare o la montagna?
Il mare. Il mio è l’Adriatico, sono nata a Pesaro. Mi piacciono le albe e i tramonti. La montagna mi fa diventare nervosissima.
È allegra o triste?
Più triste che allegra. Ogni piccola cosa mi addolora. Non sono mai stata ottimista e mi turbo facilmente. Sa, in casa sono stata coccolata, da bambina sono stata molto malata… però non mi hanno viziata… “Ho messo le penne” a mie spese !
Le hanno fatto ingiustizie?
Si, hanno cercato di farmele all’inizio. Ma io ho sempre cercato di fare il mio dovere. E poi c’è stata la grande bontà dei miei colleghi…
Quali voci predilige?
La Ponselle, la Callas, la Sutherland è tecnicamente un mostro di bravura. E Aureliano Pertile. Ho il grande rammarico di non aver mai potuto cantare con lui. Sa, una voce è lo specchio dell’anima: se sento cantare una persona capisco com’è: se è superba, se è buona…
Si annoia mai?
No, mai. Molti pensano che io non ami la solitudine, che ne soffra e invece non è vero.
Vede le opere in televisione?
Si, sono tutt’occhi e tutta orecchie. E sa, non dico: “Ecco quello lo facevo io…”. Sono una spettatrice qualunque, mi diverto, mi commuovo.
Il teatro le ha dato più sofferenza o più gioia?
Mi ha dato sia l’una sia l’altra. Cantare, per me e, era un’estasi dell’anima. Io civettavo col pubblico: era come amoreggiassi. Mi dicevano: Renata, tu canti per ciascuno di noi…Dopo le recite continuavo a stare con il mio pubblico, ore e ore. Cercavo il contatto con la mia gente! Ma il giorno dopo calava il sipario: di teatro non volevo più saperne!
Esce di sera, fa vita mondana?
Mai. Lavoro a maglia, faccio tante cose da mandare alle Missioni… Non sento il bisogno di uscire. Forse una reazione, forse salta fuori la mia natura vera!
È timida?
Ho sempre avuto molti complessi quello della struttura, per esempio. Camminavo gobba per sembrare meno alta e mia madre mi rimproverava, mi diceva:” Stai dritta!”. Forse perché vivevo in un paesino di poche anime, ero una ragazzina cresciuta in provincia…
Ma oggi è una donna elegantissima…
Si, seguo la moda punto è un mio punto debole. E mi arrabbio quando vedo come cercano di vestirci… Non mi piace la moda attuale o forse devo ancora abituarmi ai vestiti aderenti, gli spacchi vertiginosi!
Quale stoffa Le piace di più?
Il crêpe pesante, lo chiffon…
Di che cosa paura? 
Sono abbastanza coraggiosa affronto le situazioni a viso aperto. Mi fanno ridere, oggi, con quella mania di andare dallo psichiatra. I problemi ce li dobbiamo risolvere da soli; se andiamo a scoprire l’io nascosto, da normali possiamo diventare anormali!
Che cosa spera dal futuro? 
Spero sempre in un mondo migliore. Sono molto serena, nell’attesa che si compie la volontà del Signore. Spero, soprattutto, che la gente trovi sempre qualcosa in cui credere…
(Intervista raccolta da Laura Padellaro (1927-2017) nell’aprile del 1979)