Dramma lirico in quattro atti su libretto di Temistocle Solera, dal poema omonimo di Tommaso Grossi. Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 11 febbraio 1843.
Primi interpreti:
Erminia Frezzolini (Giselda)
Teresa Ruggeri (Viclinda)
Carlo Guasco (Oronte)
Napoleone Marconi (Arvino)
Prospero Derivis (Pagano)
Gaetano Rossi (Pirro)
Giovanni Severi (Priore della città)
A proposito della nascita dei Lombardi, le cronache narrano che Verdi, durante la seconda rappresentazione di Nabucco, abbia ricevuto la visita di Bartolomeo Marelli che gli offre un contratto al quale manca solo la cifra è la firma punto Verdi domanda alla Strepponi quale cifra richiedere per la nuova opera; la cantante risponde: “Quello quello che ha chiesto Bellini per la Norma. Te lo meriti”! 8000 lire austriache “. Con la conquista di questo contratto, nel quale per la prima volta può dettare condizioni economiche di un certo rilievo, Verdi si accinge a comporre I Lombardi. Per la nuova opera, forse timoroso di passi falsi, Verdi si affida ancora alla penna di Temistocle Solera. Dopo Oberto, e soprattutto dopo il successo di Nabucco, è importante per il compositore non rischiare cambiamenti. È subito evidente che l’impostazione drammaturgica dei Lombardi segui da vicino quella del Nabucco. Quattro parti, ognuno con sottotitolo, di breve durata, grande presenza del coro, svariati cambi di scena.
Una struttura drammatico-musicale che può assicurare un esito positivo. Ben in evidenza anche il messaggio politico: in Nabucco vi sono gli ebrei oppressi, qui i valorosi Lombardi che liberano Gerusalemme dagli infedeli. La chiave di lettura è chiara: il desiderio di liberare Milano dagli Austriaci. Il libretto del fervente patriota Solera non manca di sollecitazioni e incitamenti a tale proposito. Ancora una volta il pubblico milanese è più che mai sensibile a questo messaggio e il successo, la sera del 11 febbraio 1843, è ancora superiore a quello di Nabucco. Meno entusiasmo viene però espresso dalla critica, che mette subito in evidenza le incongruenze del libretto e una certa discontinuità d’ispirazione riguardo la musica di Verdi. In effetti ai Lombardi è venuto a mancare quel perfetto equilibrio tra damma e linguaggio musicale, quel ritmo serrato caratteristico del Nabucco. Il ruolo stesso del coro ha perso quel valore primario dell’opera precedente. nei Lombardi il coro torna a essere un elemento quasi di contorno, relegato a una narrazione spesso convenzionale. Gli stessi personaggi risultano più stereotipati, drammaturgicamente poco convincenti. In quanto la musica, alterna momenti di pura funzionalità teatrale ad altri in cui spicca tutta la genialità del compositore.
Tra i momenti più significativi dell’opera spiccano la raffinatezza melodica e la dolcezza della preghiera “Salve Maria” di Giselda nel primo atto e la grande scena della conversione del terzo atto, con un magnifico adagio per violino e orchestra che caratterizza l’intero terzetto e che trasforma la pagina in una sorta di splendido trio concertante. Di pregio il coro dei Lombardi “O Signor, che dal tetto natìo”, pagina di bella fattura, ma penalizzata dalla marcata somiglianza con l’altro coro “Va pensiero”. Un’opera discontinua, dove il banale e sublime viaggiano appaiati. Questi aspetti hanno in parte segnato la fortuna dei Lombardi, non certo paragonabile a quella di Nabucco, opera mai uscite dal repertorio teatrale. Con il passare degli anni, invece, sui Lombardi è calato un disinteresse che a poco a poco a rilegato l’opera ai margini del grande repertorio lirico. Un calo di gradimento ascrivibile soprattutto al XX secolo, perché nell’Ottocento I Lombardi sono rappresentati un po’ ovunque; è addirittura la prima opera verdiana messe in scena negli Stati Uniti, alla Palmo Opera House di New York, nel 1847.
In questo stesso anno Verdi rielabora la partitura per l’Opéra di Parigi, dove viene presentata come Jérusalem. Con la creazione dei Lombardi si entra nel pieno di quel lungo periodo che il compositore definirà “gli anni di galera”, ovvero i nove anni che vanno da Nabucco (1842) fino a Rigoletto (1851) e durante i quali scrive una e a volte due opere all’anno, non riuscendo così ad avere ciò che per lui è più che mai una condizione vitale: comporre liberamente, dedicando a ogni opera il tempo che ritiene più opportuno, senza nessuna costrizione da parte di impresari o teatri. Ma a questa frase si può anche dare un’altra chiave di lettura: una sorta di “esilio volontario”, di rigoroso tirocinio “sul campo”, una sorta di “praticandato teatrale” al quale il giovane Verdi si sottopone per progredire nel suo cammino di ricerca drammatico-musicale e affinare così il proprio stile e linguaggio. “Anni di galera” perché, cosciente o meno, in Verdi è presente il senso di essere prima di tutto un artista, libero di esprimersi senza condizionamenti. Una libertà da difendere a ogni costo. In occasione dei Lombardi Verdi affronta il primo di una serie di lunghi scontri con la censura. L’arcivescovo di Milano cerca di impedire la scena del “Battesimo” di Oronte nel terzo atto, ma Verdi è irremovibile; unica concessione cambiare la preghiera di Giselda nel primo atto da “Ave Maria” in “Salve Maria”. Prima vittoria per il giovane ma agguerrito musicista!