Giuseppe Verdi (1813 – 1901): “I due Foscari” (1844) e “Attila” (1846)

Tragedia lirica in due atti di Francesco Maria Piave dall’omonimo dramma di George Byron. Leo Nucci (Francesco Foscari), Guanqun Yu (Lucrezia Contarini), Ivan Magrì (Jacopo Foscari), Bernadett Fodor (Pisana), István Horváth (Barbarigo), Miklós Sebestyén (Jacopo Loredano), Moon Yung Ho (Un fante), Matthias Ettmayr (Un servo del Doge), Chor des Bayerischen Rundfunks, Howard Arman (Maestro del coro), Münchner Rundfunkorchester, Ivan Repušić (direttore). Registrazione: Münchner Prinzregentheater 23-25 novembre 2018 e Mupa, Budapeste 27 novembre 2018. 2 CD BR Klassik
Il buon successo ottenuto dalla registrazione di Luisa Miller ha spinto l’etichetta BR Klassik a registrare le successive direzioni verdiane del direttore croato Ivan Repušić che insieme a Marina Rebeka era stato il vero trionfatore di quella edizione. Le presenti incisioni nascono dalle esecuzioni  in forma di concerto presso il Prinzregentheater di Monaco e di alcune riprese in occasione di tournée internazionali della compagine bavarese.
Il rapporto tra Verdi e la Germania è antico e proficuo, il compositore italiano è sempre stato amatissimo nelle terre tedesche e proprio in Germania- già a partire dagli anni del primo dopoguerra – si è sviluppato un approccio stilistico che cominciava a liberare la musica di Verdi dalle incrostazioni del gusto verista dominante in Italia per riportarlo ad una dimensione più autentica. Molta acqua è passata sotto i ponti ma la passione del mondo musicale d’Oltralpe per Verdi è rimasta con una propria sensibilità di approccio. L’orchestra bavarese – così come il coro dei rivali cittadini della Bayerische Rundfunk per l’occasione prestato alla sorella minore- mostrano una qualità esecutiva e un senso dello stile davvero rimarchevoli.

Dopo la Miller la scelta cade su “I due Foscari” in cui gli ardori delle opere giovanili tendono a comporsi in un insieme più organico e meditato e dove cominciano a fermentare le premesse che porteranno alla Trilogia romantica
Ottima la direzione di Repušić che conferma pienamente tutte le buone impressioni avute nella registrazione precedente. Alle prese con una partitura caratterizzata da una cupezza di fondo, da atmosfere nebbiose e asfissianti Repušić trova i giusti colori, evoca atmosfere notturne, ombrose, avvolte però da un morbidezza di tratto che ritroviamo in tutta la direzione. Questa scelta coloristica si stende anche sulle scene più brillanti – come la barcarola che apre il III atto, al contempo Repušić non cade nell’inganno di cadere in una  uniforme monotonia. Il direttore è attento  a cogliere sfumature, contrasti che ci sono sotto l’apparente cappa di uniformità, a valorizzare la qualità della scrittura verdiana. Ne esce un quadro ricco, mobile, appassionato – Repušić mostra di prediligire i momenti di abbandono di Jacopo e Lucrezia – pur all’interno di un quadro stilistico unitario e coerente.
Il cast  offre una prova complessivamente  positiva. Nei panni del Doge il vecchio Leo Nucci sfoggia ancora una robustezza invidiabile. La voce nonostante una certa usura è ancora solida e sicura nella linea di canto e nella tessitura con acuti squillanti e  luminosi. La lunga esperienza (anche con il ruolo) è chiara nella piena identificazione con il personaggio. Si riscontra però oltre a un impoverimento del timbro, la ricerca di effetti un po’ superficiali e un certo abuso di portamenti.

Ivan Magrì rispetto alla Luisa Miller si trova in ruolo più adeguato ai suoi mezzi vocali. Il timbro e il colore non sono di certo tra quelli che colpiscono al primo ascolto, così si sente la mancanza di un certo spessore drammatico (ad esempio “Non maledirmi, o prode”, reso efficacemente solo grazie alla partecipazione dell’accento). Va riconosciuto a Magrì un dominio omogeno scomoda tessitura di Jacopo Foscari, di sfoggiare un fraseggio molto curato. La grande convinzione sul piano interpretativo completano un’ottima prestazione.
Guanqun Yu (Lucrezia) ha voce di buona grana e solida, se pur con qualche durezza nella fascia più acuta. Il canto d’agilità è risolto correttamente, anche se in modo un po’ un meccanico. La dizione però è problematica, ciò porta a un  fraseggio piatto e monocorde che porta a una interpretazione di corretta professionalità ma priva di autentica vitalità drammatica.
Il timbro scuro e profondo di Miklós Sebestyén trasmette tutta la fosca natura del personaggio di Loredano. Anonime le parti di fianco e qualitativamente magistrale la qualità sonora della registrazione.
Dramma lirico in un prologo e tre atti su libretto di Temistocle Solera e Francesco Maria Piave da Attila, König der Hunnen di Zacharias Werner. Ildebrando d’Arcangelo (Attila), Liudmyla Monastyrska (Odabella), Stefano La Colla (Foresto), George Petean (Ezio), Stefan Sbonnik (Uldino), Gabriel Rollinson (Leone), Chor des Bayerischen Rundfunks, Howard Arman (Maestro del coro), Münchner Rundfunkorchester, Ivan Repušić (direttore).Registrazione: Münchner Prinzregentheater 13 ottobre 2019
La terza registrazione verdiana firmata dal direttore croato è questo “Attila”. L’opera è tra i titoli più significativi degli “anni di galera” verdiani, quella in cui più stretto è il legame tra impeti quarantotteschi e passioni civili. La discografia di “Attila” , come per i Foscari, non è ampia, ma qualitativamente ragguardevole e poggia sulle edizioni di Gardelli – professionale sul piano direttoriale, con cast altisonante e in stato di grazia – e di Muti, concertatore “incandescente”, con un cast che ha come punto di forza Samuel Ramey nel ruolo del protagonista.
Ivan Repušić riesce solo in parte ad inserirsi in questa Olimpo. Sicuramente spicca il valore della Münchner Rundfunkorchester, messa in luce da una registrazione è di una qualità tecnica ragguardevole. La direzione è invece alterna. Repušić opta per tempi lenti, dilatati, solenni anche se non manca di scatto e brillantezza nelle cabalette. Spiccano le grandi scene corali dal piglio guerriero dei cori, la scena della tempesta attraversata da lampi di drammaticità romantica, quasi wagneriana. Spiccano anche le atmosfere solennemente ieratiche dell’incontro con Leone. Questa scelta di tempi non aiuta i cantanti e in più punti si ha l’impressione che certe difficoltà sono frutto di questa impostazione.

Ne soffre l’Attila di  Ildebrando d’Arcangelo. Il basso abruzzese avrebbe tutte le qualità per avvicinarsi al ruolo nella sua dimensione per molti aspetti ancora belcantista. Il cantante sembra  invece alla ricerca di una potenza non necessaria, come a  rispondere al tempo estremamente dilatato scelto dal direttore. Si ha così un sentore di sforzo, fortunatamente  la sua interpretazione è in crescendo. Il bellissimo timbro, la facilità di canto in ogni registro, il bellissimo fraseggio emergono con grande intensità nella grande aria del I atto e nel terzetto finale dove è colta tutta la nobiltà del re.
Convince meno l’Odabella di Liudmyla Monastyrska voce imponente ma non sempre controllata. L’impervia cavatina è afflitta da un vibrato poco gradevole  e se nel momenti più distesi (“Liberamente or piangi”) la dovizia vocale non lascia indifferenti, non si può non notatre come il fraseggio si arruffato e incomprensibile. Nel complesso  un’interpretazione placidamente manierata, solo corretta, povera di emozioni.
Vincente invece  l’Ezio di George Petean,  che si  conferma come una delle più belle voci verdiane attuali. L’innegabile fascino timbrico si unisce a una musicalità impeccabile, in linea nel rendere la generosa nobiltà dell’ultimo campione dell’antichità romana – Autenticamente emozionante la sua  “Dagl´immortali vertici”. Il fraseggio è vario, curato, pertinente, mentre la baldanza vocale trova il suo suggello nella spettacolare puntatura con cui chiude “È gettata la mia sorte”.
Ottimo il Foresto di Stefano La Colla, voce robusta e squillante, bella linea di canto, piena partecipazione espressiva per un personaggio non facile da inquadrare sul versante espressivo e sicuro su una tessitura sovente impervia. Completano il cast con solida professionalità Gabriel Rollinsson (Leone) e Stefan Sbonnik (Uldino).