Melodramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti. Prima esecuzione: Roma, Teatro Apollo, 24 febbraio 1821.
Primi interpreti:
Catarina Lipparini (Matilde)
Giuseppe Fusconi (Corradino)
Carlo Moncada (Raimondo)
Annetta Parlamagni (Edoardo)
Giuseppe Fioravanti (Aliprando)
Antonio Parlamagni (Isidoro)
Luigia Cruciati (Contessa D’Arco)
Antonio Ambrosi (Ginardo)
Gaetano Rambaldi (Egoldo)
A metà dicembre Rossini era di ritorno a Roma, dove gli venne commissionato un’opera per il teatro Apollo. Contrariamente a quanto faceva di solito, e probabilmente a causa del tempo libero che gli imponeva l’estate a Napoli, Rossini aveva iniziato a lavorarvi prima di partire per Roma. L’opera era già stata annunciata Roma con il titolo di Matilde, ma Rossini, insoddisfatto del libretto ancora incompleto, si rivolse al vecchio collaboratore Ferretti per un aiuto. Ferretti era troppo occupato per poter rimaneggiare il libretto o scriverne uno nuovo, cercò in giro, ne trova uno vecchio che aveva precedentemente adottato e lo diede Rossini. Ciò che aveva preso vita come Mathilde de Morwel divenne in breve Matilde di Shabran, un’opera semiseria con una storia abbastanza diversa, ma con la stessa musica e fortunatamente un’eroina dallo stesso nome. In seguito al cambiamento dell’ultimo momento e alla fretta è derivatane, Rossini si fece aiutare dal compositore Giovanni Pacini, suo ardente ammiratore e imitatore, destinato a ereditare il suo posto al San Carlo.
Matilde di Shabran debuttò il 24 febbraio 1821 all’Apollo. La prima rappresentazione viene diretta dal grande violinista virtuoso Paganini, che assunse la direzione quando il direttore d’orchestra previsto ebbe un colpo apoplettico durante la prova generale, e, dopo un inizio incerto, l’opera venne favorevolmente accolta. Ma nonostante il successo incontrato, al proprietario del Teatro, Giovanni Torlonia, Duca di Bracciano, non rimase soddisfatto. Il Duca, che aveva preso la gestione dell’Apollo nel 1820, era un membro della ricca famiglia di banchieri di Torlonia (banchieri di Keats a Roma) e, come impresario, aveva molto più gusto di alcuni suoi aristocratici colleghi. Aveva incominciato a capovolgere la pessima reputazione dei teatri Romani restaurando l’Apollo, trasformandolo in un popolare centro sociale, con sale di ricevimento, tavoli da gioco e un caffè. Stendhal lo descrisse come “l’unico teatro decente in tutta questa grande città”. Torlonia ovviamente considerava poco importante ingaggiare costose stelle del canto per il suo teatro (non si annoverano nella compagnia vocale di Matilde nomi famosi) fino a che aveva in cartellone un nome come quello di Rossini; tuttavia non fu contento quando scoprì che solo metà dell’opera era di pugno di Rossini, mentre il resto era di Pacini. Rifiutò di pagare Rossini la cifra concordata di 500 scudi, e Rossini prontamente frugò tutto il teatro, raccolse lo spartito e le parti d’orchestra, sostenendo che, finché non veniva pagato, queste legalmente gli appartenevano. Le rappresentazioni non poterono continuare fin tanto che un ricorso al Cardinale Governatore di Roma risorse la questione. L’opera vende così rappresentata fino al 6 marzo.
Il comportamento del Duca può avere avuto qualche giustificazione dato che esiste un resoconto delle giornate di Rossini di Paganini durante il carnevale di Roma di quell’anno, periodo nel quale Rossini avrebbe dovuto essere il lavoro sull’opera. Durante la settimana di carnevale, intera città era “en fête” e tutte le normali regole di comportamento venivano gettate al vento.
Le festività si aprivano ogni giorno con una salva di cannone che da inizio alla famosa corsa di cavalli bradi, soggetto rappresentato in alcuni dei più potenti quadri del pittore francese e Géricault. Da quel momento e la folla era libera di andare per le strade, e gli abitanti della città sfoggiavano qualsiasi tipo di travestimento, ballavano e cantavano nel Corso, la via principale che unisce il Campidoglio e Piazza del Popolo. Tra la moltitudine quell’anno si trovavano Rossini e Paganini, che, travestiti da donna, con la chitarra in mano, cantavano e ballavano tra la gente. (Estratto da “Rossini his life and times” di Nicholas Till, GB, 1983)