Berlino, Staatsoper unter der Linden: “Jenůfa”

Berlino, Staatsoper unter der Linden
JENŮFA”
Opera in tre atti su libretto di Leoš Janáček dall’omonimo racconto di Gabriela Preissová
Musica di Leoš Janáček
La vecchia signora Buryja HANNA SCHWARZ
Laca Klemeň STUART SKELTON
Števa Buryja LADISLAV ELGR
Kostelnička EVELYN HERLITZIUS
Jenůfa CAMILLA NYLUND
Il mugnaio JAN MARTINÍK
Il sindaco DAVID OŠTREK
La moglie del sindaco NATALIA SKRYCKA
Karolka EVELIN NOVAK
La pastora AYTAJ SHIKAHALIZADA
Barena ADRIANE QUEIROZ
Jano VICTORIA RANDEM
Tetka ANNA KISSJUDIT
Staatskappelle Berlin e Staatsoper Chor
Direttore Simon Rattle
Maestro del coro Martin Wright
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Berlino, Staatsoper unter der Linden, 13 febbraio 2021 (diretta streaming)
La diffusione delle trasmissioni in streaming ha come unico aspetto positivo la possibilità di fruire da distanza di quanto accade sui palcoscenici internazionali e di poter godere di produzioni cui sarebbe stato più difficile poter assistere in tempi normali.
È il caso della notevolissima esecuzione di “Jenůfa” messa in scena dalla Staatsoper unter der Linden e trasmessa tramite streaming e che si è dimostrata uno degli spettacoli più interessanti di questo inizio di 2021.
Personalmente non ho mai amato l’imposta registica di Damiano Michieletto ma va riconosciuto al regista di aver realizzato uno spettacolo di notevolissima efficacia. Per una volta Michieletto rinuncia a quel gusto inutilmente sovraccarico che spesso lo caratterizza così come evita di usare l’opera per proporre concetti da essa totalmente slegati. Racconta invece una storia, e lo fa in modo esemplare per cura della recitazione e rigore espressivo. Scena scarna, soglia, pareti luminose dai riflessi glaciali e proprio il ghiaccio metafora dell’inumana freddezza sottesa all’ipocrisia del villaggio boemo – e quanto l’universo di “Jenůfa” è simile al riguardo a quello del futuro “Peter Grimes” di Britten – domina la componente visiva. Ghiaccio e quello che domina la scena di Števa nel primo atto, fortemente connotata in chiave sessuale: il punteruolo e la rottura del ghiaccio alludono chiaramente alla perdita della verginità di Jenůfa – non a caso, con lo stesso punteruolo, involontariamente Laca la sfregerà privandola anche della bellezza.  Ghiaccio che sempre più viene a invadere la scena, che raggela tutti nel loro mondo d’ipocrisie e miserie. Una freddezza che le luci di Alessandro Carletti e i costumi di Carla Teti rafforzano ulteriormente. A  contrasto solo lo scarlatto che indossa il figlioletto di Jenůfa, unico accenno di vita in un mondo emotivamente morto. Solo nel finale un caldo raggio di Sole accompagnerà l’allontanarsi di Jenůfa e Laca finalmente riscaldati da un reciproco affetto sincero, da una speranza lontana dall’asfissiante villaggio.
Perfettamente in linea con la visione registica la direzione di Simon Rattle. Il maestro britannico ha sempre avuto una particolare intesa con la musica ceca che qui emerge pienamente. Rattle propone per una lettura lirica e rarefatta, i colori sono perlacei, lucidi, freddi e quasi spettrali. Le strutture portanti sono evidenziate con estrema chiarezza e nulla è concesso al facile melodismo cui pure l’opera in più punti sembra invitare. Si pensi agli elementi di natura folklorica che puntellano la scrittura di Janáček,  che qui compaiono come prosciugati, schemi ancora pienamente riconoscibili ma trasformati in strutture monocromatiche che scandiscono la vicenda, senza accenderla di un calore che sarebbe qui improprio. La perfetta coerenza di lettura musicale e registica rappresenta sicuramente il punto di forza dello spettacolo complesso.
Nell’insieme positiva la prova del cast. Nei panni della protagonista troviamo il soprano finlandese Camilla Nylund ormai affermata interprete wagneriana e straussiana. Voce ampia, ricca di armonici, naturalmente sonora. Il timbro di una luminosità un po’ algida che spesso caratterizza i cantanti scandinavi, che ben si presta al lirismo introverso e dolente di Jenůfa. L’interprete è sensibile e il fraseggio sempre curato, atto a un riuscito scavo psicologico del personaggio.
Evelyn Herlitzius è artista di spicco. In Kostelnička trova terreno ideale per far emergere ancora le sue qualità. La voce non è certo bella,  forse neppure adatta a un ruolo che richiederebbe un timbro più scuro e profondo, di autentico mezzosoprano, cosa che la Herlitzius  non è. Così come la tecnica si può definire “personale”. In questo repertorio però il dato espressivo diventa dominante. Questo permette alla Herlitzius di far valere la sua personalità. Ne esce così un personaggio impressionante nella sua essenzialità, capace di esprimere l’abisso di orrori che cova nell’animo della Sagrestana. La gestualità è rigorosa, essenziale, mai palese e per questo più intimamente drammatica e sofferta. Una apparente normalità che si frantuma con violenza di fronte ad un abisso insanabile scavato con lucida freddezza, ma con un fondo di sincera umanità.Meno caratterizzate le figure maschili,  ma in fondo questi ruoli appaiono più genericamente “lineari”. Stuart Skelton è un Laca di bonaria simpatia, con il suo fisico ingombrante, i gesti impacciati che danno al ruolo un’innegabile bonomia. Sul piano vocale si apprezza lo slancio, anche se il timbro non è gradevolissimo, così come il controllo del ragguardevole materiale vocale è discontinuo. Ladislav Elgr dona a Števa  una bella voce squillante e sicura. Ha inoltre il merito di dare un ritratto più sfumato e sofferto del personaggio (non un semplice bullo “sciupafemmine”) – ad esempio nell’intenso duetto con Kostelnička.
Commovente cammeo di Hanna Schwarz, l’indimenticabile Fricka del Ring di Chéreau e Boulez a Bayreuth. Qui nei panni della vecchia Buryja rivela ancora di possedere una vocalità ragguardevole Victoria Randem da il giusto slancio al pastorello. Foto Bernd Uhlig