Opera buffa in tre atti, su libretto di Giuseppe Petrosellini (su un soggetto di Ranieri De’ Calzabigi). Prima rappresentazione: Monaco, Teatro di Corte, 13 Gennaio 1775.
Da un libretto di Petrosellini (già musicato da Pasquale Anfossi) che presenta delle situazioni in apparenza farsesche, e in parte lo sono, ma che, mettendo in evidenza i deliri temporali rispondono al gusto tipicamente illuminista del mettere in contrasto razionalità e irrazzionalità. Così, la grande scena che chiude il secondo atto, in un bosco e di notte, è il contorno ideale per esplicitare questo conflitto; e le parole dissennate di Sandrina e Belfiore, oltre al loro significato letterale, attestano il momento di massima confusuione mentale prima della riconciliazione. Per il resto sono rispettati gli schemi consueti dell’opera buffa e la connotazione dei personaggi secondo parti serie (Ramiro e Arminda), patetiche (Sandrina) e buffe (Podestà, Serpetta e Nardo); mentre il Contino oscilla fra il patetico e il buffo.
Altra questione è come Mozart mettesse in musica tutto ciò. Innanzitutto occorre osservare come egli si fosse accostato all’operabuffa e al genere comico, fino ad allora, solamente con le prove giovanili della Finta semplice e di Bastien und Bastienne, e come, da quelle partiture ancora ingenue, fosse maturato attraverso opere serie ed encomiastiche. Eppure, nella partitura della Finta semplice e possibile assaporare tutti gli stilemi buffi dell’opera napoletana, insieme a una personalità che investe questi schemi di una nuova energia musicale. Troviamo, nella Finta giardiniera, ventotto numeri musicali (più l’ouverture), la maggior parte dei quali sono delle arie, distribuite come di consueto secondo l’importanza dei personaggi. E infallibile è la definizione delle varie individualità. La protagonista Sandrina, per esempio, si presenta già nel primo atto con due distinte pagine (nr.4 “Noi donne poverine” e nr.11, “Geme la tortorella”) che delineano un profilo patetico; il personaggio di Arminda, che rientra negli stilemi “seri”, viene gratificato con una grande aria di “furore” (nr.13, “Vorrei punirti”), mentre Nardo e Serpina i cimentano nelle loro schermaglie amorose con la deliziosa scaltrezza dell’opera buffa; il Podestà è il personaggio più incline al farsesco, mentre Ramiro si trova forse ad avere le pagine più preziose, come “Dolce d’amor compagna” (nr.18), un’aria dalla levigatissima linea melodica, che esprime la tenerezza del sentimento amoroso come forse nessun personaggio prima del paggio Cherubino.
Il contino Belfiore si presenta con un’aria buffa e quasi farsesca (nr.8 “Da scirocco a tramontana”), ma è incline poi come Sandrina al genere patetico. Ciò che deve avere impressionato il pubblico dell’epoca, e che impressione ancora oggi, è la qualità costantemente alta di tutti i brani musicali, senza flessioni neanche per le pagine dei personaggi minori, come invece era costume dell’epoca. Mozart sceglie poi per le varie arie delle tipologie formali piuttosto diversificate, e predilige come modello, impiegato i ben otto casi, la nuova aria bipartita, con una parte contemplativa seguita da una parte dinamica (un modello che peraltro si sarebbe imposto negli successivi; mentre le altre pagine seguono i modelli dell’aria a strofe, e dell’aria “dal segno”.
Se l’aspetto formale mostra come La finta giardiniera guardi per molti versi al futuro, questo orientamento è ulteriormente confermato delle pagine di insieme. Non solo il lungo e mirabile duetto nr.27, “Io ti lascio”, fra Sandrina è il contino Belfiore, ma soprattutto l’introduzione, nr.1, e i due vasti finali d’atto nr.12 e nr.23 (il finale del terzo atto invece un breve insieme). Nell’introduzione ciascuno dei personaggi esprime il proprio sentimento, ma le voci si alternano e si sommano mirabilmente. Nei finali le varie sezioni si succedono fra loro in modo da creare un autentico climax espressivo. Nel finale del secondo atto, in modo particolare, la progressione dalla disperazione di Sandrina, abbandonata nel bosco, alla follia di Sandrina e Belfiore avviene in modo calibratissimo, e con il ricorrere di una figurazione d’accompagnamento che dona unità all’intero finale, uno dei momenti più alti del Teatro del giovane Mozart.
,