Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791) “Die Zauberflöte” (Il flauto magico), ouverture K. 620 (1791)

Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo 1756 – Vienna 1791)
“Die Zauberflöte”
(Il flauto magico), ouverture K. 620
Adagio, Allegro, Adagio, Allegro
Un’ombra di mistero avvolge ancora la genesi dell’ultimo capolavoro teatrale di Wolfgang Amadeus Mozart, Die Zauberflöte, ma è certo che questo Singspiel, completato il 28 settembre 1791 e rappresentato due giorni dopo a Vienna al Theater auf der Wieden, il cui direttore e impresario, in quel periodo, era Emanuel Schikaneder, autore del libretto, ebbe un successo crescente che diede al suo autore forse l’ultima gioia in un anno particolarmente travagliato che si sarebbe concluso con la sua morte pochi mesi dopo. Eppure il 30 settembre 1791, alla sua prima rappresentazione, il pubblico fu piuttosto tiepido nei confronti di Die Zauberflöte, formalmente un Singispiel, genere musicale tedesco simile all’Opéra-comique francese e caratterizzato dall’alternanza di parti recitate e parti cantate. A tale proposito si narra che quella sera Mozart, deluso dell’accoglienza fredda del pubblico, si precipitò alla fine del primo atto pallido e sconvolto sulla scena dove fu consolato dallo stesso Schikaneder, ma, alla fine del secondo atto, il pubblico mutò opinione chiamando alla ribalta il Salisburghese che, dopo essersi nascosto, fu convinto a fatica a ritornare sulla scena. Dalla seconda rappresentazione in poi Il flauto magico, che, chiamato dallo stesso compositore Deutsche Oper, avrebbe posto le basi dell’opera nazionale tedesca, incontrò un successo via via crescente testimoniato da quanto scrisse lo stesso Mozart dopo una delle tante riprese dell’opera il 7 ottobre alla moglie che si trovava a Baden:
“Vengo or ora dall’opera; c’era il pieno come al solito. Il duetto «Mann und Weib» ecc. e il pezzo dei campanelli nel primo atto sono stati, come sempre, bissati e così anche il terzetto dei fanciulli nel secondo. Ciò che però più di tutto mi fa piacere è l’applauso silenzioso; si vede ogni giorno di più come quest’opera sale”.
Non si conoscono con precisione le fonti di questa fiaba e nemmeno quale sia stato il contributo di Mozart alla stesura del libretto, il cui soggetto fu tratto da Schikaneder, molto probabilmente, dalla Lulu oder die Zauberflöte (Lulu ovvero il flauto magico) del parroco scrittore August Jakob Liebeskind. Da questa fiaba, inserita nella raccolta Dschinnistan oder Auserlesene Feen und Gesistermärchen (Jinnistan ovvero Raccolta di fiabe di fate e di spiriti) edita da Cristoph Martin Wieland tra il 1786 e il 1789, Schikaneder e Mozart, entrambi massoni, trassero un’opera piena di simboli massonici, nella quale, in un immaginario Egitto, il principe Tamino, guidato dal saggio Sarastro, dopo aver superato una serie di prove, riesce a liberare l’amata principessa Pamina dal potere della Regina della Notte.


La simbologia massonica informa anche la celeberrima ouverture sin dalla scelta della tonalità di mi bemolle maggiore, le cui alterazioni, disposte nell’armatura di chiave in forma di triangolo, ricordano questa figura geometrica tanto cara alla massoneria. Un altro simbolo massonico è costituito dagli accordi ribattuti di apertura che richiamano i colpi di martello con cui si aprivano le sedute delle logge. Al misterioso Adagio introduttivo, che richiama il tormentato e oscuro mondo femminile della Regina della Notte, si contrappone l’Allegro in forma-sonata, costruito su un tema ribattuto tratto da una sonata di Clementi e sviluppato in uno stile fugato che, per il suo carattere architettonico in seno alle strutture musicali, allude alla forza della ragione. L’Allegro è interrotto dalla ripresa dei tre accordi iniziali alla fine dell’esposizione e prima dello sviluppo nel quale il tema iniziale appare in un contesto armonico tormentato che, però, ritrova la luce nella ripresa.