Sergej Sergeevič Prokof’ev (Sonzovka, Ekaterinoslav, 1891 – Mosca 1953)
Ouverture su temi ebraici op. 34
Un poco allegro
Giunto all’inizio di settembre del 1918 negli Stati Uniti dopo un lungo e pericoloso viaggio, Prokof’ev non riscosse il successo sperato né presso il pubblico americano né presso la stampa che, come ricordò lo stesso compositore, dopo due concerti sinfonici tenuti il 10 e l’11 dicembre alla Carnegie Hall sotto la direzione di Modest Alschuler, musicista di origine russa, lo criticò aspramente e all’unanimità non risparmiando i suoi giudizi negativi nemmeno all’orchestra e al direttore. Tra tante delusioni per progetti mancati e opere, già composte, tra cui L’amore per le tre melarance e Il giocatore, ma sistematicamente rifiutate da tutti i teatri, uno dei pochi inaspettati momenti di gioia per Prokof’ev, che versava in uno stato di profondo abbattimento, gli venne da questa Ouverture su temi ebraici dall’insolito organico, composta senza molto impegno né convinzione su commissione di un ensemble ebraico di nome Zimro, come lo stesso compositore ebbe modo di ricordare nelle sue memorie:
“Nell’autunno del 1919 arrivò in America l’ensemble ebraico Zimro, costituito da un quartetto d’archi, un clarinettista e un pianista. Gli esecutori erano tutti miei colleghi del Conservatorio di Pietroburgo. Mi raccontavano che davano concerti per raccogliere fondi per il Conservatorio di Gerusalemme, e che ciò avrebbe dovuto suscitare l’interesse della comunità ebraica americana, ma in realtà i guadagni bastavano a malapena alla loro sopravvivenza personale. Nel loro repertorio c’era musica ebraica di un certo interesse per le diverse combinazioni strumentali: per due violini, per trio. «Scrivete per noi un’ouverture per sestetto» mi dissero, dandomi un quaderno dove erano annotati temi ebraici «così potremo cominciar i concerti tutti insieme». Rifiutai, dicendo che compongo soltanto su miei materiali musicali. Ciononostante mi restò il quaderno. Una sera lo sfogliai, scelsi alcuni temi piacevoli, cominciai a improvvisare al pianoforte e all’improvviso mi accorsi che casualmente si erano messi insieme e avevano formato interi brani. Il giorno seguente lavorai fino a tardi e alla sera avevo composto tutta l’ouverture. Per ripulirla mi servivano dieci giorni. Non davo particolare importanza all’Ouverture ebraica, ma questa ebbe successo”. (Cfr. M. R. Boccuni, Prokof’ev, L’Epos, Palermo 2003, p. 188)
Effettivamente la prima esecuzione, avvenuta a New York nel 1920 con lo stesso Prokof’ev, al pianoforte ebbe un successo tale che il compositore orchestrò nel 1934 il brano originariamente scritto per quartetto d’archi, clarinetto e pianoforte.
Dal punto di vista formale, questo lavoro è una classica ouverture con due temi dei quali il primo, di carattere allegro e saltellante con un uso piuttosto sistematico del semitono, è esposto dal clarinetto mentre il secondo, cantabile, è affidato al violoncello; sono questi i due strumenti ai quali è data una maggiore importanza rispetto agli altri e in particolar modo al pianoforte, la cui parte, scritta per il pianista, molto probabilmente un dilettante, dell’ensemble di Zimro, è molto semplice, soprattutto se posta a confronto con i lavori pianistici di Prokof’ev.