Jean-Baptiste Lemoyne (1751 – 1796):”Phèdre” (1786)

Tragédie lyrique in tre atti su libretto di François-Benoît Hoffman. Judith van Wanroij (Phèdre), Julien Behr (Hippolyte), Tassis Christoyannis (Thésée), Melody Louledjian (OEnone), Jérôme Boutillier (Un Grand de l’État / Un Chasseur), Ludivine Gombert (La Grande Prêtresse de Vénus). Purcell Choir, Orfeo Orchestra, György Vashegyi (direttore). Registrazione: Budapest,  Béla Bartók National Concert Hall, 10-13 settembre 2019. 2CD Fondazione Palazzetto Bru Zane BZ 1040
La fondazione Palazzetto Bru Zane continua la sua meritoria opera di riscoperta del repertorio francese dei decenni tra la fine dell’Ancient regime e la stagione napoleonica quando dall’incontro tra l’opera riformata di Gluck e la grande tradizione tragica del teatro di prosa francese si realizza pienamente il genere della tragédie lyrique neoclassica che rappresenta uno degli esiti più alti raggiunti dalla cultura musicale europea nella costruzione di quel rapporto autenticamente simbiotico tra musica e parola che dell’opera lirica era stata il primo seme generatore negli ormai lontani esperimenti fiorentini dell’ultima stagione manierista.
Il nome di Jean-Baptiste Lemoyne non è certo un nome noto,  neppure ai più ferventi appassionati, essendo le sue opere scomparse dai repertori già durante il Primo Impero. Non è però una figura e marginale e merita attenzione. Fervente ammiratore di Gluck – quasi a caderne nell’imitazione, rasentando il plagio – è stato tra i più precoci protagonisti della stagione neoclassica tra Luigi XVI e la Rivoluzione anticipando i lavori di Piccinni, Salieri, Cherubini.
Nato in Dordogna nel 1751, nipote del maestro di cappella della cattedrale di Périgueux, da cui aveva ricevuto la prima formazione musicale,  maturato in Germania, affermatosi come compositore nella lontana Varsavia (1775) Lemoyne aveva un talento ecclettico, irruento, pronto a sfidare anche le convenzioni più radicate per imporre la sua visione del teatro e dell’arte.
Tornato in Francia nel 1782 con al fianco Anne Antoniette Cécil Clavel – che diverrà nota come M.me Saint-Huberty – la talentuosissima cantante francese che non solo sarà la musa di Lemoyne, ma sarà  una delle più luminose stelle della scena musicale europea della fine del XVIII secolo. Dopo l’insuccesso della sua prima opera francese, “Électre” impostata su un gluckismo rigoroso e integralista, Lemoyne rivedere il suo linguaggio compositivo, stempera gli eccessi, acquisisce maggiore equilibrio.  Frutto di questa maturazione è “Phèdre” tratta dall’omonima tragedia di Racine, adattata con grande sensibilità dal giovane François Benoît Hoffmann, il futuro librettista della “Medée” di Cherubini. L’opera andata in scena nel 1786 a Fontainebleu, poi ripresa a Parigi fu salutata da un successo pieno,  sia per le musiche, che per la soggiogante interpretazione della Saint-Huberty. La partitura iniziò così una lunga e trionfale stagione di riprese – seppur con qualche alleggerimento delle parti corali e coreutiche – destinato a durare fino alla fine dell’epoca napoleonica, quando il cambio di gusto ne decretò l’oblio.

All’ascolto odierno, dopo quasi duecento anni di silenzio l’opera colpisce e affascina, anche se non la si può definire un capolavoro – appare  evidente una certa discontinuità tra i vari momenti dell’opera. In ogni caso “Phèdre” è la perfetta espressione di equilibri musicali ed espressivi, un esemplare studio degli affetti, della loro espressione, fino a giungere alle pure emozioni, a una parola che si fa canto, nella sua semplicità,  come nel breve monologo finale di Fedra, pagina che sola varrebbe a Lemoyne un’alta considerazione nella storia della musica. L’opera è caratterizzata da un crescendo drammatico, il primo atto e di una staticità quasi oratoriale,  con lunghe scene di preghiera, ma praticamente senza azione, espressa da una musica  godibile ma lontana dalla fascinazione mistica gluckiana. A partire dal secondo atto la vicenda si accalora e l’ispirazione musicale con essa, per toccare l’apice  terzo atto, con una  grande scena di Thesée, dalla turbinante drammaticità e il già citato assolo di Phèdre. Sono questi i vertici musicali della partitura. Va inoltre citata la scena dell’apparizione del mostro di Nettuno. Qui è innegabile che le somiglianze con l’analogo momento dell’ “Idomeneo” di Mozart sono evidenti. Considerando i contatti del musicista francese con il mondo musicale tedesco non è inverosimile una conoscenza dell’opera mozartiana del 1780.
La presente registrazione presenta la versione originale completa dell’opera prima delle revisioni operate dallo stesso Lemoyne per le successive riprese.
Sul podio György Vashegyi direttore magiaro con una lunga frequentazione del repertorio classico francese. La sua è una direzione curata e attenta,  sostenuta da una profonda conoscenza stilistica  e da una solida tecnica direttoriale. Manca forse un po’ di fantasia, un maggiore scatto drammatico e vitale, specie  in quei momenti in cui la musica sembra richiederlo. Un prova comunque di alto livello. I complessi Orfeo Orchestra si mostrano all’altezza della partitura così come i cantori del Purcell Choir nonostante qualche comprensibile imprecisione di pronuncia.
Nei panni della protagonista Judith van Wanroij con si presenta  come l’interprete ideale. Da quanto ci è stato tradamadato dalle fonti la Saint-Huberty doveva essere  un mezzosoprano acuto dalla voce calda e profonda. La van Wanroij è invece un soprano dalla voce chiara e luminosa e una predisposizione per il canto lirico. I limiti di base sono però compensati da una solida padronanza stilistica, unita un fraseggio curatissimo e da una rara capacità di cantare sulla parola, di valorizzare il valore musicale di ogni singolo vocabolo. Aspetto questo universalmente riconosciuto alla prima interprete.
Hippolyte è affidato a  uno dei cantanti più raffinati della scena contemporanea. Julien Behr tenore dal timbro non particolarmente  seducente, è dettaglio di poco conto di fronte all’impeccabile musicalità, alla naturale eleganza del canto, la tersa chiarezza della dizione.
Presenza abituale delle produzioni Bru Zane, il baritono Tassis Christoyannis.  Forse la voce può suonare “leggera” per la parte di Thesée,  ma anche nel suo caso, la lunga frequentazione di questo repertorio, la naturale eleganza e musicalità compensano una vocalità forse non così drammatica come sembrerebbe di potersi intuire dalla musica.
Melody Louledjian canta con gusto ed eleganza la parte della sacerdotessa Oenone affidata a una voce di autentico soprano, che conferma la natura mezzosopranile della protagonista. Jérôme Boutillier e Ludivine Gombert completano validamente il cast.