Oper Leipzig, Stagione di opera, balletto e concerti 2020-2021
“IL TROVATORE”
Dramma in quattro parti su libretto di Salvadore Cammarano
Musica Giuseppe Verdi
Leonora ROBERTA MANTEGNA
Azucena MARINA PRUDENSKAYA
Ines SANDRA MAXHEIMER
Manrico GASTÓN RIVERO
Conte di Luna DARIO SOLARI
Ruiz ÁLVARO ZAMBRANO
Ferrando SEJONG CHANG
Gewandhausorchester
Chor der Oper Leipzig
Direttore Antonino Fogliani
Maestro del coro Thomas Eitler-de Lint
Regia Jakob Peters-Messer
Scene Markus Meyer
Costumi Sven Bindseil
Luci Raoul Brosch
Drammaturgia Nele Winter
Leipzig, 31 dicembre 2020, in streaming
Distinguere tra uno spettacolo “antologizzato” e uno “da antologia” non è forse il modo più entusiasmante per iniziare l’anno nuovo, ma è necessario nel caso del Trovatore che l’Oper Leipzig ha trasmesso in diretta l’ultimo giorno del 2020, in una curiosa e discutibile versione abbreviata, che certamente non entrerà nelle antologie del teatro musicale. La selezione inizia con il coro dei gitani di II i e la canzone di Azucena, che ex abrupto lascia lo spazio a Ines e Leonora per la scena I ii, cui seguono le successive fino al termine della I parte. Dopodiché si ritorna a II i, per assistere al duetto (incompleto) tra Azucena e Manrico; la triplice domanda «Non son tuo figlio?… E chi son io? chi dunque?» rimane infatti senza risposta, perché Manrico canta subito appresso «L’usato messo Ruiz invia», con un taglio che distrugge il senso del duetto per passare bruscamente a II 2. Terminato il primo duetto tra Manrico e Azucena, ritorna il Conte di Luna per la grande aria di II 3, ma con nuovo taglio di recitativi, funzionale al salto al coro interno di religiose («Ah! se l’error t’ingombra») e dunque al concertato finale della II parte. Ora i tagli si arrestano, ma i tempi quasi forsennati del direttore d’orchestra sottraggono alla scena parte del suo fascino musicale, soprattutto perché alcuni interpreti vocali non riescono a sostenere il ritmo con buon esito. Varcata ormai la metà dell’opera, il direttore attacca III v, con il duetto tra Leonora e Manrico, collegato alla parte IV, eseguita senza più cesure. Antonino Fogliani debutta nella direzione del Trovatore, disponendo di un’orchestra straordinaria come quella del Gewandhaus di Leipzig, che garantisce una sonorità solida e variegata, senza però un’idea definita dei colori e delle dinamiche interne all’opera; il direttore stacca tempi abbastanza difformi, rapidissimi nel terzetto della I parte, lenti per gli interventi solistici di Azucena e del Conte di Luna (evidentemente per soddisfare precise esigenze dei cantanti), poi di nuovo molto rapidi, producendo un certo disorientamento nell’ascoltatore. Alcuni momenti orchestrali sono pregevoli (nel terzettino finale dell’opera si sentono perfino emergere i corni così bruckneriani della Gewandhausorchester), ma a volte la concertazione è poco accurata: sebbene si trattasse della seconda recita (la prima fu il 6 dicembre), resta ancora da risolvere qualche disallineamento tra coro e orchestra (in particolare nella scena d’apertura con i gitani, funestata da percussioni di incudini e martelli quasi amatoriali). Marina Prudenskaya, che spesso abbiamo avuto modo di apprezzare, appare assai poco motivata nel ruolo di Azucena: canta con una dizione incomprensibile e una linea di canto monocorde, come se non fosse partecipe della situazione teatrale. Gastón Rovero ha abbastanza squillo, anche se non ha modo di esercitarlo al meglio; canta la cabaletta della pira rapidamente, ma almeno con il ‘da capo’ (peccato che la salita al do sia accidentata e che la puntatura finale risulti come mozzata; canta molto meglio, e con stile più opportuno, nella scena del Miserere). Dario Solari esegue con eleganza «Il balen del suo sorriso», mentre Roberta Mantegna porge con molta delicatezza la cavatina di Leonora – tutta improntata al sogno lirico, ma priva di inquietudini – e riesce ancora meglio in «D’amor sull’ali rosee» (il momento musicale più bello di tutta la selezione). Del resto si può dire ben poco: scomparsa la parte di Ferrando, rattrappito il coro dei gitani, assenti o ridotti gli altri interventi corali. La regia di Jacob Peters-Messer fa parte di un allestimento conosciuto, ma in questa selezione sembra che sia stato conservato il peggio del suo Trovatore, come la coppia di angeli della morte (muniti di spada, ça va sans dire) accovacciata dietro Leonora durante la cavatina della I parte, la murata di tombe all’inizio della IV (con tanto di nomi dei defunti, leggibili e grotteschi), la bara preparata dal Conte di Luna in cui si corica Azucena, mentre accanto a lei un suo doppio (avrebbe potuto mancare in una regia tedesca, anche dimidiata, un doppio personaggio muto?) in versione zombie culla il bambolotto del figlio ucciso per errore … È inevitabile che, come conseguenza della polverizzazione della drammaturgia originale, anche la resa drammatica dei cantanti sia alquanto sminuita; ma dunque, perché conservare i dettagli registici più inutilmente allusivi, anziché dare un significato affettivo alla recitazione degli artisti e alla loro interazione? Tale domanda è soltanto la conseguenza di un’altra, più stringente: perché esercitare la selezione su di un’opera tanto conosciuta – e celebre per la sua essenzialità – come Il trovatore? Nessuno potrebbe credere che l’Oper Leipzig non disponesse dei mezzi per allestire il melodramma in forma completa (si veda che cosa è riuscita a fare una realtà dalle dimensioni più ridotte come il Teatro Verdi di Padova con il recente Rigoletto), per cui tanto meno si comprende la ragione sostanziale di questa operazione culturale. Ricavare l’antologia di un’opera d’arte è un’azione critica che richiede grandissima abilità e intelligenza; nella situazione speciale di questi mesi avrebbe senso antologizzare un grand opéra o una rarità del repertorio barocco, belcantistico o contemporaneo. Al contrario, accanirsi sulle due ore e mezza complessive del Trovatore per tagliarne una e modificare la distribuzione delle scene significa soltanto mortificare le aspettative dell’ascoltatore o rendere più impervia la fruizione del neofita. Se le produzioni senza pubblico e destinate alla trasmissione in streaming sono una necessità contingente, ma al tempo stesso vogliono essere una testimonianza di impegno artistico e civile, il cui obbiettivo è anche trasmettere speranza attraverso la bellezza, non rinunciare alla bruttezza di scene nere e grigie (come quelle di questo mezzo Trovatore), non può che essere una sfida per la memoria visiva dello spettatore, che le ricorderà soltanto per il loro banale squallore. Foto © Leipzig Oper