Opéra tragique in quattro atti su libretto di Paul Milliet e Henri Grémont (Georges Hartmann), da Flaubert. Prima rappresentazione: Bruxelles, Théâtre Royal de la Monnaie, 19 dicembre 1881
Il progetto di Hérodiade cominciò a prendere forma nel 1878 quando Hartmann, dopo aver scartato l’idea di Milliet e di Massenet di scrivere un poema d’amore che evocasse un po’ il Cantico dei cantici, propose la composizione di una pièce teatrale che s’ispirasse alla celebre opera di Gustave Flaubert, Trois contes, pubblicata nel 1878. Il personaggio di Salomè aveva attratto molti scrittori tra cui il poeta Stéphane Mallarmé il quale aveva pensato a una pièce teatrale dedicata, però, alla madre Hérodiade, ma non aveva completato l’opera lasciando frammenti presi a modello da altri. Sulla sua scia avevano scritto della perversa giovinetta Salomè e della madre Hérodiade altri autori tra cui Oscar Wilde, Richard Strauss, Paul Hindemith, ma per il lavoro di Massenet il modello utilizzato fu sicuramente quello di Gustave Flaubert a cui probabilmente si aggiunsero brani tratti dalla Vie de Jésus di Renan soprattutto quelli realtivi alle vicende del Battista e alla stirpe di Erode presenti nei capitoli sesto e dodicesimo. Quando Hartmann propose questo soggetto, chiese, tuttavia, di firmare lui stesso il libretto con lo pseudonimo di Grémont rivendicandone per sé anche i diritti. Dopo alcuni giorni Massenet, Hartmann e Milliet partirono per Milano non solo per assistere alla messa in scena di Le roi de Lahore alla Scala, ma per accordarsi anche con Ricordi per la rappresentazione di Hérodiade in Italia. Fu deciso che l’opera sarebbe andata in scena contemporaneamente alla Scala e all’Opéra di Parigi e a questo punto al libretto si aggiunse una nuova firma, quella di Zanardini in qualità di traduttore. Massenet, quindi, lavorò per due anni e mezzo all’opera che orchestrò a Pourville e nel 1881 poté portarla in visione al nuovo direttore dell’Opéra, Vaucorbeil il quale la rifiutò in quanto poco fiducioso nella qualità del libretto. Il compositore deluso si riprese la partitura e andò via senza alcuna speranza di vedere rappresentata la sua opera, ma, secondo quanto egli scrisse in Mes souvenirs, la fortuna gli venne in soccorso nella persona di Calabrési, direttore del Théâtre Royal de la Monnaie che gli chiese appunto Hérodiade. Lo stesso Massenet ricordò questo incontro e la relativa proposta:
So (mi disse avvicinandomi il signor Calabrési) che lei ha una grande opera: Hérodiade. Se lei vuole darmela, io la allestisco subito al Théâtre de la Monnaie.
Ma lei non la conosce? Gli dissi.
Non mi permetterei mai di chiedere a lei, proprio a lei, un’audizione.
Ebbene! Io, replicai subito, questa audizione gliela infliggo.
Ma… domani mattina riparto per Bruxelles.
A questa sera, allora! Risposi. La attenderò alle otto nel magazzino di Hartmann. Questo sarà chiuso a quell’ora… vi saremo soli.
Ben presto iniziarono le prove e l’opera, affidata alle voci di Marthe Duvivier (Salomè), di Blanche Deschamps (Hérodiade), di Vergnet (Jean), di Manoury (Hérode), di Gresse (Phanuel), di Fontaine (Vitellius) e alla bacchetta di Joseph Dupont, andò in scena il 19 dicembre 1881, ottenendo un successo strepitoso tanto che la regina Maria Enrichetta, tra il secondo e il terzo atto, si complimentò con il compositore il quale, due giorni dopo, fu nominato cavaliere dell’Ordine di Leopoldo. Arnold Mortier sul numero del 20 dicembre 1881 di «Le Figaro» ci ha lasciato un preciso resoconto della première di Hérodiade a Bruxelles:
“Questa première di Hérodiade è divenuta una vera solennità parigina, una manifestazione artistica in favore della giovane scuola francese che Massenet rappresenta così brillantemente. Non solo tutti i giornali di Parigi avevano inviato dei redattori a La Monnaie, ma alcune personalità di spicco del mondo delle prime parigine hanno tenuto a fare il viaggio. […] La graziosa sala di Bruxelles offre dunque un colpo d’occhio veramente interessante. Un notevole frammento della famosa «Tout Paris» si è trovata mescolata al fior fiore di «Tout Bruxelles». Ecco il signor Halanzier che apre a Massenet le porte della nostra Opéra, il generale di Galliffet, i signori Antonin Proust, Armand Gouzien, Saint-Saëns, Joncière, Duquesnel, l’editore Hartmann, l’amico devoto e l’uomo d’affari del compositore di Hérodiade; il redattore capo del Figaro; il signor Jouvin, il suo eminente critico musicale; i signori Albert Wolff, Bonnat, Toché, Serpette, barone di Beyens, Raphaël Bischoffsheim, Daniel Bernard, Burty, Édouard Thierry, Hecht, marchese di Falletans, Benjamin Godard, Clairin, Escalier, Henri Régnier, Lassalle, dell’Opéra, che adora la partitura di Massenet e spera bene di cantare un giorno il ruolo di Hérode; Gravière, il direttore del teatro di Ginevra, che sta per mettere in scena Hérodiade; la signorina Antonine, i signori Audran, Guiraud, Colonne, Alphonse Duvernoy, madame Viardot, i signori Philbert Joslé, Calmann-Lévy figlio, Édouard Noël, Stouling, Albert Vanloo, Napoléon Ney ecc.. Sono, del resto, venuti, giornalisti dall’Italia, dalla Germania, e da San Pietroburgo. […] Nei corridoi molto animati, gai, dove certe personalità parigine sono circondatissime, questo grido dal cuore ritorna del resto in tutte le conversazioni:
Com’è che l’Opéra di Parigi non ha messo in scena una tale opera?[…]
Nulla mancò al trionfo di Massenet. Bis, chiamate, acclamazioni di ogni sorta, lunghe ovazioni. Ecco il riassunto di questa magnifica serata che è stata una grande vittoria”
Anche Il critico di «Le Figaro» Jouvin dedicò due articoli ad Hérodiade, il primo dei quali, uscito lo stesso giorno della cronaca di Mortier, è costituito, come confessò lo stesso giornalista, da righe gettate in fretta sull’ultimo accordo di Hérodiade che possono esprimere solo le sensazioni che la critica prova e condivide con il pubblico; per la loro rapidità stessa si soffermano necessariamente sulla superficie dell’opera e non ne possono sfiorare le alte vette. Già in questo articolo si intuisce l’ottima impressione suscitata dall’opera nel critico che proseguì:
“Quest’opera disseminata di grandi bellezze, è stata accolta nel più importante teatro del Belgio come si doveva all’opera di un maestro. Le qualità di prim’ordine della partitura di Hérodiade ben constatate, non riuscirebbero a vietare alla Critica di prendere a sua volta la parola, ma per discuterne le tendenze. Cosa che farò domani”
Infine il critico Victor Wilder su «Le Ménestrel» (ann. 48, n. 4, 25 dicembre 1881, pp. 27-28) così si espresse:
“Quanto alla partitura del signor Massenet, è sicuramente degna dell’autore della Marie-Magdelaine e del Roi de Lahore. Il giovane maestro è ora al-l’apogeo del suo talento, e in relazione all’abilità di mano, possiede i profondi segreti del mestiere, quelli che la musa non rivela che ai soli iniziati. Qualunque sia l’effetto che egli sogna, lo raggiunge con una precisione che fa meravigliare l’ascoltatore. Tutto ciò che l’arte può dare, tutto ciò che la musica può rendere: la grazia e la forza, il fascino e il potere, lo tiene in mano per disporne a sua volontà, non, è vero, con la stessa felicità, ma sempre con una simile sicurezza. Si è parlato delle tendenze del signor Massenet, lasciando pensare che questo prudente si era avventurato nelle foreste vergini, dove Richard Wagner prova audacemente di aprire la strada dell’arte dell’avvenire. È troppo dirlo! Che il signor Massenet abbia subito, come tutti i musicisti della sua generazione, l’influenza del profeta di Bayreuth, non sapremmo contestarlo. Ma se il giovane maestro francese si è talvolta appropriato felicemente dei procedimenti tecnici dell’autore del Lohengrin, è lontano dal professare la stessa religione. C’è nell’Hérodiade una preoccupazione visibile di rinnovare le forme consacrate dell’opera, o di ringiovanirle piuttosto, senza arrivare tuttavia a romperle. Vi è una transazione tra l’antico e il nuovo testamento, come quella che Verdi ha tentato con Aida sul terreno italiano. Questa fusione si è operata con una felicità eccezionale nella gran parte del primo quadro, dove del resto l’originalità del signor Massenet si manifesta con più splendore e, così nella scena del tempo israelita, con le sue incantevoli danze ieratiche e la sua melodica liturgia ebraica, un magnifico pendant alla scena del tempio egiziano del capolavoro di Verdi. Se volessi entrare nei dettagli della partitura, avrei ben altre pagine da segnalare, poiché non c’è un quadro in cui non vi si possano rilevare dei pezzi di valore […] In somma, e per concludere: un’opera di alto livello. Non essendo destinata alla scena dell’Opéra, Hérodiade non potrebbe inquadrarvisi senza sforzo; non sarebbe meno spiacevole di privare il pubblico parigino di una partitura di questo valore, che meriterebbe un posto d’onore sulla scena del Théâtre-Lyrique, il giorno in cui si avrà il generoso pensiero di restituircela”
Il desiderio del critico di «Le Ménestrel» non fu subito esaudito e l’Opéra, dove, come notato anche da Schneider, avrebbe certo dovuto da molto tempo aver posto, aprì le sue porte ad Hérodiade soltanto nel 1921, nove anni dopo la morte del suo autore. Dalla sua première l’opera, tuttavia, fu ripresa spesso in Belgio tanto da superare la centesima replica in trent’anni e fu rappresentata per 50 serate consecutive a Lione dove la scomunica dell’arcivescovo della città sortì l’effetto di pubblicizzarla. Soltanto nel 1884 Hérodiade giunse a Parigi dove fu rappresentata, tradotta in italiano, al Théâtre Italien, ma con scarsi risultati e infine nel 1921, dopo aver mietuto successi non solo in varie città francesi, ma anche a Londra e a Leningrado, Rouché, direttore dell’Opéra di Parigi, decise di portarla sulla scena del prestigioso teatro dove Hérodiade raggiunse velocemente la centesima ripresa rimanendo spesso in cartellone.
L’azione si svolge nella Giudea governata dal tetrarca Erode Antipa, innamorato da tempo della bellissima danzatrice Salomè la quale, a sua volta, ama in modo mistico il profeta Jean che va annunciando il prossimo arrivo del Messia venuto a rigenerare la terra. Il profeta Jean, censurando continuamente la viziosa Hérodiade che ha un rapporto incestuoso con Hérode, suscita il terribile odio della donna che, per vendicarsi, promette al proconsole romano Vitellius, mandato da Roma per calmare le velleità di rivolta del tetrarca, di far condannare a morte il profeta, unico impostore. Inoltre Hérodiade chiede al mago Phanuel in che modo castigare Salomè, oggetto del desiderio sfrenato del vecchio marito, e il mago le rivela che Salomè è sua figlia abbandonata e creduta morta. Intanto Hérode ha fatto imprigionare Jean ordinandone l’esecuzione e Salomè, venuta al palazzo per implorare la salvezza del profeta, scopre che Jean è stato ucciso. Folle di disperazione, allora, si scaglia contro Hérodiade, la vera colpevole, ma, quando apprende che è sua madre, si uccide con un pugnale, evocando, mentre muore, l’unione eterna della sua anima con quella del profeta in un mondo migliore.
Anche di Hérodiade esistono diverse versioni delle quali le due più importanti sono certamente la prima, rappresentata a La Monnaie, e quella italiana, approntata dal compositore per la prima rappresentazione alla Scala di Milano il 23 febbraio 1882. Per la Scala Massenet aveva apportato alcune importanti modifiche che avevano reso l’opera più vicina allo stile italiano e, inoltre, meno “immorale” riducendo gli elementi sensuali in essa contenuti e ampliando il ruolo di Phanuel.
L’opera si apre con una breve introduzione sinfonica (Andante moderato), definita da Jouvin nel primo dei suoi articoli per «Le Figaro» di bel carattere e preziosa nelle scelte dei colori orchestrali. Molto belli sono gli eterei accordi dei legni sostenuti dai violini e accompagnati da altrettanto eterei e affascinanti arpeggi dell’arpa. Dopo un assolo del violoncello, che si produce quasi in una breve cadenza solistica, i violini primi intonano una melodia soave (Es. 1) sulla quale è costruito il preludio caratterizzato anche da momenti appassionanti.
Questo breve preludio introduce perfettamente l’opera caratterizzata da una scrittura raffinatissima sia a livello orchestrale che armonico, di cui un primo significativo esempio è costituito dall’aria di Salomè, Il est doux, il est bon, nella quale la donna dichiara il suo amore per Jean su un iniziale accordo di dominante di mi bemolle maggiore di grande sensualità. Non meno sensuale è l’aria Elle a fui le palais! di Hérode, in cui il Tetrarca esprime il suo amore per Salomè. Una delle vette più alte dell’atto è certamente l’appassionato duetto tra Salomè e Jean, Ce que je veux, ô Jean, dalla raffinatissima scrittura cameristica, che anticipa le opere mature di Massenet, con il violino solista (Es. 2) raddoppiato due ottave sotto dal violoncello solista che esegue un’incantevole melodia di grande fascino.
Un’atmosfera sensuale, alla quale non è estranea la temperie fin siècle di matrice baudelairiana, pervade il primo tableau dell’atto secondo che introduce il pubblico nella Chambre d’Hérode; qui il tetrarca, circondato da schiave nubiane, non riesce a trovar pace, in quanto tormentato dall’amore per Salomè che vede soltanto nelle sue fantasie indotte dal vino drogato ed espresse da languidi cromatismi in un’orchestrazione estremamente raffinata nella quale emerge il sensuale timbro del corno inglese e del saxofono contralto (Es. 3).
La sensualità di questa scena trova il suo culmine nell’aria di Hérode Visioni fugitive, mentre nella scena grand-opéra, in cui viene rappresentata la piazza di Gerusalemme, non manca la vena lirica di Massenet nell’Hosannah costruito sul tema pieno di pathos del preludio. Il terzo atto si apre con un tableau aggiunto per la prima rappresentazione dell’opera a Parigi. Protagonista è Phanuel che interroga gli astri e subito dopo si produce in un duetto con Hérodiade. È questo un tableau del tutto convenzionale soprattutto se lo si confronta con quello successivo, la grande scena del Tempio di Gerusalemme, un autentico caleidoscopio di timbri e sonorità orchestrali e di situazioni musicali con la salmodia dei sacerdoti, la marcia sacra, il canto ebraico Schemah Israël. Dopo un breve intermezzo, il sipario si apre per l’ul-timo atto sulla scena della prigione nella quale si trova il profeta Jean che prima canta Ne pouvant réprimer les ardeurs de la foi e poi dà vita, insieme a Salomè, a un duetto (Quand nos jours s’éteindront) nel quale i due personaggi rievocano il passato confessandosi un amore che si sarebbe realizzato solamente nella morte. Di forte malinconia è l’Andantino, Ami, la mort n’est pas cruelle. Rispetto al resto dell’opera l’ultimo tableau, per quanto spettacolare soprattutto nella Danse finale dal ritmo selvaggio, è sicuramente inferiore e rivela più un certo mestiere che le caratteristiche tipiche del linguaggio del maestro francese.
La presente guida all’ascolto è tratta dal libro di Riccardo Viagrande, “Jules Massenet. Les tribulations d’un auteur”, Casa Musicale Eco, Monza, 2012, pp. 54-60. Si ringrazia l’editore per aver concesso la pubblicazione di questo estratto.