Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’opera e di balletto 2020-2021
“… A RIVEDER LE STELLE”. Serata inaugurale nel giorno di Sant’Ambrogio
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Direttore dei numeri di balletto Michele Gamba
Maestro del Coro Bruno Casoni
Interpreti vocali Ildar Abdrazakov, Roberto Alagna, Carlos Álvarez, Piotr Beczala, Benjamin Bernheim, Eleonora Buratto, Marianne Crebassa, Plácido Domingo, Rosa Feola, Juan Diego Flórez, Elīna Garanča, Vittorio Grigolo, Aleksandra Kurzak, Francesco Meli, Camilla Nylund, Kristine Opolais, Lisette Oropesa, Mirco Palazzi, George Petean, Marina Rebeka, Luca Salsi, Andreas Schager, Ludovic Tézier, Sonya Yoncheva
Danzatori Roberto Bolle, Nicoletta Manni, Martina Arduino, Virna Toppi, Timofej Andrijashenko, Claudio Coviello, Marco Agostino, Nicola Del Freo
Coreografie Manuel Legris, Rudolf Nureyev, Massimiliano Volpini
Regia Davide Livermore
Scene Davide Livermore, Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Marco Filibeck
Musiche di Georges Bizet, Pëtr Il’ič Čajkovskij, Davide Boosta Dileo, Gaetano Donizetti, Jules Massenet, Giacomo Puccini, Gioachino Rossini, Erik Satie, Giuseppe Verdi.
Milano, 7 dicembre 2020
Nelle grandi tradizioni la soluzione della continuità è temuta come il segno dello scacco o della rinuncia. Per questo, l’inaugurazione della stagione 2020-2021 del Teatro alla Scala sarà ricordata come il Sant’Ambrogio del concerto (o della pandemia), anziché dell’opera, secondo la tradizione che si manteneva attiva dal 1951. Ma adesso è più urgente pensare ad altro, come ai tanti professionisti del teatro colpiti dalla malattia, nell’orchestra, nel coro e nel resto del personale; il pensiero corre a tutti loro mentre si ascolta la voce registrata di Mirella Freni nella sigla iniziale, un’Adriana Lecouvreur accompagnata da magnifiche – e al tempo stesso malinconiche – vedute aeree notturne di Milano. Poi inizia lo spettacolo, con le esecuzioni musicali in diretta alternate da letture molto svariate, dipanate secondo un accurato montaggio e proposte da attori come Massimo Popolizio, Laura Marinoni, Giancarlo Judica Cordiglia e Caterina Murino. Così, le arie di Verdi, Donizetti e Puccini si intervallano con pagine di Pavese, Montale, Gramsci e addirittura il Badoaro del Ritorno di Ulisse in patria, letti in ogni angolo del teatro, dai palchi al ridotto ai corridoi del Museo Teatrale. Attori e cantanti appaiono abbigliati grazie a un accordo tra il Teatro alla Scala e la Camera della Moda, con la cooperazione di alcuni importanti stilisti italiani, coordinati dal costumista Gianluca Falaschi. La regia complessiva è di Davide Livermore, ormai un habitué del Sant’Ambrogio scaligero, ora autore di un’intelligente (ed equilibrata) successione di ambienti, scene ed atmosfere per le arie solistiche. Livermore non ha cercato un contesto unico in cui inserire forzosamente tutte le scene d’opera, ma ha offerto come un saggio di regia per una futura rappresentazione completa di tante opere diverse, un juke boxe registico, si vorrebbe dire: ecco dunque i vari personaggi del Don Carlo cantare presso un treno della belle epoque in un paesaggio innevato, tra soldati e filo spinato. Non si saprebbe dire se fosse più grande Ildar Abdrazakov come Filippo II, Ludovic Tézier come Marchese di Posa o Elīna Garanča come Principessa d’Eboli; dall’ascolto in streaming tutti e tre risultano magnifici. Oppure, ecco un frammento di Don Pasquale situato all’ingresso di Cinecittà, tra truccatrici e centurioni romani, per rimarcare quell’intercambio ormai divenuto costante tra teatro musicale e cinema (che è un ambito di riflessione prediletto dallo stesso Livermore); dal furgoncino di Zampanò esce un emigrante con valigia di cartone, ed è Nemorino con la voce di Juan Diego Flórez … oppure ancora, ecco i tre protagonisti di Un ballo maschera che cantano su uno specchio d’acqua, attorniati da uccelli neri appollaiati sui fili della luce (Hitchcock) o intrappolati in cupe gallerie sotterranee; sul velluto strumentale dell’Orchestra della Scala sono stupendi Eleonora Buratto, George Petean e soprattutto Francesco Meli. Videoproiezioni ed effetti tridimensionali fanno spesso capolino, come le piume in sospensione mentre Vittorio Grigolo canta la canzone del Duca dal Rigoletto. Sono ben 30 i brani musicali del programma, idealmente distribuiti lungo un percorso che procede dagli inferi del preludio del Rigoletto e si innalzano verso l’incanto della liberazione nel finale del Guglielmo Tell, appunto alla ricerca della luce e della libertà dopo tanta sofferenza. Oltre all’opera è ben rappresentato il mondo del balletto, con tre intermezzi, uno čajkovskijano, uno verdiano e un terzo postmoderno. La qualità musicale è sempre pregevole, soprattutto grazie alla concertazione di Riccardo Chailly e alla sua straordinaria conoscenza del repertorio. Il Coro del Teatro alla Scala canta dai palchi, mentre i professori d’orchestra mantengono la distanza di sicurezza occupando quasi tutta la platea. È un Sant’Ambrogio anomalo, certamente, ma l’immenso sforzo profuso dal teatro non fa rimpiangere l’allestimento di un’opera e neppure fa pensare a un’alternativa minore in forma di ripiego; è sufficiente scorrere l’elenco degli artisti coinvolti per rendersi conto di un progetto internazionale davvero unico, cui in Italia solo La Scala può ambire.Fondali floreali, piscine, maschere e giochi di luce accompagnano la successione dei cantanti, impegnati in una serata di quasi tre ore ininterrotte, dunque secondo i tempi e le dinamiche ma – quel che appare più straniante- senza alcun applauso del pubblico. Bravissimi Vittorio Grigolo, Lisette Oropesa, Luca Salsi e Benjamin Bernheim, nelle loro arie solistiche. Per quanto riguarda i numeri di balletto, ci dice la collaboratrice di «GBopera» Giselle Roiz Miranda: «A parte il virtuosismo di Roberto Bolle, declinato nell’interazione di luci e musica elettroniche, la coreografia più classica è quella dello Schiaccianoci, con Nicoletta Manni all’apice delle sue competenze tecniche: pulitissima, precisa, coerente ed elegante. Manuel Legris ha tolto una serie di movenze della tradizione russa per sostituirle con un’impostazione in stile Royal Ballet, alla ricerca di disegni puramente classici. Anche il quintetto impegnato nella suite verdiana dai Vespri Siciliani e dalla versione francese del Trovatore esegue benissimo una coreografia di straordinaria eleganza, improntata alla gioia, sublimando la musica di Verdi nell’espressività del balletto romantico». Sarebbe molto difficile indicare il momento musicalmente più bello della serata, giacché la maggior parte delle pagine musicali è stata magnificamente eseguita, nella cifra di una diffusa professionalità e sobrietà (si dice che siano delle tipiche caratteristiche italiane, specie nei momenti di drammatica difficoltà per il paese); in ogni caso, la voce di Flórez che intona «Una furtiva lacrima», attaccando in pianissimo, modulando e fraseggiando magistralmente ogni nuance del testo, se non è la perfezione del belcanto, deve essere qualcosa che le si avvicina molto … Prima del concertato finale del Guglielmo Tell, compare sul proscenio Davide Livermore, che con meravigliosa, leggera e impagabile saggezza non parla del proprio spettacolo, ma dell’importanza della cultura e dell’arte nei momenti più critici della storia nazionale; lo fa ricordando un’altra inaugurazione scaligera, quella dell’11 maggio 1946, quando Arturo Toscanini da Milano ridava alla nazione il suo respiro musicale più autentico, dopo gli anni della guerra, delle privazioni e della distruzione, accompagnando effettivamente tutta Italia, dantescamente – proprio come oggi – “a riveder le stelle”. Foto Brescia & Amisano © Teatro alla Scala