Opera in tre atti su libretto di Ferdinand Lion. Prima rappresentazione: Dresda, Staatsoper, 9 novembre 1926.
La produzione operistica di Paul Hindemith abbraccia l’intero arco della sua vita creativa, da quando a ventisei anni, scrisse in pieno clima espressionistico le 3 opere in un atto fino “A long Christmas Dinner”, ispirato all’omonima commedia dell’americano Thortnton Wilder. Si tratta di tredici lavori fra opere balletti, in ciascuno dei quali si rispecchiano le diverse fasi del modus operandi del musicista tedesco, sempre fedele alla sua poetica e assertore della funzione fondamentale della tonalità, come evidenziano le pagine strumentali che gli dettero fama subito dopo la prima guerra mondiale.
Dal centro di questa produzione, Cardillac emerge sulle altre opere, pur appartenendo al periodo “sperimentale” dell’autore: quello in cui non ancora liberato dal influenza romantica, va chiarendo un nuovo linguaggio definito, non del tutto propriamente, “neoclassico”. Dal contrasto originale fra il tono della vicenda, ispirata alla novella “Fräulein von Scudéri”, di E.T.A.Hoffmann, cui librettista ha dato risvolti e colori espressionistici, e la fantasia musicale neobarocca di Hindemith, prendono vita momenti drammatici che non si ritroveranno con altrettanta forza, nelle opere successive, indubbiamente più coerenti sul piano dello stile.
La nuova concezione della musica come forza morale elevatrice dello Spirito, ripetutamente teorizzata negli scritti pubblicati durante il lungo soggiorno negli Stati Uniti, lo spinse, oltre che a cimentarsi con una nuova materia poeticamente inerte come quella esposta in Die Harmonie der Welt (1957), a dare a Cardillac, nel 1952, una seconda versione notevolmente modificata, che però non troverà il favore del pubblico.
Nello stesso periodo in cui Hindemith dava vita al Cardillac; Ferruccio Busoni nella sua introduzione al Doktor Faust esponeva la sua concezione operistica, che, opponendosi decisamente a quella wagneriana, si riallaccia al melodramma costituito di numeri, di scene staccate; ed è interessante notare a questo proposito che l’opera busoniana è presentata al pubblico lo stesso anno (1925) in cui il Wozzeck di Alban Berg va in scena a Berlino, a un anno di distanza dalla prima dell’opera di Hindemith: tre creazioni singolarmente orientative nell’iter dell’opera in musica del ventesimo secolo.
Il problema dei rapporti fra l’artista e l’uomo, immerso e condizionato dalla società ostile o indifferente agli scopi che con maggiore o minore consapevolezza egli assegna alla sua attività di creatore, è al centro del pensiero di Hindemith: i protagonisti delle sue opere più impegnate, l’orafo René Cardillac, il pittore Mathias Grüunewald, e l’astronomo-astrologo Keplero (anch’esso poeta), sono fatti della stessa sostanza, anche se ai tempi e gli ambienti diversi provocano reazioni e soluzioni diverse. Se la coscienza del suo genio fa di Cardillac un superuomo che giunge fino al delitto, e anzi lo giustifica, non mancano in lui tratti di profonda umanità che si rivelano nei rapporti con la figlia e, in modo decisivo, nella grande scena della pubblica confessione delle sue colpe e dell’esaltazione della sua missione, nonché nel finale in cui il dramma trova la sua catarsi.
Dopo l’angoscia che ha grava su tutti i tre atti si apre uno squarcio di azzurro, e mentre le sonorità si attenuano nell’ampio accordo di mi bemolle, si crea un clima estatico di glorificazione e di pietà cristiana pietà in cui risuona il commento della folla: “Morì un eroe! Accolga la terra il suo corpo”. Nella citata scena della confessione, il musicista ha dato un saggio, che si può definire prestigioso della sua arte compositiva – che gli però preferiva chiamare bravura artigianale – , svolgendola tutta nelle ventidue variazioni di una monumentale passacaglia, come in precedenza si era servito di altre forme strumentali e vocali (fughe, canoni, arie, duetti, ecc.) per creare l’atmosfera di alcuni episodi. È chiaro che l’indipendenza (che in alcuni momenti dell’azione giunge fino al distacco completo) del discorso orchestrale dalla sostanza passionale, non giova alla partecipazione del pubblico, anzi contribuisce a disorientarlo, provocando zone di freddezza, evidenti soprattutto nelle scene più raccolte di “interni”, a due o tre personaggi.
In compenso, negli “esterni” di folla il parallelismo delle due linee crea un movimento che aderisce all’essenza della situazione, come, ad esempio nella scena iniziale dell’opera, in cui alla sciolta concitazione della polifonia corale si aggiunge quella delle parti strumentali, e le invettive della folla contro l’omicida sconosciuto si susseguono, si accavallano secondo un diagramma ritmico e dinamico che fa pensare a scene analoghe di folla delle Passioni di Bach o, più genericamente, nei grandi oratori barocchi.