Opera in quattro atti e otto quadri su libretto di Auguste-Philippe D’Ennery, Louis Gallet e Edouard Blau, dalla tragedia omonima di Pierre Corneille. Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-Comique, 30 novembre 1885
“Secondo la mia abitudine, non avevo atteso che Manon avesse un esito per tormentare il mio editore Hartmann e svegliare il suo spirito al fine di trovarmi un nuovo soggetto. Avevo appena terminato le mie lagnanze, che egli aveva ascoltato in silenzio, con il sorriso sulle labbra, che andò verso il suo tavolo e tirò fuori cinque quaderni di un manoscritto riprodotto su una carta di colore giallo, detta pelure, bene conosciuta dai copisti. Era il Cid, opera in cinque atti di Louis Gallet ed Édouard Blau” (J. Massenet, Mes souvenirs, 108).
Il libretto, che Hartmann gli aveva consegnato, era stato scritto nel 1873 per Bizet il quale, pur essendo impegnato nella composizione di Carmen, vi aveva lavorato intensamente completando la prima stesura della musica alla fine dell’anno. Si facevano già i progetti per una sua rappresentazione all’Opéra, ma l’incendio del teatro e lo spostamento delle rappresentazioni alla Salle Ventadour misero fine alle speranze di Bizet, in quanto alla sua opera fu preferito L’esclave di Mambrée. Le Cid finì allora nel cassetto di un deluso e amareggiato Bizet da dove uscì solo molti anni dopo quando Hartmann chiese a M.me Bizet l’autorizzazione di affidare il libretto a Massenet. Si presentava per il compositore francese un lavoro irto di ostacoli, in quanto era difficile mettere in musica i versi di Corneille già definitivi, sufficienti a se stessi e tali da poter essere soltanto accompagnati dalla musica, a differenza dei versi lirici che per la loro vaghezza hanno bisogno proprio della musica. Massenet era conscio di questa difficoltà, ma, attratto dalla bellezza dell’azione e dai personaggi, non aveva saputo resistere al desiderio di esprimere con la sua musica le emozioni profonde che trasmetteva il capolavoro di Corneille. Egli aggirò l’ostacolo con grande abilità adattando, per quanto possibile, la musica ai versi del drammaturgo francese e ispirandosi al carattere dei personaggi, ma vi fece anche apportare molte modifiche con tagli o aggiunte. Soppresse, per esempio, la scena del mendicante, molto cara a Bizet, e fece aggiungere due nuovi episodi. Lavorando all’opera Massenet si era ricordato di aver letto qualche tempo prima un libretto di D’Ennery nel cui testo, al quinto atto, aveva trovato un episodio molto commovente; chiese allora al poeta di utilizzare questa scena come secondo quadro del secondo atto, precisamente la scena in cui Chiméne scopre che Don Rodrigo ha ucciso suo padre. Così il nome di D’Ennery si aggiunse a quello di Gallet e di Blau. Infine per il secondo quadro del terzo atto, in cui è descritta l’apparizione di San Giacomo de Compostela al Cid piangente, Massenet s’ispirò ad un episodio del Romancero di Guillén de Castro relativo all’apparizione di Gesù a San Giuliano Ospitaliere, episodio presente in alcuni frammenti pubblicati da José Maria de Héredia sulla «Revue des Deux Mondes» tradotti per la prima volta in francese.
Appena l’opera fu pronta, si passò alla scelta del cast di cui fecero parte Fidés Devriés (Chiméne), Rosa Bosman (Infante), Jean De Reszké (Rodrigue), Alexander Girardi (Don Arias), Léon Melchissédec (roi), Paul-Henry “Pol” Plançon (comte Gormas) e Édouard De Reszké (Don Diègue), le ballerine Rosita Mauri, Mélanie Hirsch, Keller e il ballerino Louis Mérante. Infine il 30 novembre 1885 Le Cid andò in scena all’Opéra, mentre all’Opéra-Comique si dava Manon che aveva superato l’ottantesima replica. La serata fu un trionfo, come si evince dalle recensioni favorevoli apparse il giorno dopo su vari giornali, anche se la critica non mancò di manifestare qualche perplessità. Auguste Vitu scrisse su «Le Figaro» il primo dicembre 1885:
“Ora Le Cid del signor Massenet ha recentemente riportato un successo eclatante. Da ciò, una conclusione che s’impone: è che il signor Massenet ha voluto, questa volta, farsi interamente comprendere e che ci è riuscito. Non è che la sua nuova partitura non racchiuda una porzione ancora eccessiva della declamazione pura. Ma essa vi è giustificata o più spesso ordinata dalla natura stessa del soggetto e dalla struttura del poema. Non si saprebbe biasimare il signor Massenet per aver conservato l’accento del recitativo di certi versi del grande Corneille, che gli sia stato malagevole cantare in cavatine o in movimenti di valzer […]. Il signor Massenet si è proposto, al contrario, non solamente di far declamare i suoi personaggi, secondo la verità così come prescriveva Gluck e così come egli la esprimeva, ma ancora di spingere questa verità nel senso della dizione tragica pura, che si deve allontanare in certi casi dalla dizione musicale. Vi è sempre riuscito, o almeno ha sempre ottenuto gli effetti voluti e a lungo calcolati? Ciò, non oserei affermarlo senza riserva. Ma l’intenzione era alta, l’ambizione non volgare, e queste fanno onore al signor Massenet […]. Vista d’insieme la partitura del Cid si staglia sugli orizzonti della scuola contemporanea come una cima imponente e colorata di fuochi – quelli dell’aurora o del tramonto? Non lo stabilisco io. Si giudicava a buon diritto il signor Massenet, dapprima come un maestro nell’arte di scrivere, poi come un elegiaco e soprattutto un colorista descrittivo. Egli ha rivelato questa sera un temperamento drammatico, che fino ad oggi aveva sonnecchiato sotto il torpore voluttuoso delle carezze sinfoniche. Le Cid non racchiude una pittura orchestrale che si possa comparare al paradiso d’Indra del Roi de Lahore, ma, in compenso, il lamento di Chimène, il duetto d’amore, l’aria di Rodrigo, così formalmente puri come pensati da Gluck o da Mozart, sono pagine ammirevoli che assicurano nello stesso tempo la gloria a un’opera, a un nome e a una scuola”:
Anche il critico Fourcaud non mancò di manifestare qualche perplessità nella sua recensione su «Le Gaulois» del primo dicembre, scrivendo:
“A che tende Massenet? Non vede che cozza al tempo stesso con gli inconvenienti dell’Opéra e del dramma lirico, senza aver il beneficio dell’una e dell’altra forma? Noi non lo prendiamo troppo in alto per lasciarlo diventare imprudentemente il giovane capo della vecchia scuola”
Nettamente diverso fu il giudizio del critico musicale e compositore francese Ernest Reyer che concluse la sua recensione pubblicata su «Le Journal des Débats Politiques e Littéraires» con un invito:
“Andate ad ascoltare quest’orchestra impeccabile che un direttore valido dirige; questi cori, falange armoniosa e così meravigliosamente disciplinata; andate a deliziare le vostre orecchie con melodie ispirate di un giovane maestro la cui aureola di gloria, in ogni opera nuova, scintilla di uno splendore nuovo; andate e applaudite. Ho detto”.
L’azione si svolge in Spagna nell’XI sec. durante la guerra contro i Mori e in tale occasione il re ha nominato cavaliere Rodrigue de Bivar, detto Le Cid, e suo padre Don Diégue, tutore dell’erede al trono. Il conte di Gormas, futuro suocero di Rodrigue, deluso per non essere stato scelto dal re, offende pubblicamente Don Diégue. Il sipario si alza proprio sulla casa del conte di Gormas a Burgos dove gli amici si congratulano con il conte per la nomina a cavaliere del suo futuro genero, promesso sposo di Chimène. Se la nomina a cavaliere del Cid inorgoglisce don Gormas, viceversa quella di don Diégue non è gradita al conte che affronta que-st’ultimo incapace di difendersi. Alla domanda del vecchio Rodrigue – as tu du coeur? il cavaliere non può sottrarsi alla vendetta per l’affronto subito dal padre e, nonostante il suo amore per Chimène, provoca il conte che lo sfida a duello rimanendone ucciso. Poco dopo Chimène apprende il nome dell’uccisore del padre e si reca nella piazza di Burgos, dove il re e l’Infanta stanno assistendo a danze e festeggiamenti, per chiedere giustizia contro Rodrigue. Don Diégue allora chiede che Rodrigue sia il sostituto di Don Gormas alla guida delle truppe spagnole in guerra contro i Saraceni comandati dal re Boabdil. Alla vigilia della battaglia decisiva Don Rodrigue invoca la protezione di Saint-Jacques de Compostella e il santo gli appare promettendogli la vittoria. Con questa protezione Rodrigue vince la battaglia e nel palazzo dell’Alhambra si celebra il suo trionfo mentre Chimène, che vorrebbe ancora giustizia per il padre, si fa vincere dall’amore e perdona il suo eroe.
Pur essendo stata composta pochi mesi dopo Manon, Le Cid appare come un’opera totalmente diversa scritta su un libretto non certo facile nel quale i librettisti, dovendo tener conto delle esigenze spettacolari dell’Opéra, hanno dovuto sacrificare l’elemento psicologico; questa scelta penalizza in particolar modo il personaggio di Chimène, che tanta importanza rivestiva nella tragedia di Corneille i cui versi, ora mantenuti inalterati dai librettisti ora rimaneggiati, non si prestavano ad un’agevole trasposizione musicale.
L’opera si apre con un’ouverture, esaltata all’unanimità dalla critica sin dalla prima rappresentazione, che purtroppo non si è affermata nel repertorio sinfonico; dopo un breve Adagio introduttivo, l’ouverture strutturalmente è una sintesi tra la forma-sonata e quella a pot-pourri, dal momento che vengono utilizzati alcuni dei temi dell’opera. Al primo tema in do minore, che ritorna all’inizio del secondo atto per sottolineare il duello e la morte del conte di Gormas, si contrappone il secondo al relativo maggiore, costituito da una splendida frase in mi bemolle, anch’essa tratta dalla stessa scena. Tra i temi dell’ouverture si segnala quello degli amori di Chimène e Rodrigue, una melodia esposta in re bemolle maggiore che costituisce un vero e proprio Leitmotiv in quanto ritorna spesso nell’opera.
Punto culminante del primo quadro del primo atto è il duetto tra Chimène e l’Infanta, definito giustamente da Pougin, sempre nella sua recensione, un pezzo di una forma piena di eleganza e di abbandono, e nel quale le due voci femminili si fondono in una sonorità tenera, dolce e armoniosa. Molto diversa è la concezione musicale del successivo spettacolare Tableau, ambientato davanti alla cattedrale di Burgos con le campane che si mescolano perfettamente con l’orchestra, con il suono del grande organo della cattedrale e con le masse corali che accompagnano l’ingresso di Rodrigo il cui giuramento costituisce la parte centrale della scena, mentre estremamente drammatico appare lo scontro tra il Conte de Gormas e Don Diègue. Dopo un breve preludio, basato sul tema in do minore già esposto nel-l’ouverture, il secondo atto si apre con le celebri e malinconiche stances del Cid, Percé jusqu’au fond du coeur, mentre echi dell’ouverture appaiono nella scena della disfida con il Conte e del successivo duello, durante il quale quest’ul-timo viene ucciso. La successiva scena della disperazione di Chimène per la morte del padre fu, alla prima rappresentazione, una delle più applaudite per merito dell’interprete, il soprano Fidés Devriés, come testimoniò Pougin[8]. Momento centrale del quadro successivo, tipico per la sua concezione musicale del genere del Grand-Opéra, sono le danze affermatesi indipendentemente dall’opera anche nel repertorio sinfonico. È una splendida suite di 7 danze spagnole aperta da una raffinata Castillane, alla quale seguono una malinconica Andalouse con il suo lirico tema, una brillante Aragonaise costituita su un tema travolgente che sfocia nella successiva Aubade, una raffinata marcia e una brillante Catalane. Molto raffinata, per quanto attiene all’orchestrazione, è la successiva Madrilène con il flauto che risponde al corno inglese nella parte introduttiva. Una sfrenata Navarraise conclude la suite, le cui ultime tre danze suscitarono l’ironico commento di Pougin che scrisse: Quanto agli ultimi tre ballabili, ne farei volentieri a meno e non vedrei nessun inconveniente alla loro soppressione. La Navarraise prepara l’ingresso di Chimène che intona Lorsque j’irai dans l’ombre chiedendo giustizia. Alla donna risponde Don Diègue che difende il figlio, mentre il finale del secondo atto appare piuttosto convenzionale. La vena lirica di Massenet trova maggiore spazio nel terzo atto, aperto da una famosa air des larmes, Pleurez mes yeux, il cui tema è presentato all’inizio dal clarinetto contralto.
Il momento culminante del tableau è costituito dal successivo duetto tra Chimène e Rodrigue, divisibile in tre parti, come notato sempre da Pougin, il quale alla fine ha aggiunto un commento del tutto condivisibile:
“Tutta questa scena è per me di una bellezza suprema, e la trovo assolutamente stupenda. Potrei solo compatire coloro che non sarebbero toccati da accenti così drammatici e così veri, così pieni di tenerezza, di passione e di malinconia”
Negli altri tre quadri dell’atto si assiste ad un precipitare degli eventi tra i quali spicca l’apparizione di Saint-Jacques de Compostella il cui carattere celestiale è ben rappresentato da arpe e da un coro a bocca chiusa. Di livello inferiore è, senza dubbio, l’ultimo atto il cui libretto celebrativo e magniloquente non fu certo di aiuto alla musa prevalentemente lirica di Massenet.