Dame Joan Sutherland (Sydney, 7 novembre 1926 – Les Avants, 10 ottobre 2010)
Ha cantato il suo primo duetto per le vie di Sydney con un gelataio. Joan Sutherland era allora una bambina di cinque anni e non immaginava certo che sarebbe diventata un giorno la “primadonna” del Covent Garden di Londra. Dietro compenso di un cono al cioccolato intonava con l’allegro gelataio le arie che sentiva a casa dalla madre, Muriel Alston, mezzosoprano dilettante: una donna che era stata così “matta”, dicevano gli amici di famiglia, da trascurare non solo la proprio bellissima voce, ma anche di sposare l’emigrato scozzese William Sutherland, un sarto vedovo, molto più anziano di lei e con quattro figli sulle spalle. Pur continuando a cucire vestiti per avvocati e medici, William Sutherland se la passava male e aveva dovuto ipotecare ben due volte la casa. Medici e avvocati, Infatti, date le critiche condizioni politico-economiche dell’Australia d’allora non potevano quasi mai regolare i conti perché a loro volta avevano clienti e pazienti che non pagavano.
Joan, nata il 7 novembre 1926 e, non poteva accorgersi di quella paurose difficoltà finanziarie. Era sempre contenta, non piangeva mai e aspettava con ansia la domenica quando il padre l’accompagnava nella chiesa presbiteriana a pregare e a cantare i corali. A casa pretendeva a tutte le ore che la madre le insegnasse i vocalizzi. Davanti allo specchio la imitava anche nei sospiri e nella mimica. La sua vocina si rivelò presto graziosissima, tanto che un dirigente di Radio Sydney la invitò due volte a partecipare alle trasmissioni. Ma la madre non tollerava quelle esibizioni che considerava nocive, e la mandò invece alle lezioni di una professoressa di pianoforte. Poi venne per giovani il giorno più doloroso della vita, che coincide con quello del suo sesto compleanno. Ha avuto un regalo un costume da bagno verde e bianco, chiese al padre di portarla nuotare. Centoundici scalini separavano le loro case dalla loro casa dal mare. Al ritorno, William Sutherland si accascia sulla lunga scalinata. Era morto.
Le toccava la parte del lupo
Da quel momento a Joan piacquero solo le storie tristi. Nelle recite scolastiche avrebbe voluto fare la fata, ma la maestra non era d’accordo perché la bambina era troppo alta e robusta. Così le toccava fare il gigante o il lupo. Ciò le dispiaceva moltissimo, perché non trovava nulla di triste o di carino in quelle parti. Si sfogava a casa cantando i motivi del repertorio materno e ascoltando vecchi dischi di Caruso, della Melba e della Tetrazzini che una parente aveva portato dall’America. A 12 anni a un concerto alla Town Hall di Sidney, le venne per le prima volte il desiderio di salire le stessa su quel palco. Ma sopraggiunse la guerra e i sogni finirono nel cassetto, Nel 1942 anche Joan era tra le volontarie che lavavano le marmitte dell’esercito. Alla sera frequentava corsi di dattilografia e di taglio., voleva farsi da sola i vestiti: però nell’imbastire certe orribili gonne mostrava di non aver ereditato alcuna predisposizioni dal padre. Due anni dopo si impiegò presso il consiglio per le ricerche scientifiche e industriali dell’università di Sydney, dove mostro un’improvvisa quanto imprevista attitudine. Redigeva relazioni su radar e missili. Ma si stancò e decise di tornare alla musica, partecipò a una gara di canto che offriva al vincitore una borsa di studio biennale, si classifico prima su 40 concorrenti e cominciò a studiare sul serio.
Fu allora che la persuasero di avere una voce di soprano, non di contralto come lei aveva sempre creduto di possedere. Prese anche lezioni di francese di arte scenica, due discipline a lei ostiche. Il francese non riusciva proprio ad impararlo e nell’arte scenica era ostacolata dalla sua stessa corporatura. “Sembri un bue!”, le dicevano scherzando le amiche. Esordì a Sidney nel 1947 in una esecuzione in forma di concerto di Dido and Aeneas di Purcell. Tutti si meravigliavano che in poco più di tre anni la Sutherland aveva imparato quello che gli altri imparavano sì e no in dieci. Tutti le volevano un gran bene, perché di simpatico non solo avevo alla voce ma anche il carattere, buono e generoso. Si innamorò di Richard Bonynge, pianista e prestigioso maestro di canto, che contribuì molto alla formazione della Sutherland. All’inizio Bonynge la accompagnava al pianoforte e le insegnava i segreti del belcanto e delle coloratura. Più tardi la sposò. Ora lui stesso dirige le opere in cui canta la moglie. Per una carriera più sicura e brillante era necessario che la Sutherland lasciasse al più presto l’Australia. Non aveva però i soldi per il viaggio. Partecipò allora a tutti i concorsi di canto in cui si offriva del denaro e ne vinse numerosi. Madre e figlia giunsero a Londra nell’inverno del 1951 con una lettera di presentazione per il maestro Clive Carey del Royal College of Music. I primi mesi furono durissimi con il cibo razionato in una squallida pensione. Grazie al cielo la Sutherland fece subito parlare di sé. L’anno dopo esordiva nel Flauto Magico al Covent Garden: un successo memorabile, una rivelazione per i londinesi. La critica lodò l’emissione, l’agilità, l’intonazione perfetta della sua voce, adatta meravigliosamente a Mozart e in seguito anche Haendel e al melodramma romantico italiano. Le sue erano già allora qualità calore invidiabili. C’era nelle sue espressioni tutta la gamma di quelle maniere virtuosistiche care ai soprani leggeri dell’ultimo Ottocento che furoreggiava soprattutto in Inghilterra.
Straordinaria nella Sonnambula, nella Norma, nei Puritani e nella Lucia, ha trionfato con queste nei principali teatri del mondo. Clamoroso nel 1960 il debutto in Italia nella Alcina di Haendel alla Fenice di Venezia. Joan continua a cantare nonostante i pericoli che correvano le sue corde vocali, che una volta, secondo qualche voce, avevano rischiato addirittura di paralizzarsi. Per molto tempo, ogni 15 giorni, la cantante aveva sopportato le cure di uno specialista che la “tormentava”, con l’ago di una siringa nelle narici. Vennero altre difficoltà. Ci fu il pericolo che nessuno impresario la scritturasse in futuro se non si fosse decisa a farsi curare i denti. Il marito ed il sogno di apparire in televisione la costrinsero ad andare dal dentista, di cui aveva il terrore. Alle sedute portava con se i dischi della Callas ( le due cantanti si ammirano reciprocamente. Per le “prime” la Callas le manda telegrammi di ammirazione e di incoraggiamento con frasi come “Pregherò perché il successo sia meraviglioso”), in contrasto con il dentista, che per distrarre i pazienti sosteneva l’efficacia delle sinfonie di Tchaikovsky. Nonostante questi disturbi la salute della saterland resisteva egregiamente. Chi la conosce da vicino, assicura che la Sutherland non cantò mai così bene come al settimo mese di gravidanza, quando aspettava il suo Adam Carl (nato il 13 febbraio del 1956). Allora fu na una splendida Micaela nella Carmen. Due settimane dopo il parto la Sutherland era di nuovo sulle scene. Nelle poche ore libere i suoi “hobbies” sono la collezione di prime edizioni di partiture autografe dell’Ottocento e di litografie di cantanti famosi di quell’epoca. La sua casa di Londra è la sua villa in Svizzera hanno le pareti ricoperte di Giuditta Pasta e di Adelina Patti e della Malibran. In un salone tiene il suo pezzo d’antiquariato preferito un pianoforte del Settecento dotato di campanelli e tamburelli vari per la musica cosidetta, “alla turca”.
L’incontro con Fellini
La Sutherland è una donna robusta instancabile. Alta e con lunghi capelli rossi che le scendono sulle spalle, per strada non passa certo inosservata. A Roma nel 1962 due scesero persino dall’automobile, la fermarono e le chiesero se era disposta a partecipare a un film di Fellini. La convinsero a seguirli fin dal regista che appena la vide esultò. Era proprio lei il tipo di donna che stava cercando per “La Dolce vita”. Fellini si era immediatamente reso conto di trovarsi davanti ad un artista di teatro, ma non la conosceva affatto come cantante lirica. “La pagherò molto bene”, aggiunse, “e dovrà lavorare soltanto una decina di giorni”. La Sutherland non promise nulla e gli assicurò una risposta per telefono il giorno dopo. Per sua fortuna la cantante incontrò la sera stessa Zeffirelli, con il quale ha realizzato in tutto il mondo spettacoli memorabili. “Dio mio, no!” esplose Zeffirelli “Fellini nei suoi film ti vuole come come prostituta. Non è una parte per te!”. In teatro la Sutherland ha un atteggiamento interpretativo all’opposto di quello appassionato è tragico della Callas. Riesce meglio nella delicatezza e nella gioia di certe arie belliniane che nel “pathos” verdiano.
Ma non è altrettanto dolce e tenera con qualche direttore d’orchestra. È successo nel 1961 alla Scala quando avrebbe dovuto cantare la Beatrice di Tenda sotto la direzione di Vittorio Gui. Questi, nella sua versione, voleva che nel finale non ci fosse la cabaletta finale. La Sutherland si oppose. Era suo desiderio attenersi all’originale di Bellini. Non si misero d’accordo e si dovete sostituire l’opera di Bellini con la Lucia, nella quale la Sutherland diede altro filo da torcere ai milanesi, per i quali quella australiana piovuta da Londra era una specie di minaccia. Lei voleva che si vedessero le macchie di sangue sul suo vestito dopo aver pugnalato Arturo. Ma la Scala non glielo concesse e le fu inoltre rimproverato di agitarsi troppo nella scena della pazzia, a tal punto che non riuscivano ad illuminarla. “Lasciali fare”, le consigliò alla fine il marito, l’abbiamo spuntata con Gui, ora è meglio non strafare. La Sutherland ricorda invece con piacere una Lucia con Tullio Serafin il quale per tutto il tempo delle prove al pianoforte teneva in testa un cappello nero e insisteva sempre molto sulla pronuncia: “per favore”, chiese ad una certa battuta, “pronunci “g” in “giunge” e non canti e per carità “ciunce”. A Serafin piacevano tanto i mi bemolli acuti della Sutherland da premiarla una sera per una di queste rare note con un… mezzo scellino. Ammiratori non le sono mai mancati. L’abbiamo visto: dal gelataio di Sidney alla Callas, da Zeffirelli a Serafin. Ma una volta al liceo di Barcellona, non sendendosi a posto con la voce e non trovando santi protettori, finì per tradire la fede presbiteriana e baciò una medaglietta della Madonna di Montserrat che il sarto del teatro portava al collo. L’opera andò benissimo e il giorno dopo la Sutherland era ai piedi della Madonna con un mazzo di mughetti. (Estratto da Joan Sutherland – un ritratto di Luigi Fait – 1969)