“LA CLEMENZA DI TITO”
Dramma per musica in tre atti su libretto di Pietro Metastasio. Prima rappresentazione, Napoli, Teatro di San Carlo, 4 novembre 1752
“La clemenza di Tito” ha rappresentato un passaggio quasi obbligato per tutti i compositori del XVIII secolo che si sono cimentati nel genere dell’opera seria – si contano almeno cinquanta versioni differenti – fino alla riscrittura complessiva sul piano tanto drammaturgico quanto musicale rappresentata dalla versione mozartina del 1791 ormai penetrata di sensibilità pre-romantica.
Il testo di Metastasio aveva visto la luce nel 1734 su commissione dell’Imperatore Carlo VI d’Asburgo con musiche di Antonio Caldara e si era subito imposto come un autentico paradigma formale e contenutistico dell’opera seria nella declinazione di quegli anni non insensibile alle tematiche della riflessione politica dell’assolutismo illuminato. Elemento politico e storicamente contingente che mai ha avuto nel teatro di Metastasio una centralità paragonabile a quella che caratterizza quest’opera. Commissionata nel pieno della guerra di successione polacca in cui le armate imperiali si trovavano a mal partito contro l’asse franco-piemontese l’opera serve a celebrare la capacità dell’imperatore di mantenersi fedele ai principi del buon governo cari alla prassi settecentesca nonostante i rovesci della fortuna. Fin dal primo recitativo “Romani, unico oggetto” Tito fa sfoggio di quel controllo di sé e dei propri sentimenti, di quella capacità di sacrificare l’interesse personale al bene collettivo che è comune anche ad altri sovrani di Metastasio e che deriva sostanzialmente da un ideale di matrice stoica ma che in quest’opera diventerà il punto centrale intorno a cui ruoterà tutta la vicenda. Tito presenta sé stesso come perfetta incarnazione del sovrano-padre “Più tenero, più caro/ nome che quel di padre/ per me non v’è” secondo i modi propri di quella componente paternalistica sempre sottesa all’idea dell’assolutismo illuminato e che alla fine del secolo troverà la sua esplicita affermazione nell’attributo di “piccola madre” con cui si identificherà in Russia Caterina II che di questa tradizione è il compimento ultimo e più alto. Tito è il sovrano messo alla prova dagli Dei non per inimicizia ma per permettergli di poter esprimere al meglio le proprie qualità che solo di fronte al massimo pericolo possono pienamente rifulgere – ed ancora in Metastasio troviamo un elemento di forte matrice stoica, in questo caso direttamente senecana essendo ricavato per via diretta dal “De Clementia” e dal “De Providentia” – chiamato ad essere metafora dello stesso Carlo VI le cui difficoltà politiche – le già ricordate difficoltà militari nel confronto con la Francia del 1733-35 – e famigliari – con la mancanza di un erede maschio che metteva a repentaglio la stessa continuità della dinastia asburgica – non avevano abbattuto ma anzi esaltato nelle sue qualità di governo.
Di fronte alla positività di Tito stanno le figure negative di Sesto e Vitellia. Se la virtus è prima di tutto autocontrollo la sua negazione sta nel cedere alle passioni oltre i limiti imposti dalla razionalità e questo non vale solo per la gelosia sostanzialmente esacerbata di Vitellia al limite – se non oltre – i confini della follia ma anche nella fragilità di Sesto vittima di un sentimento incapace di dominare, estrema colpa nel mondo del Settecento razionale.
Perfetta sintesi di parametri etici e politici condivisi non stupisce che “La clemenza di Tito” sia immediatamente diventata uno dei testi più amati e contesi dai musicisti del tempo. Al momento dell’arrivo di Gluck a Napoli nel 1752 il pubblico partenopeo conosceva già alcune versioni della stessa opera inoltre una nuova versione era già stata affidata ad un altro compositore – un certo Abos – destinata alle stesse festività organizzate da Carlo III di Borbone. Gluck poteva però contare su una solida fama diffusa ormai in tutta Europa che il trionfo viennese della “Semiramide riconosciuta” del 1748 aveva ulteriormente consolidato e questo gli permise di rifiutare l’originaria proposta di un “Arsace” avanzata dall’impresario napoletano Diego Tuffarelli e di ottenere la possibilità di comporre una sua versione della Clemenza.
Il prestigio di cui godeva permise inoltre a Gluck di poter realizzare pienamente le proprie intenzioni musicali, sfruttando al meglio le straordinarie possibilità degli interpreti a disposizione fra cui virtuosi assoluti come il soprano Caterina Visconti ed il castrato Gaetano Majorano, il celeberrimo Caffariello, senza però piegarsi eccessivamente dei desiderata dei singoli cantanti.
Gluck si era affermato sulla scena europea come uno dei massimi interpreti dell’opera seria, forse quello più vicino alla sensibilità espressiva di Metastasio e alla sua idea di teatro in musica per la sua capacità di fondere insieme musica e parola esprimendo musicalmente gli affetti del testo nel modo più compiuto e rispettoso e al contempo riuscendo sempre a sorprendere il pubblico con l’originalità delle sue invenzioni armoniche e coloristiche. “La clemenza di Tito” fu accolta da un successo semplicemente trionfale e subito considerata una delle più alte realizzazioni assolute del genere, e quindi una grande fortuna che in occasione del tricentenario della nascita del compositore la Deutsche Harmonia Mundi abbia proposto questa registrazione integrale dell’opera caratterizzata da un livello esecutivo decisamente più che convincente e che permette di apprezzarne pienamente la qualità musicale. L’ascolto di questa recente incisione è forse il mezzo migliore per analizzare con maggior attenzione questo fondamentale Si ringrazia la Dott.ssa Prof.ssa Isabella Chiappara Soria per il prezioso materiale storico su quest’opera.
Qui il libretto dell’Opera