Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma “Le Pasteur” di Émile Souvestre ed Eugène Bourgeois. Prima rappresentazione: Trieste, Teatro Grande, 16 novembre 1850.
Primi interpreti:
Gaetano Fraschini (Stiffelio)
Marietta Gazzaniga (Lina)
Filippo Colini (Stankar)
Rainieri Dei (Raffaele)
Francesco Reduzzi (Jorg)
Dopo le prime tre rappresentazioni di Luisa Miller, nel dicembre 1849, Verdi lascia Napoli e riprende la strada per Busseto. La mente del compositore, in continuo fermento e sempre più alla ricerca di soggetti che lo convincano totalmente, comincia a elaborare nuove idee delle quali fa partecipe Salvatore Cammarano. Proprio in questo periodo Verdi pone la sua attenzione su Le roi s’amuse di Victor Hugo, che diventerà Rigoletto e sul El trovador, dramma dello spagnolo Antonio Garcia Gutiérrez. Riemerge anche il progetto per il Re Lear, un’idea destinata ancora una volta a fallire. Lasciando a Cammarano il compito di elaborare i soggetti, Verdi affronta un nuovo impegno con Ricordi: un’opera da rappresentarsi nell’autunno del 1850. La sede sarà trovata dall’Editore, secondo la prassi del periodo.
Per questa nuova opera Verdi si rivolge a Francesco Maria Piave; conoscendo la sua voglia di novità, gli consiglia un dramma francese, Le Pasteur, messo in scena a Parigi nel febbraio del 1848 e stranamente, visto il soggetto “scabroso”, già in circolazione in una traduzione italiana già in mano a Piave. Il soggetto piace molto a Verdi e così Piave riesce ad approntare un buon libretto, anche se non sempre chiaro nell’esposizione dei fatti e dei precedenti della vicenda. Si avvia la stesura dello Stiffelio, tra i più travagliati dell’intera produzione Verdiana. Verdi ha scelto per la prima volta un soggetto ambientato in epoca “contemporanea” (avverrà una sola volta ancora con La Traviata), la vicenda parla poi di un pastore protestante, di una adulterio, vi sono una scena di confessione e addirittura il finale dell’opera è in una chiesa con l’aggiunta di una citazione evangelica. Per la censura è una vera manna. L’opera, destinata alle scene del Teatro Grande di Trieste, va in scena con un certo successo, ma già epurata di ogni riferimento religioso. Verdi difende strenuamente la sua creazione, ma nelle successive ripresa a Roma ea Napoli l’opera è del tutto snaturata: Il predicatore Stiffelio si trasforma nello statista tedesco Guglielmo Wellingrode.
Alla fine è lo stesso Verdi, stanco di vedere la sua opera ridotta una sorta di canovaccio dove accade di tutto, che decide di operare dei cambiamenti che abbiamo almeno una logica. Si arriva così alla nascita di Aroldo, che per il compositore è la versione definitiva dell’opera: ordina addirittura che venga distrutto l’originale!
Per nostra fortuna Stiffelio si è salvato ed è giunto a noi in tutta la sua originale bellezza e originalità. Novità non solo nel soggetto, ma anche nell’uso delle voci e dell’orchestra. Per la prima volta Verdi da un carattere forte e ricco di contrasti a un tenore e dovremo aspettare Otello per trovarne un altro così intensamente drammatico: Non manca la figura paterna, Stankar, un ruolo ambivalente: padre amorevole, custodi di valori morali, ma allo stesso tempo un uomo crudele e vendicativo.
I tormenti e le lacerazioni di Lina anticipano le passioni e i turbamenti di Amelia nel Ballo in maschera:la scena del cimitero, con la splendida aria “Ah dagli scanni eterei” precorre la scena dell’orrido campo del Ballo. Stiffelio quindi rappresenta un momento assolutamente fondamentale nell’idea verdiana di teatro di sentimenti, di conflitti intimi che riuscirà a trovare la sua massima espressione nel Don Carlos.