Tragedia lirica in due atti, su libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma “The Two Foscari” di George Byron. Prima rappresentazione: Roma, Teatro Argentina, 3 novembre 1844.
Verdi è attratto dal dramma di Byron già in occasione del debutto alla Fenice: “è un bel soggetto, delicato, ed assai patetico “, scrive al librettista Piave e in un’altra lettera al Bienna, segretario del teatro, definisce l’argomento “pieno di passione e musicabilissimo” e per dipiù “fatto veneziano, e potrebbe interessare moltissimo a Venezia “. al contrario, la direzione della Fenice gli consiglia di ripensarci, per non urtare la suscettibilità dei discendenti dei Foscari e dei Loredano. Verdi accoglie il consiglio, rivolgendo così la sua attenzione alla Hernani di Hugo.
Passato questo primo impegno veneziano, Verdi, ormai affermato compositore e da più parti salutato come l’erede di Donizetti, deve far fronte a un’altra scadenza per un nuovo territorio di conquista: il Teatro Argentina di Roma.Ecco l’occasione per rispolverare I due Foscari di Byron. Verdi coinvolge subito il giovane Piave e il 9 maggio 1844 scrive: “Osservo che in Byron non c’è quella grandiosità scenica che è pur voluta dalle opere per musica. Metti alla tortura il tuo ingegno e trova qualche cosa che faccia un po’ di fracasso, specialmente nel primo atto “. Piave si mette il lavoro e in una successiva lettera del 14 maggio il musicista annota:” Bel dramma, bellissimo, arcibellissimo… trovo che il carattere del padre è nobile e ben trattato, quello di Lucrezia pure, ma quello di Jacopo è debole e di poco effetto scenico: Io gli darei in principio un carattere più energico… “.
La collaborazione tra Verdi e Piave procede spedita e nella tarda estate del 1844 l’opera è terminata. Il 3 ottobre Verdi per Roma per seguire le prove e il 3 novembre i due Foscari vanno in scena. Il successo è modesto e il giorno dopo Verdi: “Se I due Foscari non sono del tutto caduti poco è mancato. Sia poi perché i cantanti hanno suonato assai… Il fatto sì è che l’opera ha fatto mezzo fiasco…“, continuando poi:” Io avevo molta predilezione per quest’opera: forse mi sono ingannato, ma prima di ricredermi voglio un altro giudizio “. Qualche anno dopo, in una lettera Piave in data 22 luglio 1848, Verdi ritorna sull’argomento:“una tinta, un colore troppo uniforme dal principio alla fine”.
Drammaturgicamente monotono lo era anche il dramma di Byron al quale Verdi aveva raccomandato Il Piave di “stare attaccato”. Il musicista punta ancora un’azione teatrale serrata e a mettere bene in chiaro le “posizioni” dei personaggi, le situazioni., I due Foscari raggiungono questo scopo e in poco più di 100 minuti Verdi concretizza l’intera vicenda. Colpisce subito l’uso dei temi musicali atti a caratterizzare i tre principali personaggi è il consiglio dei Dieci. Una cornice musicale di notevole impatto, ma all’interno la situazione drammatica è pressoché statica per l’intera opera, così come immutabile è l’atteggiamento dei protagonisti.
I due Foscari contengono il germe di una tematica cara Verdi e che troverà una piena maturazione nel Don Carlo: il conflitto tra la ragione di stato e la ragione del cuore, dei sentimenti. Il doge Francesco è prigioniero del sistema politico, rappresentato dal Consiglio dei Dieci, che è più forte di lui; così come sarà il Filippo II del Don Carlo, reso impotente dall’eccessivo potere della Chiesa Cattolica. Foto Archivio La Fenice