Oratorio in tre atti su libretto di William Congreve rivisto da Newburgh Hamilton e Georg Friedrich Händel. Louise Alder (Semele), Hugo Hymas (Juppiter), Lucile Richardot (Juno /Ino), Carlo Vistoli (Athamas), Gianluca Buratto (Cadmus/ Somnus), Emily Owen (Iris), Angela Hicks (Cupid), Peter Davoren (Apollo), Angharad Rowlands (Augur), Dan D’Souza (High Priest). Monteverdi Choir, English Baroque Soloists, John Eliot Gardiner (direttore). Registrazione: London’s Alexandra Palace Theatre, 2 – 4 maggio 2019. 3 CD Soli Deo Gloria SDG 733
L’Inghilterra, rappresenta nel quadro musicale europeo del XVIII secolo, una parziale eccezione. Pur non dotata di una tradizione nazionale forte come quella francese l’Inghilterra è forse il solo altro paese a non farsi totalmente travolgere dall’opera seria italiana e dai suoi stilemi. La diffusione dell’opera italiana è importante oltre-manica ma non annulla le forme di teatro locale il cui gradimento resta altissimo specie tra il pubblico di estrazione borghese. Non è casuale che Händel dopo i successi italiani dei primi decenni del secolo si sia concentrato sempre più sull’oratorio genere molto popolare nel paese soprattutto per l’utilizzo di libretti in lingua inglese. Caratteristiche del genere erano il soggetto sacro, la realizzazione in forma concertante, una presenza del coro molto maggiore rispetto all’opera seria italiana. Per i compositori il genere presentava il vantaggio di una minor rigidità strutturale e di una maggior libertà espressiva.
Sono queste le ragioni che portano Händel a sfruttare il genere per lavori di concezione nuova e rivoluzionaria. E’ questo il caso di “Semele” composta nel 1743 in cui le forme del genere oratoriale sono piegate alle necessità di un soggetto profano. Il libretto è infatti la rielaborazione di un vecchio lavoro di William Congreve scritto come opera per le musiche di John Eccles nel 1707 su un soggetto tratto da “Le Metamorfosi” di Ovidio che reinterpretavano con quel gusto romanzesco tipico della cultura tardo –ellenistica il mito degli amori di Zeus con la principessa tebana Semele e la nascita miracolosa di Dioniso dopo la morte della madre incenerita dalla visione di Zeus nella sua piena maestà divina. Händel grazie anche all’aiuto di Newburgh Hamilton adatta il testo alle esigenze del genere oratoriale concentrando l’attenzione sugli affetti contrapposti che caratterizzano la vicenda e rileggendo il mito classico con una freschezza espressiva non scevra da venature ironiche.
La musica rappresenta uno dei più alti esempi dello stile maturo di Händel. Il soggetto profano permette di recuperare per le arie schemi tripartiti di derivazione italiana con notevoli richieste nel campo dell’estensione e del canto di coloratura. Una particolare importanza acquisiscono i recitativi spesso nella forma di declamati ariosi dallo spiccato andamento melodico la cui rilevanza non è inferiore a quella delle arie. Insolita complessità hanno i pezzi d’insieme alcuni dei quali colpiscono per la straordinaria modernità. È il caso del quartetto del I atto in cui il gioco di emozioni contrapposte fuse in un’unica linea musicale già anticipa Mozart e analoghe situazioni dell’opera romantica ottocentesca.
Lavoro quindi musicalmente sublime e storicamente fondamentale ma ancora di scarsa diffusione. La natura ibrida della struttura, la complessità della scrittura orchestrale – tra le più ricche e raffinate di Händel – e la complessità delle parti vocali (specie quella della protagonista scritta per la prediletta Élisabeth Duparc detta “La Francesina”) non hanno certo favorito la sua diffusione .
Vero apostolo di quest’opera è John Eliot Gardiner che negli scorsi anni ha attraversato l’Europa riproponendo in diverse piazze – comprese Roma e Milano – l’oratorio di Händel con i suoi insuperabili complessi dell’English Baroque Soloist e del Monteverdi Choir e con una compagnia di canto perfettamente calata nella proprio visione e funzionale alla coerenza complessiva dell’esecuzione. Il presidente triplo CD testimonia questo progetto, registrato con ottimo suono presso Alexandra Palace Theatre di Londra, e fornisce una lettura che – fatti salvo alcuni tagli in particolare nei recitativi funzionali alla rappresentazione in forma semi-scenica dell’opera è destinata a rimanere una pietra miliare della storia esecutiva.
Impossibile immaginare una relazione più profonda di quella che unisce Gardiner a questo repertorio. Il maestro inglese offre una prestazione ineccepibile. l’attenzione al dettaglio è quasi maniacale, non vi è un singolo passaggio in cui non sia evidente un attento studio musicale e interpretativo. Quella di Gardiner è una lettura sfavillante di colori, ricca dell’abbandono di una musica sensuale come pochissime altre e di emozioni contrastanti. Dettagli e sfumature sempre calati in una lettura vitalissima, estremamente teatrale che – considerando il tema dell’oratorio – non sarebbe improprio definire dionisiaca. Totalmente in sintonia il direttore, gli English Baroque Soloist suonano in modo sublima confermando la propria posizione di primissimo piano nell’interno di un panorama generalizzato di eccellenza. Accanto all’orchestra il Monteverdi Choir è semplicemente strepitoso in tutte le sue componenti.
Louise Alder deve cimentarsi con l’impervia parte della protagonista e ne esce vincitrice. Qualche suono un è po’ “fisso” ma è poca cosa in una linea di canto elegante e raffinato, aiutato da un timbro radiosamente femminile e sorretto da ottime capacità nel canto di coloratura, sempre precise espressive, mai meccanica. L’interprete poi è perfettamente calata nel ruolo, mostrando un notevole temperamento.
Il Giove di Hugo Hymas è affrontato con una voce tenorile chiara, molto inglese, oratoriale come gusto e impostazione, quindi alquanto connotata. La linea di canto è però elegantissima e gli impervi passaggi vocale del ruolo sono risolti con grande facilità.
Giunone e Ino – la sorella di Semele di cui la Dea prenderà l’aspetto sono affrontate dal mezzosoprano Lucille Richardot. Voce importante ma con un taglio interpretativo che la vede esasperare i tratti già quasi caricaturali del personaggio, attraverso un canto tagliente e un accento sopra le righe. Verosimilmente questo può essere efficace sul piano scenico, al solo ascolto risulta eccessiva.
Carlo Vistoli si conferma come Athamas uno dei più eleganti controtenori di questi anni con una prova di impeccabile musicalità e di non comune raffinatezza stilistica. Gianluca Buratto presta la sua splendida voce di basso profondo sia all’autorevolezza di Cadmo sia alla sonnacchiosa ironia della personificazione di Somnus. Emily Owen e Angela Hicks vocalizzano eleganti e sicure nelle vesti di Iris e di Cupido. Dan D’Souza è u autorevole gran sacerdote, Peter Davoren un Apollo corretto ma un po’ spento. Corretto l’Augure di Angharad Rowlands.