Bergamo, Donizetti Festival 2020: “Marin Faliero”

Bergamo, Teatro Donizetti, Donizetti Festival 2020
“MARIN FALIERO”
Tragedia lirica in tre atti su libretto di Giovanni Emanuele Bidera
Musica di Gaetano Donizetti
Marino Falliero MICHELE PERTUSI
Israele Bertucci BOGDAN BACIU
Fernando MICHELE ANGELINI
Elena FRANCESCA DOTTO
Steno CHRISTIAN FEDERICI
Leoni DAVE MONACO
Irene ANAÏS MEJÍAS
Un gondoliere GIORGIO MISSERI
Pietro DIEGO SAVINI
Strozzi VASSILY SOLODSKYY
I figli di Israele ENRICO PERTILE, GIOVANNI DRAGANO, ANGELO LODETTI
Voce da dentro PIERMARCO VINAS MAZZOLENI
Orchestra e Coro Donizetti Opera
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Fabio Tartari
Progetto creativo ricci/forte
Regia Stefano Ricci
Scene Marco Rossi
Costumi Gianluca Sbicca
Lighting design Alessandro Carletti
Coreografie Marta Bevilacqua
Bergamo,  20 novembre 2020 – diretta streaming
Le traversie storiche che stiamo vivendo non hanno fermato completamente il Donizetti festival 2020 che alla fine è giunto in porto seppur con tutte le limitazioni imposte dalla situazione contingente. Un festival esclusivamente in streaming – la prima anche in diretta televisiva su RAI 5 – senza pubblico e con non poche limitazioni agli allestimenti ma pur sempre un segnale di speranza ribadendo che queste soluzioni sono un male necessario nell’emergenzialità della situazione attuale ma che non possono e non devono diventare una realtà abituale, lo spettacolo dal vivo deve tornare a vivere con il diretto contatto con il pubblico, la virtualità non potrà mai essere una sostituta di questo rapporto ma solo un tampone temporaneo.
Ad aprire l’edizione del festival è stato uno dei lavori più affascinanti e meno eseguiti del compositore bergamasco, quel “Marin Faliero” composto per il debutto al Théâtre de la comédie italienne nel 1835 e che rappresenta il più riuscito esempio di opera politica del melodramma italiano pre-verdiano. La vicenda delle rivendicazioni sociali e delle lotte politiche della plebe veneziana contro lo strapotere delle oligarchie patrizie – e il tentativo del Doge Marino Faliero di assumere un potere tirannico su base popolare si ispira a fatti realmente avvenuti nel 1355 e che si inserivano in una ampia serie di fenomeni analoghi attestata in Italia dalla metà del Trecento quando le nuove condizioni economiche e sociali successive alla peste nera del 1348 – 1350 fecero sorgere un nuovo e più forte senso del proprio ruolo sociale da parte delle classi lavoratrici dei comuni italiani. Nell’opera di Donizetti il tema storico è protagonista assoluto giocandosi la vicenda intorno alle due figure politiche del Doge e di Israele cui si aggiunge la centralità del coro – con una sistematica presenza non  comune nello stile italiano del tempo – rispetto alla componente amorosa collocata marginalmente e caratterizzata da dinamiche lontane dalla stilizzazione sentimentale tipica del romanticismo belcantista. Musicalmente “Marin Faliero” risente di una dimensione sperimentale dovuta alla necessità di venire incontro al gusto francese pur senza rinnegare gli stilemi delle scuole italiane. Così se la vocalità è di matrice belcantista tanta da farne una delle opere più “rossiniane” di Donizetti – e il cast di prim’ordine spingeva in tal senso – segno di una sensibilità nuova sono la ricchezza della scrittura orchestrale in linea con il gusto parigino, la centralità del coro e la forte valenza espressiva dei declamati che Donizetti aveva già sperimentato a Venezia nel “Belisario” – che trova qui terreno naturale, data la matrice francese.
Merito primo della riuscita complessiva della produzione va ascritto a Riccardo Frizza è uno dei migliori concertatori in questo repertorio. Frizza ha saputo tenere le fila di una produzione complessa che il distanziamento e la particolarità dell’allestimento rendevano ancor più difficili da gestire. Sul piano musicale cogliamo una lettura nitida, pulita, elegante, stilisticamente coerente. Le sonorità sono terse, nette, la tinta scura che ritroviamo in più punti – si pensi allo splendido notturno che apre il secondo atto – è presente in tutta la sua suggestione e non è mai caricata,  virata verso gli sviluppi verdiani. Anche le numerose pagine marziali o popolari mantengono il tono di brillante eleganza. Orchestra e coro si mostrano pienamente all’altezza permettendo al direttore suggestivi effetti ambientali – su tutti i diversi piani sonori che all’inizio del II atto rendono il giungere progressivo dei gruppi dei congiurati.
L’opera è stata scritta per una compagnia di autentiche leggende – Lablache, Rubini, Tamburini e Giulia Grisi – all’apice delle proprie potenzialità, ovvio che ruoli di questo tipo siano per tutti cimento estremo e – anche per problemi sopravvenuti – la compagnia di canto non sempre si è mostrata all’altezza delle difficoltà. Giganteggia Michele Pertusi nei panni del protagonista. Entra in scena e la riempi di un carisma fuori dal comune, ogni gesto, ogni sguardo sono pura forza teatrale. Così come voce ampia, ricca, la linea di  canto ampio e nobilissimo sorretto da un’emissione esemplare – bellissimo  il legato, il controllo dei fiati. Ma in Pertusi la grandezza del cantante si unisce a quella dell’artista, ad una dizione nitida e scolpita, a un fraseggio ricchissimo e sempre pertinente, alla capacità di scandagliare ogni fibra di questo personaggio. E se la lunga carriera mostra qualche piccola ruga sulla voce, si ulteriormente arricchita la capacità di vivere il personaggio e di trasmetterlo con tutta la sua forza.
Positiva la prova di Francesca Dotto che esce con onore dalla scomoda parte di Elena caratterizzata da tessiture impervie. La voce, robusta e sonora, è particolare, con un che di “aspro”, la qualità della linea di canto è valida – se pur con qualche prudenza – la  dizione nitida e il temperamento notevole. Con ottime capacità sceniche conferisce alla sua Elena un carattere battagliero non estraneo al personaggio. Bella voce, canto elegante Bogdan Baciu baritono dal timbro chiaro e dalla linea di canto pulita ma limitata sul piano dell’accento per rendere le alte idealità di Israele Bertucci.
Un discorso a parte merita Michele Angelini subentrato al previsto Javier Camarena impossibilitato a raggiungere Bergamo. La parte di Fernando è tra le più impervie scritte per Rubini e dovrebbe fondere una facilità funambolica nel canto di bravura a uno squillo eroico. Angelini ha le note e  regge la parte anche molti passaggi parevano più accennati che risolti e i previsti falsettoni sembravano più falsetti veri e propri. La natura elegiaca della voce suonava poi estranea al carattere del ruolo. Gli si riconosce l’onore delle armi per aver salvato la produzione. Bello squillo il Leoni di Dave Monaco, efficacie le Steno di Christian Federici e funzionali le parti di fianco.Delude senza attenuanti lo spettacolo firmato dal duo Ricci/Forte. L’impianto è insolito, la scena tridimensionale occupa la platea mentre orchestra e coro sono sul palco, schermi lungo la sala permettono ai cantanti di seguire il direttore. La struttura è un affastellato di ponteggi da cantiere che vorrebbe ricreare in modo astratto i volumi di Venezia e con il tema “operaio” dell’opera potrebbe non essere impropri prescindendo dallo scarso valore estetico. La struttura resta un corpo morto su cui i cantanti si muovono quasi casualmente – certo i limiti sul contato fisico imposti dalla situazione non aiutano – ma qui risultava impossibile capire l’azione e i rapporti tra i personaggi – mentre tutto attorno mimi, equilibristi e figuranti sono presenze inutili. Idee di regia scarse, alcune entrano nel comico – i mascheroni da polpo durante la festa che ricordavano pericolosamente il Cthulhu di Lovercraft, figuranti con maschere da pesce che “nuotano” – mentre sui un’azione senza senso dei  personaggi, agghindati nei “costumi”  firmati di Gianluca Sbicca, totalmente fuori dal contesto dell’opera. Foto Gianfranco Rota