Venezia, Palazzetto Bru Zane, Festival “Camille Saint-Saëns, l’uomo-orchestra”, 26 settembre-8 novembre 2020
“VIOLINO E PIANOFORTE: ESOTISMO E SENTIMENTO”
Violino Maria Milstein
Pianoforte Nathalia Milstein
Camille Saint-Saëns: Élégie pour violon et piano en fa majeur, op. 160; Sonate pour violon et piano no 1 en ré mineur, op. 75; Élégie pour violon et piano en ré majeur, op. 143; Havanaise en mi majeur, op. 83; Maurice Ravel: Pièce en forme de habanera; Sonate pour violon et piano no 2 en sol majeur, M. 77
Venezia, 9 ottobre 2020
Se non hanno alcun legame di parentela con il celebre violinista Nathan Milstein, nondimeno le sorelle Maria e Nathalia Milstein – protagoniste del concerto di cui ci occupiamo – sono figlie d’arte, appartenendo ad una prestigiosa famiglia di musicisti russi. Oltre che suonare insieme alla sorella, Maria, violinista, si esibisce con successo in varie formazioni cameristiche, tra cui il Trio Van Baerle, mentre Nathalia, pianista – vincitrice, tra l’altro, nel 2015, del Concorso di Dublino: prima donna impostasi nell’importante competizione – viene regolarmente invitata dalle più rinomate istituzioni musicali a livello internazionale. È dunque naturale che le due soliste abbiano galvanizzato gli spettatori, presenti nella deliziosa sala dei concerti del palazzetto Bru Zane. Ricco – e davvero impegnativo! – il programma del concerto, in cui veniva proposta, di Saint-Saëns, la celebre sonata, che ispirò a Proust la famosa “petite phrase” della pièce di Vinteuil, accanto ad altri pezzi antiaccademici, tra cui spiccava l’esotica Havanaise. Analogo gusto per l’esotico e per la libertà dalle convenzioni si coglieva nei brani di Maurice Ravel, che cercò ispirazione per la propria sonata addirittura nel blues d’oltreoceano.
Formidabile è stata l’intesa tra le due esecutrici, che hanno saputo trarre il meglio dai loro rispettivi strumenti. Maria, imbracciando il violino – un preziosissimo manufatto settecentesco, dovuto al liutaio cremonese Michel Angelo Bergonzi – ha veramente conquistato la platea per la pienezza del suono, sempre rotondo ed armonioso in ogni registro, la perfetta intonazione, la spavalderia della sua tecnica trascendentale, il piglio diffusamente vigoroso, dimostrandosi scevra da ogni leziosità anche nei passaggi più delicati. Le ha perfettamente corrisposto, alla tastiera, la sorella Nathalia, che ha, in particolare, dato prova di un’alta scuola della velocità, coniugata a notevole finezza interpretativa, attraverso un tocco sempre cangiante e ricco di sfumature, oltre a un estremo nitore anche nei passaggi armonicamente più densi.
Si è così pienamente goduta la particolare espressività, non malinconica né patetica, delle due elegie di Saint-Saëns: l’Elegia per violino e pianoforte in fa maggiore – composta nel gennaio 1920, durante un soggiorno ad Algeri – contenente la citazione di una frase di Alexis de Castillon, tra i più cari amici del compositore; e l’Elegia per violino e pianoforte in re maggiore – composta nel 1915 in California, dove Saint-Saëns rappresentava la Francia all’Esposizione universale di San Francisco – la quale, nell’insieme chiara nella scrittura e soffusa di lirismo, esige nella parte centrale un notevole virtuosismo.
Quanto alla famosa Sonata per violino e pianoforte n. 1 in re minore di Saint-Saëns – che riscosse fin dalla prima esecuzione un notevole successo – essa si basa su un perfetto equilibrio tra i due strumenti come tra le diverse atmosfere che si susseguono. Magistrale, anche qui, l’interpretazione delle sue strumentiste, nel caratterizzare i vari momenti della sonata: la cupa frenesia delle prime pagine, la pacatezza del secondo tema – la “petite phrase”, per ammissione dello stesso Proust –; la raffinata scrittura contrappuntistica dello sviluppo, in cui gli strumenti si sono confrontati con esaltante destrezza; l’intenso lirismo dell’Adagio, con una parte centrale che crea un contrasto emotivo; il tono garbatamente scherzoso dell’Allegretto moderato, in cui si inserisce una bella melodia cantabile del violino, accompagnata dagli arpeggi del pianoforte; il travolgente moto perpetuo, che domina nell’ultima parte della Sonata, un tour de force, in cui gli strumenti si scambiano i ruoli, alternando il più mirabolante virtuosismo al “semplice” sostegno ritmico-armonico.
Piena di fascino era la Havanaise in mi maggiore, composta da Saint-Saëns nel 1887 a Brest, durante una tournée con il violinista di origini cubane Raphael Diaz Albertini, dedicatario dell’opera, in cui una melodia lirica e sognante del violino, è inserita fra due episodi di grande virtuosismo.
Passando ai titoli di Maurice Ravel, la Pièce en forme de habanera – arrangiamento strumentale di Vocalise-Étude en forme de habanera per mezzosoprano e pianoforte, pubblicato nel 1909 – ha conosciuto particolare fortuna soprattutto nella versione per violino e pianoforte. Perfetta intesa e giusto accento si sono apprezzati anche in questo pezzo, in cui al ritmo ostinato tipico di questa danza – che i musicisti francesi credevano spagnola, mentre in realtà è cubana –, affidato al pianoforte, si sovrappongono elementi melodici, che combinano ritmi binari e ternari, nonché melismi, liberamente ispirati al folclore musicale ispanico.
Riguardo alla Sonata per violino e pianoforte n. 2 in sol maggiore, è da notare che Ravel riteneva il pianoforte e gli strumenti ad arco inconciliabili, tuttavia, nel 1897 aveva composto il primo movimento di una sonata per violino e pianoforte, rimasto a lungo inedito. Vari anni dopo, la violinista Hélène Jourdan-Morhange – amica di Ravel e futura dedicataria dell’opera – ha probabilmente convinto l’autore francese a cimentarsi nuovamente con questo organico e a iniziare, nel 1923, la composizione della sua seconda Sonata per violino e pianoforte. Ma il lavoro fu piuttosto lento a causa delle ripetute crisi depressive, di cui soffrì il musicista, nonché per il tempo che impiegò per eliminare ogni nota superflua. Impareggiabili le sorelle Milstein, per finezza interpretativa, nell’Allegretto iniziale, in forma-sonata, ma con l’insolita la presenza di quattro idee tematiche dai diversi caratteri. Totalmente contrastante rispetto al precedente è risultato il secondo movimento, Blues, basato su un tipico genere della musica americana – scelta che Enescu, primo esecutore dell’opera insieme all’autore, riteneva inammissibile in un contesto classico – con le sue sincopi, l’accentuazione dei tempi deboli e quant’altro. Travolgente il Perpetuum mobile conclusivo, diffusamente virtuosistico, che evocava una sorta di ronzante “volo del calabrone”, attraversato da alcuni incisi motivici dei due tempi precedenti, fino alla parte finale, sfociante in una scintillante serie di arpeggi che – insieme a rapide terzine, glissandi e acciaccature del pianoforte – preannunciano il Concerto in sol. Grandi applausi con qualche acclamazione. Un fuoriprogramma: una trascrizione de L’Heure exquise di Reynaldo Hahn.