Richard Wagner (1813-1883): “Tannhäuser” (1845)

Tannhäuser (o Danhauser secondo altre versioni) è un personaggio storico, uno degli ultimi trovatori del XIII secolo, vissuto girovagando tra i paesi dell’Occidente e dell’Oriente, pago delle sue scelte e non perdendo mai l’allegria e il buon umore nonostante la miseria abituale alla quale era costretto dalla sua vita grama; è ricordato fra coloro che parteciparono alla Crociata indetta da Federico II e acquistò fama per essere stato l’autore di un gran numero di poesie penitenziali ed erotiche che gli guadagnarono l’epiteto di poeta maledetto. Federico il Bellicoso, avendogli concesso un beneficium corrispondente ad un feudo dove egli si stabilì in via definitiva, gli permise di imprimere una svolta alla sua vita, abbandonando le sue precedenti esperienze di girovago. Nei due secoli successivi le sue poesie licenziose e spregiudicate ebbero una discreta diffusione e nell’Ottocento furono ripubblicate offrendo materia per altre narrazioni e testi poetici agli intellettuali e letterati del tempo, tra cui Heine autore di un suo Tannhäuser. Wagner ebbe l’occasione di leggere – e la sua creatività ne fu stimolata – sia il racconto di Heine che quello di E. T. A. Hoffmann La gara dei maestri cantori, contenuto nella raccolta I fedeli di San Serapione, e ne trasse, unificandone gli intrecci, il contenuto per un melodramma abbozzato già nella primavera del  1842 con il titolo originario di Venusberg (Monte di Venere), poi modificato, per suggerimento dell’editore Meser, nel titolo indicativo della doppia saga Tannhäuser und der Sängergrieg auf der Wartburg (Tannhäuser ovvero Il torneo poetico della Wartburg) in quanto la parola Venusberg (ossia Monte di Venere) poteva alludere non solo alla mitica località, ma anche un punto del corpo femminile su cui gli insegnanti e gli studenti di anatomia sogliono riferirsi con ributtante trivialità.  L’opera, completata nella primavera del 1845, fu rappresentata per la prima volta il 19 ottobre dello stesso anno al teatro di Dresda, ma dal pubblico, che rimase profondamente deluso nelle sue aspettative – pensava di assistere ad un nuovo grand-opéra simile al Rienzi – non fu bene accolta; essa, tuttavia, fu tenacemente difesa dal suo autore, che non prese in considerazione, almeno non subito, la sua triplice ambiguità: ‘’nella concezione, nella struttura e nella scrittura’’. Egli, in seguito, l’avrebbe rimaneggiata più volte, migliorandone alcune parti, ma sul Tannhäuser sarebbero stati espressi, da parte dei critici, pareri opposti: sarebbe stata un’opera, per alcuni, di transizione, per altri, di anticipazione della  ‘’musica dell’avvenire’’.

Atto primo. Tannhäuser, accolto nella Venusberg (La Montagna di Venere) dalla dea dell’amore, ma ormai stanco della lunga relazione erotica durante la quale era stato soggiogato dai piaceri sensuali, cerca di fuggire spinto dal desiderio di tornare fra gli uomini per soffrire e amare con loro e come loro. Venere, ancora innamorata del bel Tannhäuser e desiderosa di trattenerlo presso di sé, fa il possibile per dissuaderlo dal proposito di allontanarsi, ma il giovane, irremovibile, dopo aver rivolto una commovente preghiera alla Vergine Maria, fa ritorno nella sua terra, la Turingia, da lui molto amata per la bellezza dei suoi paesaggi e per il carattere accogliente e socievole dei suoi abitanti; egli, infatti, è accolto calorosamente dallo stesso Langravio e dalla sorella Elisabetta che, innamorata del giovane, non ha mai smesso di attenderne pazientemente il ritorno.
Atto secondo. Alla presenza del Langravio, della principessa e della corte, si sta svolgendo la gara fra i cantori che, con i loro canti intonati per l’occasione, inneggiano all’amor cortese e puro. Tannhäuser è l’unico partecipante che, in base all’esperienza erotica fatta nel Venusberg, si discosta dagli altri ed eleva un inno all’amore sensuale. I nobili presenti alla gara, indignati per il comportamento, a loro giudizio offensivo, del poeta maledetto, sguainano minacciosamente le spade per aggredirlo, ma la principessa Elisabetta interviene per difenderlo con il dire che spetta solo al pontefice Urbano II, quale Vicario di Cristo, giudicare e, all’occorrenza, concedere il perdono per il peccato commesso. Il poeta maledetto parte per Roma con un gruppo di pellegrini nella speranza di chiedere il perdono al papa il quale non glielo concede subito, ma si limita a consegnargli un bastone intagliato su legno destinato a rimanere inaridito per l’eternità.
Atto terzo. Mentre Elisabetta prega per Tannhäuser del quale chiede invano notizie ai pellegrini, il cantore errante, disperato, va alla ricerca del Venusberg, il monte infernale, in ciò aiutato dalla stessa Venere che, non avendo abbandonato la speranza di ricondurlo a sé, nonostante in precedenza fosse stato fedifrago, gli appare; ancora una volta la principessa Elisabetta interviene in soccorso dell’uomo amato e, morendo, viene accolta in cielo fra i santi e, in terra, elevata agli onori degli altari. Elisabetta compie il miracolo di far rifiorire il bastone inaridito e Tannhäuser, ottenuto così il perdono dei suoi peccati e definitivamente redento, raggiunge in cielo la donna amata.
Il dramma, ancota una volta autobiografico, si sviluppa sulla contrapposizione tra colpa e perdono, tra l’amore sensuale, incarnato dalla dea pagana Venere, e l’amore casto della principessa Elisabetta, che redime l’uomo amato e lo riunisce a sé in un tempo senza tempo, l’eternità della beatitudine celeste. La funzione redentrice della donna e, più in generale, dell’amore, esaltata anche nel Tannhäuser, diventa, così, una costante della produzione letteraria e musicale di Wagner che con questo dramma ha voluto consegnare ai propri connazionali un’opera in toto tedesca, tale da non contenere più elementi imitativi di altri compositori, soprattutto stranieri.