Pietro Mascagni (1863-1945):”L’Amico Fritz” (1891)

Non si era ancora spenta l’eco del successo della Cavalleria rusticana che furoreggiava in Italia e all’estero, quando si pose per Mascagni e per l’editore Sonzogno, che non vedeva l’ora di stampare una nuova opera dell’astro nascente nel panorama lirico italiano, il problema di trovare un soggetto per un nuovo lavoro teatrale. L’occasione per discutere di un nuovo progetto operistico fu data dal battesimo di Edoardo, chiamato Dino, per il quale Mascagni aveva scelto in qualità di padrino il suo editore, come lo stesso compositore ricordò sempre nei colloqui intercorsi con De Carlo:  “A proposito dell’Amico Fritz: di quest’opera non ne abbiamo mica parlato. Questa volta c’entra il mio secondo figliuolo. Edoardo Sonzogno doveva essere il padrino. Dunque, io ero in treno con Sonzogno e Nicola D’Aspuro [sic] e venivo da Napoli, dove s’era data la Cavalleria. A un certo momento Sonzogno mi fa: «Ora bisogna pensare seriamente ad un altro lavoro, perché voi, caro Mascagni, avete un grosso debito di riconoscenza verso il pubblico e poi non dovete fermarvi troppo sugli allori, specialmente all’inizio della carriera. Occorre dunque un’opera nuova». Aveva ragione. «Ma dove trovo un libretto come Cavalleria? – gli dissi. – E poi, anche se lo trovassi, farei male a musicarlo. No, voglio percorrere una strada diversa, anche perché troppi giornali, facendo le lodi di Cavalleria, hanno attribuito il successo al libretto. Proprio per questo io vorrei un libretto semplice, con un’azione quasi inconsistente, in modo che l’opera potrebbe venir giudicata soltanto per la musica e non per il libretto». Sonzogno, che era un uomo intelligente, mi disse: «Forse ho un libretto per voi». Difatti apre la valigia e tira fuori un piccolo volume. Era l’Amico Fritz, commedia in tre atti di Erckmann Chatrian. Beh, volli leggerlo subito. E mentre gli altri due continuavano a conversare fra loro, io me lo divorai. Dopo dissi: «Non discutiamone più; ho trovato quello che ci vuole. Musicherò l’Amico Fritz». Convinsi perfino Nicola D’Aspuro a fare il libretto e, terminata la cerimonia del battesimo di mio figlio, l’accordo fu perfettamente raggiunto” (S. De Carlo, Mascagni parla. Appunti per le memorie di un grande musicista, Roma, De Carlo Editore, pp. 113-114).
Come soggetto fu scelto, dunque, il romanzo, L’amico Fritz, pubblicato nel 1864 dalla coppia di scrittori francesi di origine alsaziana, Emile Erckmann e Alexandre Chatrian, e nel 1877 adattato sempre dagli stessi autori ad opera teatrale. Anche Mascagni collaborò alla redazione del libretto, che fu scritto con lo pseudonimo di P. Suardon da Daspuro, rappresentante della Casa Sonzogno a Napoli ma anche uomo di lettere e autore di una biografia del tenore Enrico Caruso del quale fu agente. Alla fine di marzo del 1891 Nicola Daspuro si recò a Cerignola proprio per stendere il libretto, lavorando in perfetta sinergia con il compositore che ricordò così quel periodo d’intenso lavoro: “D’Aspuro mi aveva promesso di ritornare a Cerignola alla fine di marzo e di non muoversi più fino a libretto ultimato. In casa c’era uno stanzino che c’entrava appena il pianoforte verticale, una sedia e un tavolinetto da pochi soldi. Lì di notte (perché anche allora avevo l’abitudine di alzarmi tardi e di lavorare quasi tutta la notte), io e D’Aspuro creammo l’Amico Fritz. Io in pigiama e pantofole, lui con barba e baffi. Lui scriveva: io cercavo sulla tastiera motivi e accordi. Ma l’opera, veramente, fu finita a Milano, in casa di Sonzogno”. (Ivi, pp. 114-115).
Composta in breve tempo, l’opera andò in scena il 31 ottobre 1891, ancora una volta con un cast d’eccezione diretto da Rodolfo Ferrari e formato da Emma Calvé (Suzel) e Lina Parpagnoli (Caterina), Ortensia Synnerberg (Beppe), Fernando De Lucia (Fritz Kobus) e Guglielmo Bessi (Federico), Paul Lhérie (David), Giuseppe Cremona (Hanezò), al Teatro Costanzi di Roma ottenendo un successo enorme, testimoniato dalle ben 34 chiamate al proscenio e dalle sette richieste di bis che fugarono tutti i dubbi del compositore. Tra le domande che Mascagni si era posto le più ricorrenti erano: “Capirà il pubblico le mie intenzioni? […] A tutti gli amici piace il duetto delle ciliege, perché lo hanno sentito tante volte e lo sanno a memoria, ma il pubblico, che lo sentirà per la prima volta in un grande teatro, avrà la stessa impressione?” (Ivi, p. 115).
In realtà l’obiettivo, prefissatosi da Mascagni nel comporre quest’opera nella quale l’elemento musicale doveva superare il testo, fu pienamente raggiunto come attestato anche dalla stampa favorevole.
L’autorevole critico  Eugenio Checchi scrisse: «Come lavoro musicale, L’amico Fritz sta un gradino sopra Cavalleria»; l’opera, nel frattempo, passava di trionfo in trionfo percorrendo tutta la penisola, da Firenze a Napoli, da Genova a Livorno, da Torino a Milano fino a Venezia prima di valicare le Alpi per essere rappresentata anche a Berlino e a Vienna. Inizialmente Mascagni decise di seguire i primi passi della sua nuova creatura soltanto in Italia ma nel 1892, pressato anche dall’editore Sonzogno, dovette recarsi nella capitale asburgica in occasione dell’Esposizione Musicale di Vienna, alla quale parteciparono grandi compositori dell’epoca quali Smetana, presente con la sua Sposa venduta. Per l’Italia, grazie anche all’iniziativa di Sonzogno, vi parteciparono Mascagni appunto con le sue due opere Cavalleria e L’amico Friitz, Leoncavallo con I pagliacci, Francesco Cilea con Tilda, mentre grande assente fu Puccini che, legato all’editore Ricordi, non fu invitato con grande rammarico di Mascagni stesso il quale, da autentico signore, affermò: «Quello avrebbe dovuto esserci!». Per Mascagni, anche in questa occasione il successo fu enorme, testimoniato dalle affermazioni dell’autorevole critico musicale Eduard Hanslick: «Nessun grande ha avuto qui gli onori, le dimostrazioni, le ovazioni che si fecero a questo illustre erede degli splendori della musica italiana». Lo stesso Mascagni si mostrò quasi sorpreso e anche un po’ infastidito dagli onori tributatigli dal pubblico austriaco, come si evince da una lettera alla moglie: “Non ho avuto un momento libero […] molta gente si era fermata al mio passaggio e sentii gridare: Hoch Mascagni, Hoch Mascagni! […] La cosa comincia a infastidirmi […]. Pubblicano i miei ritratti, i miei cenni biografici, i miei autografi. È una cosa singolare. Non so se debbo essere più seccato che lusingato”.
Il successo all’estero fu macchiato da una scottante polemica in patria. Protagonista ne fu D’Annunzio che, dopo aver tacciato, in una lettera indirizzata a Barbara Leoni,  di grossolanità L’amico Fritz dopo aver assistito ad una sua rappresentazione napoletana, sul numero del 2-3 settembre 1892 di  «Il Mattino» di Napoli pubblicò un velenoso articolo intitolato sarcasticamente Il capobanda, nel quale si legge: “È un capobanda eccellente, pensai. Il signor Sonzogno ha avuto la mano felice: ha trovato il musicante che ci voleva. La Ditta farà affari d’oro. E gli affari cominciarono quella sera, nel teatro medesimo dove di recente l’Astreiter aveva diffusa l’onda piena e grave della sua voce androginea ripetendo la diurna lamentazione di Orfeo. E gli affari seguitarono, aumentarono, aumentarono, aumentarono. […] Ma perché il signor Mascagni vuol darci ad intendere ch’egli si occupa dell’arte? Perché egli osa pronunziare la sacra parola? L’autore della Cavalleria rusticana, dell’Amico Fritz, dei Rantzau, e di non so quante altre opere ed operette inedite, non si occupa che di affari, non può che occuparsi di affari. […] Io penso ch’egli non potrebbe fare cosa diversa da quella che fa, da quella che gli chiedono editore e il pubblico: i due tiranni che ora lo accarezzano così teneramente, in lui riconoscendo l’uno la facoltà di produrre in fretta e in copia roba commerciale, l’altro la facoltà di dare forma sensibile a quelle vaghe aspirazioni, a quelle vaghe effervescenze ch’io chiamerei stomacali, evaporanti per lo più dopo il pranzo nel tepore dei teatri della stupidezza dilatata” (G. D’Annunzio, Il capobanda, «Il Mattino», 2-3 settembre 1892). Mascagni per il momento rispose con la sua musica, componendo I Rantzau, ma quest’articolo non fu certo gradito dal compositore che si sarebbe riappacificato con il Vate soltanto vent’anni dopo nel 1912 in occasione della collaborazione per Parisina.
LAmico Fritz es. 1’opera – Preludietto
L’opera è introdotta da un Preludietto, un piccolo quadretto, nel quale Mascagni con poche pennellate ne dipinge l’atmosfera, caratterizzata da elementi sia frivoli, presenti nel tema delle prime 10 battute introduttive (Es. 1), sia idillici e zingareschi nel vero e proprio tema del valzer la cui scrittura lirica, con l’insistenza sulla terzina, ricorda non solo la romanza di Suzel, Son pochi fiori, ma anche per le sue aperture melodiche lo zingaro Peppe. Un tema più mosso, ma anche più patetico, costituisce la parte centrale del Preludietto che si dilegua con lo svolazzante tema iniziale come un inattingibile sogno.

Atto primo
È il compleanno di Fritz Kobus, presentato, all’inizio dell’opera, nella sala da pranzo di casa sua in Alsazia mentre discute con il rabbino David del matrimonio nei confronti del quale egli si è sempre mostrato restio. David vorrebbe indurre Fritz a sposarsi e nel frattempo, facendosi egli stesso garante, gli chiede di prestare dei soldi a una giovane coppia. Fritz, pur criticando il matrimonio e l’amore dal quale si mostra immune, acconsente e intanto giungono gli amici Federico e Hanezo che vengono a fargli gli auguri di rito. Tutta questa parte iniziale è strutturata su due temi dei quali il primo cullante in 6/8  introduce il clima idillico di cui è intrisa l’opera, mentre il secondo di carattere frivolo, che appare in corrispondenza dell’ingresso dei due amici e si presenta come una rielaborazione del tema iniziale del Preludietto, con i suoi suoni staccati, sembra riprodurre onomatopeicamente il cicaleccio degli uomini.
Con l’arrivo degli amici il clima si mantiene allegro fino a quando Caterina, la governante di Fritz, annuncia, su un tremolo degli archi, l’arrivo di Suzel, figlia di un fattore di Fritz. La sua romanza, Son pochi fiori, che inizialmente presenta una scrittura da arioso incerta tra aperture liriche e ribattuti che indulgono al parlato, si staglia come un’oasi d’innocenza e di purezza accentuata dalla scrittura tenera e lirica che si libra alle parole Noi siam figlie, quando la fanciulla immagina che siano i fiori stessi a parlare. Il lirismo di Suzel contagia l’orchestra che alla fine della romanza ne riprende il tema principale, mentre Fritz, inizialmente sorpreso e quasi senza parole di fronte a quella manifestazione di purezza e d’innocenza, alla fine chiede del padre, promettendole che gli avrebbe fatto visita. Poco dopo giunge Beppe, vocalmente un mezzosoprano “en travesti”, che è annunciato dal suono del violino, suo fedele compagno. Dalla struttura fraseologica irregolare l’assolo del violino ci appare come una forma molto semplice di tema e variazione di carattere zingaresco di ascendenza lisztiana sia nei ritmi puntati (Es. 5) in fase cadenzale che ricordano la Seconda danza ungherese sia nel suo carattere apparentemente improvvisativo.
Amico Fritz es. 5Beppe, su invito dei presenti, intona una semplice canzone di lode, dalla struttura strofica con un ritornello orchestrale che funge da introduzione, nei confronti di Fritz che avrebbe aiutato dei bambini poveri e lui stesso in situazioni di difficoltà. Non mancano onomatopeiche scale cromatiche che rappresentano l’infuriare della bufera, quando Beppe racconta la sua disavventura. L’uomo si schernisce, mentre Suzel, accompagnata dal tema della sua romanza, va via, lasciando Fritz con gli amici che scherzano sul matrimonio suscitando l’ironica ira di David. La sua invettiva, Per voi ghiottoni inutili, ha un sapore quasi grottesco grazie soprattutto a una musica inizialmente battagliera nella struttura ritmica dell’accompagnamento che ricorda lontanamente quello delle fiere cabalette verdiane come Di quella pira. Alla fine i due uomini scommettono: David diventerà padrone di una vigna di Fritz, nel caso in cui questi si deciderà a sposarsi. Una fanfaretta lontana, che esegue una semplice e gaia marcia dalla struttura tripartita sul tema del canto alsaziano Ich bin lustig, annuncia l’arrivo degli orfanelli beneficiati da Fritz che portano al loro benefattore il loro saluto e i loro auguri per il suo compleanno concludendo l’atto con un quadretto d’innocenza.
Atto secondo
Una fine e intelligente ironia, ottenuta con uno spostamento di accenti che coinvolge la parte iniziale del tema ripreso nella seconda semifrase in levare anziché in battere (Es. 6), informa la breve introduzione di carattere pastorale con la quale Mascagni ambienta la scena iniziale dell’atto secondo che si svolge all’interno della fattoria di Mésanges. Qui Suzel contempla le ciliegie che la fanciulla intende fare assaggiare a Fritz atteso per quella mattina, mentre l’orchestra introduce un motivo che sarà ripreso nel famoso duetto delle ciliegie. Amico Fritz es. 6A dare un colore pastorale alla scena contribuiscono un coro di contadini che vanno a coltivare i campi e un oboe solista, quando Suzel, in attesa di Fritz, decide di comporre un mazzo di fiori intonando, nel contempo, una breve e semplice pastorella di struttura strofica nella quale si parla, come da convenzione, di un pastore che insidia una giovane fanciulla. Alla fine della pastorella entra in scena Fritz che, insieme con Suzel, dà vita al duetto delle ciliegie, pagina giustamente famosa dalla scrittura lirica e delicata, nella quale i due giovani, in un’ambientazione bucolica, scoprono di essere innamorati senza, tuttavia, mai dichiararsi reciprocamente il loro amore. Musicalmente il duetto, che sembra tratto da Amico Fritz es. 7un’operetta per l’impostazione scenico-musicale con un lirismo borghese che indulge al parlato nei ribattuti iniziali del tema, si articola in tre momenti diversi, dei quali il primo, corrispondente ad uno scambio di battute tra i due giovani, formalmente è un recitativo che guarda all’arioso con echi della pastorella di Suzel “cantata” in orchestra. Nella seconda parte, Han della porpora (Andante sostenuto), di carattere lirico e dalla struttura tripartita (A-B-A1 con una coda), Mascagni tratta il 6/8 con estrema libertà reinterpretandolo come un 3/4 alla terza battuta (Es. 7), mentre nella terza parte (Tutto tace) si stabilisce una sottile e profonda correspondance tra la natura e i sentimenti dei personaggi che sembrano ormai quasi del tutto innamorati. L’incantesimo del duetto delle ciliegie si rompe subito dopo, quando un tema allegro, ironico e, come recita l’andamento, spigliato, introduce un improvviso cambio di atmosfera con gli amici, Beppe, David e Federico che, una volta giunti, vengono accolti da un nuovo tema cerimonioso in ¾ dalle movenze del valzer. Fritz invita gli amici a fare un giro per le sue terre; a loro non si unisce David che, rimasto solo sulla scena, commenta ad alta voce il comportamento di Fritz visibilmente innamorato di Suzel la quale giunge subito dopo ad attingere dell’acqua alla fonte offrendone al rabbino come nell’episodio biblico di Rebecca evocato subito dopo da entrambi in una scrittura accordale di carattere solenne. Alla fine al rabbino sembra che l’episodio biblico possa rinnovarsi con Suzel, novella Rebecca, e con lui stesso, nuovo messo del cielo, foriero della bella notizia del prossimo matrimonio. Come Rebecca, anche Suzel, alle parole di David, il quale le dice che colui che verrà dai campi sarà suo sposo, si nasconde pudicamente il viso, mentre Fritz e gli amici ritornano. Tra il nostro protagonista e David scoppia un piccolo alterco, quando il rabbino dichiara che Suzel presto sarà sposa suscitando la gelosia e la rabbia di Fritz. In questo passo l’ironia, che ha contraddistinto la scrittura musicale mascagniana, cede il posto al dramma e all’introspezione psicologica con Fritz che, rimasto solo (Quale strano turbamento), dopo aver riflettuto sul sentimento amoroso che lo sta agitando, decide di fuggir via. A questo punto giungono gli amici, accompagnati dal tema ironico e spigliato udito in precedenza, con i quali Fritz va via senza salutare il rabbino e Suzel visibilmente rattristata per la partenza dell’uomo del quale è già innamorata. Il pianto della donna, frammentato nella parte vocale, è espresso dall’orchestra che si produce in un malinconico tema all’interno del quale si sentono alcuni brevi frammenti che Mascagni avrebbe utilizzato, rielaborandoli, nel successivo celebre intermezzo.
Intermezzo
Amico Fritz es. 8Entrato stabilmente nel repertorio sinfonico, l’Intermezzo è una delle pagine più famose della partitura insieme al duetto delle ciliegie. Ad un ascolto superficiale questa pagina sinfonica può apparire un po’ avulsa dalla trama dell’opera, dal momento che essa trae il suo materiale melodico dall’a solo del violino che nel primo atto introduce l’ingresso sulla scena dello zingaro Peppe, una figura secondaria. In realtà il carattere malinconico della pagina, tipico della musica tzigana, si addice bene al momento più drammatico dell’opera per l’avvenuta separazione di Fritz e Suzel, la cui tristezza aveva trovato la sua espressione in accenti tzigani alla fine del primo atto almeno nella parte dell’orchestra. Il carattere drammatico di quest’Intermezzo emerge già nelle misure introduttive dove inizialmente si afferma un tema accordale al quale si contrappone un arpeggio di carattere virtuosistico che sembra più consono ad una scrittura di tipo solistico.La parte restante dell’Intermezzo è costruita su un’elaborazione dell’a solo violinistico del primo atto, nel quale l’orchestra canta come se fosse una voce umana.
Atto terzo
Un tema tortuoso e drammatico con cromatismi introduce e accompagna Fritz, ritornato in campagna e tormentato dal contrasto tra l’amore per Suzel e la volontà di non cedere. Tutto intorno a lui parla d’amore; persino un coro fuori scena e l’amico Beppe che, introdotto dal tema frivolo già udito al primo atto , intona una canzone, ironica nei rapidi svolazzamenti di semicrome (O pallida che un giorno), da lui stesso composta e dedicata a una sua fiamma. Fritz, alla fine, vinto dall’amore, intona la romanza, O amore, o bella luce del core, un vero e proprio inno ad esso, dalla struttura tripartita (A-B-A1, a cui si aggiunge una breve coda) e dalla scrittura intrisa di caldo lirismo. David, lì vicino, sente Fritz fantasticare d’amore e gli si avvicina parlandogli delle imminenti nozze di Suzel che lui stesso avrebbe combinato con un giovane allegro e ricco e aggiungendo che quello stesso giorno il padre sarebbe andato da lui a chiedere il suo consenso. Fritz, tormentato, dice che avrebbe negato il suo consenso e alla fine fugge via, lasciando solo sulla scena David raggiunto subito dopo da Suzel, la cui tristezza è ancora espressa da un lirico tema affidato agli archi. David, dopo aver incoraggiato la fanciulla, la lascia sola e Suzel, innamorata di Fritz dal quale ritiene di non essere corrisposta, canta la sua romanza, Non mi resta che il pianto e il dolore, nella quale i cromatismi ascendenti sembrano scandagliare l’animo tormentato di una donna che vede i suoi sogni d’amore troncati. Fritz sorprende la fanciulla in questo stato di mestizia e la interroga sulle nozze per lei combinate dal padre e dal rabbino, facendole confessare che ella non ama il suo promesso. Suzel chiede anzi a Fritz di negare il suo consenso (Ah! ditela per me quella parola) e alla fine l’uomo le confessa il suo amore in un’espansione lirica, Ma s’io t’aprissi le mie braccia, su un enigmatico accordo di settima diminuita. A questo punto senza più remore i due si scoprono innamorati e cantano il loro amore in una scrittura di acceso lirismo che si conclude con l’orchestra, che “festeggia” l’avvenimento in un’esplosione di colori e timbri. David, che ha assistito alla scena nascosto, dichiara di aver vinto la scommessa, ma dice di rinunciare alla vigna di Clairfontaine, della quale fa dono a Suzel. Si festeggiano, dunque, le prossime nozze e l’opera si conclude con le note della romanza, O amore, o bella luce del coreIn allegato il libretto dell’opera (italiano/inglese)