Stanisław Moniuszko (1819 – 1872): “Straszny dwór” (1865)

Opera in quattro atti su libretto di Jan Chęciński. Adam Kruszewski (Miecznik), Edyta Piasecka (Hanna), Elzbieta Wróblewska (Jadwiga), Ryszard Minkiewicz (Damazy), Tadeusz Szlenkier (Stephan), Rafal Siwek (Zbigniew), Anna Borucka (Czesnikowa), Zbigniew Macias (Maciej), Aleksander Teliga (Skoluba), Joanna Motulewicz (Marta), Wanda Franek (Stara Niewiasta), Damian Wilma (Grzes). Polski Ballet Narodowy, Chór i Orkiestra Teatru Wielkiego – Opery Narodowy Warszaw, Wioleta Bielecka  e Miroslaw Janowski (maestri del coro), Andriy Yurkevych (direttore). Davis Pountney (regia). Leslie Travers (scene), Marie-Jeanne Lecca (costumi), Emil Wiesoloski (coreografie). Wielki Teatr, Warszaw, novembre 2015. 1 DVD The Polish opera institut

Intorno alla metà del XIX secolo la nascita di scuole nazionale è un fenomeno che caratterizza la vita musicale in gran parte dei paesi europei. Ad accomunare questi elementi è il tentativo di un linguaggio musicale che recuperi un patrimonio di melodie, ritmi, stilemi, sentito come parte integrante della propria identità nazionale in linea con la nuova sensibilità introdotta dalla cultura romantica. Il caso più noto di queste tendenze è rappresentato da Mikhail Glinka padre  dell’opera nazionale russa ma non si tratta certo dell’unico caso. Il ruolo svolto da Glinka in Russia è svolto in Polonia – al tempo anch’essa parte dell’Impero zarista – da Stanisław Moniuszko con la differenza che la sua fama non ha quasi superato in confini polacchi.
L’opera in Polonia aveva una lunga tradizione, il paese era stato il primo al di fuori degli stati italiani a veder rappresentata un’opera lirica (“La liberazione di Ruggiero dall’isola d’Alcina” di Francesca Caccini nel 1625), ma il paese – forse anche per le grandi difficoltà storico-politiche vissute a partire dal XVIII secolo – non aveva sviluppato una propria scuola musicale. La riscoperta di un sentimento nazionale polacco, successiva alle vicende napoleoniche, aveva fatto rinascere un interesse per la cultura nazionale, non ignorato dalla musica che poteva così attingere dalla ricca  tradizione folklorica polacca. L’astro di Chopin aveva rivelato quanto questa tradizione  potesse fondersi con il linguaggio colto del Romanticismo internazionale . Senza il genio di Chopin, ma con ottimo mestiere,  Moniuszko rappresenta il tentativo più riuscito di un teatro lirico nazionale pur senza tradire le forme canoniche del genere. Questo spiega l’enorme fortuna di Moniuszko in patria, più limitato in ambito  internazionale. Un più ampio successo  gode “Halka”, dramma romantico di sapore quasi verdiano. Praticamente sconosciuta fuori della Polonia è “Straszny Dwor” (“La tenuta dei fantasmi”) dramma giocoso di travolgente freschezza.
La storia della casa stregata – in realtà un trucco sfruttato da due ragazze per realizzare il proprio sogno d’amore – permette a Moniuszko di esaltare le sue qualità migliori: la vena melodica di accattivante facilità, il gusto per ampi momenti di danza  e corali ricchi di suggestioni folkloristiche, la brillantezza della scrittura orchestrale. Tutte queste caratteristiche sono perfettamente colte dalla direzione di Andryi Yurkevych leggera, spumeggiante, rapinosa nei ritmi, mobile nelle dinamiche. Una direzione quindi perfettamente in grado di far apprezzare tutte le qualità della partitura anche grazie all’insuperabile padronanza stilistica che di questa musica hanno i complessi della Teatr Wielki-Opera Narodowa di Varsavia affiancati dal corpo di ballo di più che apprezzabile qualità.
La compagnia di canto, composta solo da cantanti polacchi, offre una prova più che positiva. Il cantante più noto anche in è Rafal Siwek nella parte di Zbigniew, uno dei due fratelli ufficiali che faranno battere il cuore alle giovani figlie del tenutario. Solida voce di basso, compatta e omogenea in tutta la gamma, notevole presenza scenica e un senso dell’interpretazione, non sempre evidenti nelle sue interpretazioni dell’opera italiana. Nei panni del fratello Stephan è il tenore Tadeusz Szlenkier voce di bell’afflato lirico – nonostante qualche forzatura nel settore acuto – e interprete d’innegabile simpatia consona al ruolo.
Le protagoniste femminili sono due sorelle a ribadire un certo equilibrio tra le coppie. Edyta Piasecka (Hanna), soprano di coloratura dal timbro morbido e dalle buone doti di emissione, sul piano interpretativo coglie il carattere della più battagliera e temperamentosa delle due. La più lirica Jadwiga è affidata a Elzbieta Wróblewska mezzosoprano lirico e luminoso, chiara nel  timbro,  che cesella con gusto l’arcaicizzante canzone del II atto, una delle più suggestive oasi liriche della partitura.
Il magnate Miecznik, il padre delle ragazze, è il baritono Adam Kruszewski voce molto chiara, a tratti tenorile ma abile in una vocalità che guarda ancora ai moduli dell’opera buffa italiana. La parte della Czesnikowa è marginale ma per l’innegabile presa della sua aria di sortita, è sempre stato cavallo di battaglia dei maggiori mezzosoprani polacchi (a cominciare da Stefania Toczyska). Qui abbiamo Anna Borucka brillante e spigliata ma forse troppo leggera  per il ruolo. Bravissimo, vocalmente e scenicamente, Ryszard Minkiewicz nel ruolo comico del pretendente Damazy cantato con voce agilissima di tenore buffo. Voce robusta, imponente per il Maciej di Zbigniew Macias. Perfettamente centrate le parti di fianco.
Non convince del tutto la regia di David Pountney. La scelta di spostare la vicenda negli anni ’20 sacrifica un po’ la componente folklorica che appare quasi forzata rispetto al taglio dell’allestimento. La drammaturgia  è nell’insieme abbastanza fedele al libretto anche se, a tratti, si mostra sovraccarica. Le scene di Leslie Travers, dominate da cornici moderne,  stridono con il contesto storico  scelto dal regista. In questo contenitore, la  raffigurazione in scala ridotta del palazzo, e di grandi quadri-diorami di leggende classiche e slave (utilizzate per le apparizioni “fantasma” delle ragazze) non riescono a supplire alla generale sensazione di freddezza, che contrasta con la spontaneità e la ricchezza della musica.